Il progetto di costruzione del gasdotto Nabucco diventa sempre più importante per l'Europa, in particolare dopo la guerra in Georgia e la crisi del gas con l'Ucraina
La produzione e il trasporto di petrolio e gas naturale dal bacino del Mar Caspio hanno sempre rappresentato un tema fortemente connotato politicamente. L'intensità degli intrighi geopolitici sviluppatisi intorno alle risorse del Caspio sono il risultato di molti fattori: i cambiamenti post-coloniali negli equilibri di potere, una nuova fase nella competizione per le risorse tra le potenze regionali, il coinvolgimento in questa competizione di attori extraregionali come l'Europa, gli USA e la Cina, e il tentativo della potenza energetica precedentemente dominante - la Russia - di mantenere le proprie posizioni. Le tensioni che circondano il progetto del gasdotto Nabucco riflettono un nuovo stadio di questa competizione.
Nabucco è un progetto alternativo di gasdotto, che trasporterebbe in Europa le risorse di gas naturale del bacino del Caspio. Nato nel 2002, il progetto prevede la costruzione di un condotto che attraverserà l'Azerbaijan, la Georgia, la Turchia, la Bulgaria, la Romania, l'Ungheria e l'Austria. La maggior parte del tracciato passerebbe per la Turchia - 2.000 km sui 3.300 della lunghezza totale del condotto.
È un progetto ambizioso, non solo per i costi - 8 miliardi di euro, più del doppio del Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC) costato 3,6 miliardi di dollari - ma soprattutto perché, e in questo è simile al BTC, è un progetto che ha un significato strategico, dato che bypasserebbe la Russia sfidando così la posizione dominante di questo paese per quanto riguarda le forniture di gas all'Europa, e diminuendo la dipendenza da Mosca del vecchio continente.
Negli ultimi mesi, due eventi hanno rivelato la forte tensione esistente sul piano energetico: la guerra intrapresa dalla Russia contro la Georgia nell'agosto 2008 e la crisi del gas tra Russia e Ucraina. La guerra, oltre a evidenziare l'estrema sensibilità russa relativamente alla propria influenza nell'area del Mar Nero, e il carattere conflittuale delle relazioni tra Mosca e i due stati della "rivoluzione arancione", non era indirizzata contro la sola Georgia. Il suo obiettivo era quello di colpire tutti quegli stati che nutrono aspirazioni verso la NATO. Inoltre, ha mostrato che il monopolio sulla produzione e sul trasporto del gas non è solo un obiettivo della politica estera russa, ma è anche uno strumento del suo dominio politico. Quando è scoppiata la guerra in Georgia, le azioni militari nelle immediate vicinanze dei porti petroliferi e dei gasdotti, e l'interruzione temporanea del flusso del petrolio attraverso l'oleodotto BTC - il progetto strategico occidentale - hanno indicato l'intenzione russa di contrastare l'idea che la Georgia potesse diventare il principale stato di transito dal Caspio all'Europa. Nelle parole di Kent Moors: "Ora Tbilisi ha davanti a sé il danno reale, e probabilmente irreversibile. L'immagine della Georgia come strada sicura per l'energia è stata distrutta" (v.: Georgia Conflict Obliges Export Route Reality Check, Caspian Investor, 21 agosto 2008
Colpendo, con le azioni militari in Georgia, la sicurezza dei trasporti di petrolio e gas naturale, la Russia ha anche cercato di intimidire i suoi immediati vicini sulle rive del Mar Caspio, come l'Azerbaijan, il Turkmenistan e il Kazakistan, per impedire loro di partecipare a futuri gasdotti alternativi "ricattando" allo stesso tempo i partner europei, così da distoglierli da velleità di fonti e vie di trasporto energetiche alternative.
Per sfruttare appieno la capacità del Nabucco, che è prevista in 30 miliardi di metri cubi all'anno, servirebbero infatti il gas del Turkmenistan e quello del Kazakistan, in aggiunta a quello azero dei campi di Shah Deniz, che riempirebbe il gasdotto solo ad uno stadio iniziale. La lotta per gli stati dell'Asia Centrale rappresenta dunque un nuovo stadio nella competizione per il controllo sulle forniture di gas. Gli intensi sforzi diplomatici della Russia, e in particolare le visite ad alto livello negli stati produttori di energia dell'Asia Centrale, quasi immediatamente dopo la guerra, sembravano mirate proprio ad "incassare" gli effetti di quella guerra.
Non tutto è andato liscio neppure dall'altra parte - ad occidente del Caspio. La Turchia, in un primo momento, è parsa trarre vantaggio della sua posizione di paese di transito, cercando di collegarla al processo di integrazione europeo. Successivamente, considerazioni di carattere commerciale hanno però fatto rallentare i negoziati, dato che la Turchia voleva comprare il gas a un prezzo inferiore ai suoi confini orientali per rivenderlo rincarato al confine occidentale.
La mancanza di unità all'interno della UE, dovuta alle relazioni energetiche bilaterali di Germania e Francia con la Russia, è stato un altro fattore che ha impedito la realizzazione di progetti comuni, dato che il Nabucco andrebbe a scontrarsi coi progetti russi di Nord Stream e South Stream.
