Il 2 aprile prossimo l’Armenia è chiamata a rinnovare il suo parlamento e lo farà con una contestata legge elettorale. Opinioni e aspettative in questa analisi
Le prossime elezioni parlamentari aprono di fatto in Armenia i due anni di transizione dal vecchio ordinamento semi-presidenziale al parlamentarismo puro emerso dagli emendamenti costituzionali e dal referendum tenutosi nel dicembre 2015. Il testo costituzionale è entrato in vigore lo scorso anno, ma fino al rinnovo delle cariche l’impatto era stato relativo. Ora le cose iniziano a cambiare, gradualmente e non simultaneamente: il presidente in carica, Serzh Sargsyan, eletto secondo il vecchio ordinamento, terminerà il proprio secondo e ultimo mandato nel 2018, mentre il governo rinnovato nei propri poteri prenderà in mano le redini dell’esecutivo dopo la fiducia parlamentare che chiuderà la fase elettorale che inizia con il voto del 2 aprile.
Come voteranno gli elettori armeni
La legge elettorale è il frutto di una serratissima concertazione che è andata ben oltre i tempi previsti per l’adozione. Il processo ha visto la partecipazione della società civile, di tutte le forze politiche, delle organizzazioni internazionali attraverso pareri consultivi e si sarebbe dovuto concludere entro il giugno dello scorso anno. Il dibattito si è invece protratto oltre l’estate. Ne è emerso un sistema elettorale proporzionale puro, a sostituzione del sistema misto proporzionale-maggioritario in vigore fino al 2016, per un numero ridotto di seggi (da 131 a 101, per 2 milioni e 600 000 elettori) con importanti innovazioni per quanto riguarda quote rosa e minoranze. Il risultato è un prodotto complesso e di cui sarà interessante vedere l’impatto sul voto.
La scheda elettorale presenta due liste: una nazionale e una locale con una lista di preferenze. L’espressione delle preferenze è in genere sinonimo di trasparenza. E’ uno strumento che permette all'elettore di scegliere direttamente il proprio rappresentante, senza dover subire le liste chiuse di partito, nella cui definizione raramente ha voce in capitolo. Ma non tutti la pensano così.
Davanti a un tè fumante in un caffè di Yerevan, appena depositate le liste dai partiti presso la Commissione elettorale
centrale, interroghiamo su questo punto Stepan Grigoryan ex parlamentare e presidente dell’Analytical Centre on Globalization and Regional Cooperation . “Abbiamo gettato il sistema maggioritario dalla porta, e rientra dalla finestra”, ci risponde. “Basta scorrere le liste per capire che questo sistema qui non può funzionare. Non si tratta di una trasparente espressione di preferenze. Si tratta di aver messo una serie di cattura-voti a livello locale… c’è il nome riconducibile alle forze di polizia locale, quello che gravita intorno alla chiesa, quello che è espressione del principale oligarca. Tutti si conoscono, e tutti sanno chi sta per quale cartello, e che sono tenuti di conseguenza a votare”. Stepan rimane scettico sul fatto che il rinnovamento istituzionale possa portare a uno svecchiamento del quadro politico. Secondo lui la nuova costituzione ha solo reso più palese e cristallizzato il sistema di potere che vige nel paese.
Qualcosa sicuramente però cambierà. La legislatura uscente vede una forte sottorappresentanza femminile: le donne sono il 9% degli eletti in parlamento e guidano 2 ministeri su 26. Questo dato dovrebbe risentire dell’introduzione delle quote rosa al 25% prevista dalla nuova legge elettorale. Avranno ora un seggio garantito anche le minoranze: 4 seggi dei 101 sono – uno a testa – per yezidi, russi, assiri e curdi.
