La pubblicazione in Italia di una lista di giornalisti cui è vietato l'ingresso in Azerbaijan riporta in primo piano la grave situazione dello stato della libertà di espressione nel paese caucasico
L'ambasciata azera in Italia ha da poco pubblicato un elenco di personae non gratae , cittadini italiani cui è vietato l'ingresso nel territorio della Repubblica dell'Azerbaijan. Nella lista ci sono nomi di spicco della cultura e del giornalismo italiano, da Antonia Arslan a Milena Gabanelli, scrittori e artisti. Nell'elenco c'è anche il corrispondente di Osservatorio Balcani e Caucaso da Yerevan, Simone Zoppellaro, reo di essersi recato in Nagorno Karabakh per svolgere il suo lavoro di reporter con il collega de La Stampa Roberto Travan.
La lista rappresenta un attacco diretto alla libertà di stampa, restringendo la possibilità di movimento degli intellettuali e dei giornalisti coinvolti, e in quanto tale è stata immediatamente segnalata al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa, Nils Muižnieks, e alla Rappresentante OSCE per la Libertà dei Media, Dunja Mijatović.
Le persone incluse nella lista, secondo le motivazioni addotte dalle autorità azere, avrebbero violato le leggi dell'Azerbaijan essendosi recate illegalmente nella regione contesa del Nagorno Karabakh, la repubblica de facto che secondo il diritto internazionale fa parte del territorio azero. Non è tuttavia possibile recarsi in Nagorno Karabakh se non attraverso l'Armenia, dunque quello che viene colpito dalle autorità azere è il diritto/dovere dei giornalisti di informare dalla e sulla regione. Alcuni dei nominativi delle persone messe all'indice, inoltre, sono più noti per aver denunciato violazioni dei diritti umani in Azerbaijan, o per aver mostrato sostegno alla causa del riconoscimento del genocidio armeno, che per essersi recati in Nagorno Karabakh, tanto da far apparire pretestuose le stesse motivazioni addotte per compilare la lista di proscrizione.
Poco dopo essere stato inserito nella lista nera dell'Ambasciata azera, il nostro corrispondente è stato oggetto di due articoli della stampa azera, il nove e il ventidue dicembre che lo descrivono come “pseudo giornalista” e chiedono di bandirlo a vita dal paese. Martedì scorso un altro articolo dello stesso tenore sui media azeri.
E' online il Resource Centre sulla Libertà dei Media. Sviluppato da OBC e da European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF) è uno strumento che favorisce la diffusione e la fruizione di contenuti rilevanti sulla libertà di stampa in Europa
L'Azerbaijan si trova al numero 162 (su 180) della lista annuale compilata da Reporter senza Frontiere sulla libertà di espressione nel mondo. I casi di Leyla e Arif Yunus, di Emin Huseynov, e di Khadija Ismayilova sono solo i più noti in una lunga teoria di persecuzioni dei media indipendenti.
Secondo il più recente rapporto di Freedom House, Freedom on the Net (2015), l'Azerbaijan è un paese solo “parzialmente libero”, dove giornalisti, attivisti per i diritti umani e rappresentanti di partiti di opposizione vengono arrestati in un contesto di “crescente intimidazione”.
Questo clima di intimidazione è inaccettabile, gli attacchi diretti contro i giornalisti azeri, italiani o di altri paesi, devono cessare. La lista pubblicata dall'ambasciata azera non fa che riportare alla luce l'allarmante situazione della libertà di espressione in Azerbaijan che, secondo RSF , è la “più grande prigione in Europa per gli operatori dell'informazione” per numero di giornalisti e blogger imprigionati.
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L'Ambasciata della Repubblica dell'Azerbaijan ha scritto a Osservatorio Balcani e Caucaso:
Gentile Vuqar Hacıyev,
grazie per la lettera. Prendiamo atto del fatto che essere dichiarati persona non grata non ha nulla a che vedere con l'attività professionale dei nostri colleghi. Tuttavia, se da un lato è molto improbabile entrare in NK dal confine armeno con un visto azero, entrare dal confine azero è praticamente impossibile. Dunque, i giornalisti che vogliano raccontare la regione non hanno alternative se non quella di entrare dall'Armenia. Questo non significa prendere posizione sullo status della regione dal punto di vista del diritto internazionale, significa adempiere al proprio dovere professionale nello svolgere un'attività che dovrebbe essere rispettata da tutte le parti che hanno a cuore la libertà dei media e la libertà di informazione in Europa.
(AOR)
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