Tutti questi aspetti ricordano assai da vicino la situazione che si era creata negli anni '90 intorno al progetto dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, quando i partner regionali e dell'Occidente discutevano della possibilità di trasportare le ricche riserve petrolifere dell'Azerbaijan. In aggiunta alle esistenti vie passanti attraverso la Russia (la Baku-Novorossijsk) e la Georgia (la Baku-Supsa), i partner locali come l'Azerbaijan, la Georgia e la Turchia, insieme agli USA, insistettero per costruire un nuovo oleodotto che portasse il petrolio dal Caspio all'Europa, anziché rinnovare quello russo. Si scontravano due ordini di considerazioni, commerciali e politiche. Mentre alcuni paesi interessati dall'iniziativa erano riluttanti verso un dispendioso oleodotto che avrebbe irritato la Russia ed innalzato i rischi politici, gli stati del Caucaso, sostenuti dalla Turchia e dagli USA, premevano decisamente per un oleodotto che bypassasse la Russia. Il principio della diversificazione degli oleodotti, che a quel tempo compariva perfino sugli adesivi per automobili, "Felicità è... tanti oleodotti!", divenne un popolare slogan e veniva visto come il modo migliore per diversificare i rischi connessi al trasporto del petrolio. Le discussioni dietro le quinte erano durissime, riflettendo non solo le divergenze tra i partner europei e americani sulla sostenibilità commerciale, ma anche le possibili conseguenze politiche del nuovo tracciato.
Le attività a favore del BTC raggiunsero simbolicamente il culmine nella campagna organizzata dal noto giornalista Thomas Goltz, con un gruppo di motociclisti e di attivisti che trasportavano delle botti di petrolio lungo il percorso del futuro oleodotto, destinato a cambiare l'assetto geopolitico della regione. Certamente l'oleodotto non ci sarebbe mai stato senza l'impegno innanzi tutto del paese produttore - l'Azerbaijan - e degli stati di transito - Georgia e Turchia. Dato che ogni condotto energetico significa anche controllo geopolitico, per gli stati del Caucaso che avevano intrapreso la strada dell'integrazione con l'Occidente l'oleodotto era un importante strumento di consolidamento della propria indipendenza, innanzi tutto dalla Russia, e per legarsi all'Occidente.
La situazione è simile nell'attuale dibattito sul gasdotto Nabucco, ma con alcune significative differenze.
Il controllo sui gasdotti ha acquisito un maggiore significato per la Russia dopo la perdita del controllo sugli oleodotti. Il gas naturale, per la Russia, è rimasto l'ultimo strumento per esercitare il proprio monopolio energetico attraverso la compagnia statale Gazprom. Ciò significa che stavolta per la Russia la posta in gioco è più alta.
Nella guerra con la Georgia, Mosca ha dimostrato che per proteggere i propri interessi ricorrerà a qualsiasi mezzo, incluso l'uso della forza. La risoluzione pacifica della crisi con l'Ucraina potrebbe indicare però la possibilità di un comportamento responsabile, nel caso che l'Europa sia unita nel difendere i propri interessi.
Secondo, diversamente che nella questione del BTC, in cui gli interessi di Europa e USA erano divergenti, recentemente abbiamo assistito ad un avvicinamento delle due posizioni. Tra le varie conseguenze degli ultimi avvenimenti, inoltre, ve ne è una chiara: la Russia non è un partner affidabile per l'Europa nel campo della fornitura di gas. La posizione del Commissario europeo all'Energia, Andris Piebalgs, il 5 settembre scorso, ha mostrato chiaramente la lezione che l'UE ha tratto dalle azioni russe: "Alla luce della crisi georgiana, l'UE deve raddoppiare i propri sforzi per costruire il gasdotto da 12 miliardi di dollari Nabucco, e ridurre la sua dipendenza dalle importazioni dalla Russia" (v. Energy: Brussels told to pursue Azerbaijan pipe dream, David Gow, The Guardian, 5 settembre 2008).
Infine, un maggior interesse dell'Europa nel gasdotto che attraverserà il Caucaso meridionale lega più strettamente il tema della sicurezza degli attori locali a quello dell'Europa. I due stati coinvolti - Georgia e Azerbaijan - pur con tutti i loro problemi di politica interna, sono ora attori più esperti, hanno sviluppato istituzioni più forti e più strette relazioni di partenariato con gli USA e l'Europa. Non da ultimo, la volontà politica dei tre - Azerbaijan, Georgia e Turchia - di costruire il Nabucco, è più strettamente legata alle loro aspirazioni europee.
Eppure, nonostante le più ottimistiche prospettive che sono apparse per il Nabucco dopo che si è rivelata l'inaffidabilità della Russia, uno dei nodi cruciali - quello dell'impegno degli stati dell'Asia Centrale - rimane aperto.
Pur con tutte queste complicazioni, il discorso dell'attuale presidente dell'UE, il primo ministro della Repubblica Ceca, Mirek Topolanek, durante la recente visita a Baku, ha confermato il crescente impegno assunto dagli attori europei verso il Nabucco, in vista del Summit di questa primavera degli stati partecipanti al progetto. Si tratta di un decisivo passo in avanti dell'Unione a fronte dell'importante posta in gioco in Asia Centrale ed anche, indirettamente, di una prova di quanto sia stata finora controproducente la politica estera ed energetica della Russia.
*Leila Alieva è presidente del Center for National and International Studies di Baku
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