La legge elettorale prevede che dalle urne esca una maggioranza stabile (di un partito o di una coalizione) in grado di controllare il 54% dei seggi, anche con premio di maggioranza se si arriva al solo 50%. In caso non si riesca a raggiungere questo obiettivo nemmeno con una alleanza post-elettorale, da crearsi entro 6 giorni, è previsto un secondo turno, da tenersi entro 28 giorni. In teoria quindi il processo elettorale potrebbe essere piuttosto lungo. “Ma non lo sarà. La macchina elettorale, con un premio di maggioranza che garantisce non solo la stabilità del governo, ma anche la guida solida alla forza politica più votata, è pensata per assicurare continuità al potere del Partito Repubblicano”, ci dice Aleksandr Iskandaryan, direttore e fondatore del Caucasus Institute .
Le forze politiche
Il Partito Repubblicano è il primo partito nel parlamento armeno dal 1999. Da allora ha espresso due presidenti, per due mandati ciascuno, e tutti i primi ministri.
Un partito che si è evoluto negli anni, composto da varie correnti ma che mantiene una certa disciplina interna. Seppur sia Iskandaryan che Grigoryan concordino che sia più un aggregatore di interessi che una forza politica tenuta insieme dal collante ideologico, il Partito Repubblicano si colloca nel centro-destra dell’emisfero politico. Ha status di osservatore presso il Partito Popolare Europeo. Nell’attuale parlamento ha 69 seggi su 131 (52%). Il presidente armeno Sargsyan è anche il segretario del Partito Repubblicano, che ha confermato come successore a capo del partito in caso di vittoria l’attuale Primo ministro, Karen Karapetyan. Karapetyan è primo ministro da pochissimo – settembre 2016 – ed è molto popolare. La nomina di un politico percepito come giovane e innovatore è stata interpretata come la volontà del partito di svecchiare la propria immagine e dare spazio a volti nuovo, anche appunto in previsione delle elezioni. Cinquantatreenne, ex sindaco di Yerevan, legato a Gazprom per attività professionali precedenti alla sua scesa in campo politica, è riuscito a far coltivare almeno delle aspettative sulla possibilità che il governo possa muovere passi nella direzione dell’alleviamento della stagnazione economica. Ma aspettative caute: l’opinione pubblica armena rimane scettica rispetto alle capacità ed effettività della propria classe dirigente.
In coda al Partito Repubblicano c’è Armenia Prospera, partito nato nel 2004 su iniziativa del discusso Gagik Tsarukyan, che si colloca più a destra nello specchio politico ed è membro dell’Alleanza dei Conservatori e Riformisti Europei. Attualmente ha 33 seggi e rapporti tanto burrascosi quanto ambigui con il Partito Repubblicano, con cui è stata in passato in coalizione.
Sostiene invece il governo la Federazione Rivoluzionaria Armena, uno dei partiti più antichi dell’Armenia, nata come forza socialista e costituzionalista nei remoti anni delle battaglie per il costituzionalismo nell’Impero Ottomano. Mantiene lo status di osservatore presso i Socialisti europei . Nel parlamento uscente ha 5 seggi.
Si mantengono su un numero paragonabile di seggi anche il Congresso Nazionale Armeno (7 seggi, all’opposizione, affiliati all’ALDE) e dell’Eredità (3 seggi, all’opposizione, osservatore del Partito Popolare Europeo).
Secondo la legge elettorale, lo sbarramento è al 5% per i partiti e al 7% per le coalizioni. Correranno in separate coalizioni il Congresso Nazionale Armeno e l’Eredità. Altri tre partiti, attualmente non presenti in parlamento, cercheranno di superare la soglia prevista. Ma la prima sfida sarà portare gli armeni alle urne: combattuta fra i temi della corruzione, della crisi economica e sociale, sullo sfondo degli scontri quasi quotidiani lungo la linea del fuoco in Karabakh, la campagna elettorale deve anche convincere gli elettori che davvero il parlamento più potente dall’indipendenza può fare la differenza, e che quindi vale la pena recarsi alle urne. L’affluenza nel paese si arresta di norma intorno al 60% degli aventi diritto.
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