Balcani: il grido inascoltato della democrazia dal basso
1 febbraio 2021
I momenti in cui coloro che hanno limitate possibilità di partecipazione politica alzano la loro voce, spesso si traducono in opportunità di cambiamenti sociali e politici. Le proteste non-violente si sono dimostrate spesso uno strumento legittimo per il miglioramento della società e per portare avanti la transizione democratica di un paese.
Anche nei casi in cui tali movimenti sociali non ottengono risultati immediati, per lo meno provocano l'opinione pubblica ed i cosiddetti “moderati” all'interno delle élite al potere e danno il via a cambiamenti futuri.
Negli ultimi due decenni nel sud-est Europa vi sono stati vari movimenti sociali, di proteste e rivolte. Tutti i paesi della regione hanno vissuto proteste, alcune violente e altre "colorate dalla pace".
L'impressione generale al giorno d'oggi è che la maggior parte di queste non abbiano portato ad alcun miglioramento. Resta il fatto che la fiducia espressa dai cittadini nei confronti di chi manifesta è spesso superiore a quella nell'establishment politico.
Il 5 ottobre 2020 ha segnato vent'anni dalle proteste che hanno portato alla caduta del regime di Slobodan Milošević in Serbia. In quell'occasione la Friedrich Ebert Stiftung assieme all'Istituto di Filosofia e Teoria Sociale di Belgrado hanno organizzato un dibattito sul ruolo nel cambiamento delle proteste e dei movimenti sociali. Come risultato di quello scambio coinvolgente e interessante è ora a disposizione una ricerca dal titolo (Unheard) Calls for Democracy from Below (Inascoltati. Le grida della democrazia dal basso).
Una pubblicazione che esamina le potenzialità dei movimenti sociali e di protesta per il consolidamento e il rinnovamento democratico. Analizza inoltre come la partecipazione dei cittadini assume forme diverse negli sforzi per cambiare le società e sollevarsi contro le tendenze autoritarie, che stanno attualmente riaffiorando in tutta la regione.
Gli autori – Gazela Pudar Draško, Vedran Džihić e Marko Kmezić – hanno voluto fornire una panoramica delle strade esistenti e potenziali per impegnarsi socialmente e per contribuire – nello stare insieme – a diminuire la paura, sempre presente nelle società dei "captured states".
Hanno fornito inoltre riflessioni sulle (re)azioni autoritarie dei governi contro tutte le forme di impegno dei cittadini. Inoltre hanno esplorato come l'innovazione democratica possa venire dal basso e come i movimenti sociali si possano trasformare anche in partiti politici, solitamente più aperti e inclusivi nei loro approcci alla politica.
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