Non è il primo e non sarà l'ultimo. L'arresto di Kadhija Ismayilova, giornalista investigativa azera, si inserisce in una lunga serie di azioni per mettere a tacere attivisti e giornalisti critici nei confronti del regime di Aliyev. Mentre i difensori dei diritti umani internazionali alzano la voce, i governi tacciono
“Mi hanno già fatto la cosa peggiore che potessero farmi. E' per questo che la prigione non mi spaventa”. Khadija Ismayilova non aveva paura dell'arresto. Anzi, se lo aspettava. Prima o poi era convinta sarebbe accaduto. Era consapevole che questa sarebbe stata la conseguenza del suo lavoro investigativo. In una delle interviste che ha recentemente rilasciato lo ha ben chiarito: “Non desidero andare in prigione ma sopravviverò. Sopporterò la situazione e continuerò a fare ciò che sto facendo”.
Il 5 dicembre, per una decisione della corte di Sabail, a Khadija Ismayilova sono stati comminati due mesi di detenzione pre-processuale. L'accusa contro di lei non poteva essere più fantasiosa: “incitamento al suicidio”, in base all'articolo 125 del codice penale. Se venisse confermata l'accusa, rischia dai 3 ai 7 anni di prigione.
Tural Mustafayev, un giornalista con all'attivo une breve collaborazione con Azadliq Radio, in Azerbaijan, ha accusato Khadija Ismayilova di averlo spinto verso il suicidio nell'ottobre scorso, interferendo con la sua carriera professionale e minacciandolo via Facebook.
Continue intimidazioni
Lo scorso febbraio Khadija Ismayilova è stata accusata da alcuni media e funzionari statali di essere una spia statunitense. In un'intervista rilasciata a Meydan TV, la Ismayilova affermò di essere riconoscente del fatto che non era stata ancora accusata di possesso di stupefacenti, truffa o altre banali accuse come è stato nel caso dell'imprigionamento di altri giornalisti, difensori dei diritti umani o attivisti politici: “Mostra da parte loro rispetto nei miei confronti se mi accusano di spionaggio piuttosto che di crimini più ordinari”.
E in febbraio, temendo che il suo arresto fosse vicino, Khadija Ismayilova pubblicò un commento dove chiaramente vi erano indicazioni su cosa fare nel caso di un suo arresto. Nel frattempo però continuò il suo lavoro investigativo.
Nel corso dell'estate ha poi pubblicato due nuove inchieste. Una evidenzia collegamenti tra le due figlie del presidente Aliyev ad un'azienda telefonica (un'inchiesta riguardante le figlie di Aliyev era già stata pubblicata nel 2010). La seconda inchiesta svela invece gli affari di Ali Hasanov, a capo del dipartimento socio-politico dell'amministrazione presidenziale dell'Azerbaijan.
E' indubbio che rivelando tutte queste connessioni e scoprendo società off-shore i cui proprietari sono personalità molto vicine alla famiglia presidenziale e mettendo in luce grandi affari di corruzione Khadija Ismayilova mette nei guai le autorità azere.
Ed è a partire dal 2009 che le autorità azere, per evitare ulteriori indagini da parte di giornalisti, hanno avviato vari emendamenti legislativi. Sono state adottate misure drastiche che vanno dal concedere piena immunità all'attuale presidente e a quelli del passato (incluse le loro mogli) al garantire la segretezza sulla proprietà delle aziende del settore dei media. Una parte di legislazione non ancora cambiata - ma che le autorità pianificano di modificare - è quella che vieta a funzionari pubblici di possedere aziende od essere coinvolti in attività commerciali (per non nominare lo sfruttamento di risorse pubbliche in tali attività....).
Nonostante quanto messo in luce da Khadija Ismayilova nelle sue inchieste, mai nessun funzionario è stato chiamato a rispondere delle accuse che venivano mosse. E' accaduto invece il contrario. Giornalisti, difensori dei diritti umani, bloggers, attivisti che hanno osato mettere in luce la corruzione nel paese e la condotta criminale della autorità sono finiti in prigione, a scontare lunghe pene. Secondo il governo - ed emerge dalle sentenze emesse nei loro confronti - sono tutti dei criminali: violenti, tossici e via dicendo. La cosa preoccupante è che sono ancora tutti in prigione, nonostante siano chiare le prove della loro innocenza.
Nell'ottobre scorso una nuova accusa è stata mossa alla Ismayilova, quella di diffamazione. Un ex esponente dell'opposizione la ha accusata di averlo calunniato . La giornalista ha portato le prove che l'accusa non aveva sostanza ma da quel momento le è stato vietato di lasciare il paese, in quella che ormai è chiaro essere una campagna ben orchestrata contro di lei.
Sino ad oggi le autorità le hanno provate tutte: l'hanno ricattata con riprese che la ritraevano nell'intimità col suo partner (due volte), l'hanno accusata di tradimento, spionaggio, calunnia ed infine incitamento al suicidio. E bisogna concederlo alle autorità azere: l'ultima accusa è una novità, non era mai stata utilizzata prima con nessuno.
Silenzio mortale
In qualche modo l'arresto di Khadija Ismayilova mi ricorda Eric Garner. Quest'ultimo è stato strangolato e, simbolicamente, è quanto sta avvenendo in Azerbaijan. Vi è una sistematica e continua azione di soffocamento delle voci dissenzienti, sino al silenzio. E la cosa peggiore è il silenzio. L'opinione pubblica non protesta. Gli azeri non si schierano per difendere i propri diritti. Sono divenuti tutti agnelli silenziosi. E' dura però biasimarli. Il silenzio alla continua repressione non dipende dal fatto che la gente sia codarda o insensibile. La verità è che vivono nella paura ormai da più di vent'anni. E' da un po' infatti che in Azerbaijan i dissidenti vengono fatti a pezzi e messi a tacere.
E mentre i difensori di diritti umani a livello internazionale sono stati estremamente attivi in merito al caso di Khadija Ismayilova e degli altri attivisti imprigionati, il silenzio da parte dei governi internazionali è terribile da ascoltare. Certo, vi sono state dichiarazioni di preoccupazione, ma l'arresto di Khadija dimostra che non vi è più argine all'azione del regime di Aliyev e che i pochi attivisti rimasti nel paese sono in imminente pericolo.
Non è esagerato affermare che presto non vi sarà nessun dissidente in Azerbaijan. Sono ormai in carcere quasi tutti quelli che si battevano per la gente dell'Azerbaijan. Sono in carcere quelli che si battevano per i diritti di coloro i quali sono stati ridotti al silenzio, nell'evidenziare le ingiustizie, nell'aiutare i bisognosi. Tristemente ora non c'è più nessuno al loro fianco.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Safety Net for European Journalists. A Transnational Support Network for Media Freedom in Italy and South-east Europe.
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