Come far fronte all'aumento delle domande d'asilo dopo l'abolizione dei visti per alcuni paesi dei Balcani occidentali? Alcuni paesi europei hanno fatto emergere l'ipotesi di ritornare al sistema dei visti. Ma il centro di ricerca ESI lo ritiene senza mezzi termini "insensato" e propone soluzioni alternative
Nel dicembre 2009 l'Unione Europea decide di abolire i visti, per i soggiorni di breve durata, per Macedonia, Montenegro e Serbia. L'anno seguente fa lo stesso anche per Albania e Bosnia Erzegovina. Con l'abbattimento di questa barriere si è però venuta a creare una situazione critica: l'aumento notevole delle richieste d'asilo in alcuni paesi dell'UE.
Se infatti nel 2009 le richieste totali di cittadini provenienti dai Balcani occidentali erano circa 10.000, nel 2011 erano aumentate a 26.000, equivalenti al 9% delle richieste d'asilo totali nell'UE. La questione ha allarmato molti, ed alcuni sono arrivati a proporre il reintegro del sistema dei visti. È proprio su questo tema che l'European Stability Initiative , think tank con sede a Berlino, ha pubblicato, nel gennaio 2013, uno studio.
In particolare sono Serbia e Macedonia i paesi di provenienza dei richiedenti d'asilo che sono aumentati maggiormente: la prima è passata dalle 5.290 richieste del 2009 alle 15.135 del periodo gennaio-ottobre 2012, mentre la Macedonia, i cui richiedenti erano solo 940 nel 2009, ha visto fuoriuscire 8.115 richiedenti nel 2012. I paesi invece in cui vengono presentate più richieste d'asilo sono Germania, Belgio e Svezia, mentre il Lussemburgo è il paese dove vi sono più richiedenti in relazione alla popolazione.
La maggior parte dei cittadini balcanici che presenta la domanda non è però qualificata per ottenere asilo, infatti il tasso di ottenimento è stato solo del 2% nel 2011, contro il 21% per i richiedenti totali.
Secondo ESI questo picco delle richieste può essere imputato al fatto che tutti i richiedenti asilo sanno che, una volta arrivati nell'Unione europea otterranno i sussidi erogati durante il processo di esame della richiesta d'asilo. Questi benefici, in varie misure e combinazioni, consistono in vitto e alloggio, assistenza medica ed educazione, mentre alcuni paesi forniscono anche un contributo monetario mensile.
Più lunga è la procedura che esamina le richieste, più alti sono dunque i possibili vantaggi per chi richiede asilo pur sapendo di non avere i requisiti per ottenerlo.
ESI individua proprio nel tempo necessario all'elaborazione delle richieste di asilo la differenza delle situazioni fra vari paesi. Mentre in Germania, Belgio, Svezia e Lussemburgo la decisione di prima istanza arriva in media dopo 3 mesi, con sentenze d'appello che possono arrivare anche dopo 8 mesi, in Francia, Austria e Paesi Bassi il limite massimo per valutare le richieste è di 3 settimane, e la nuova legislazione svizzera, in vigore dall'agosto 2012, impone una decisione nelle prime 48 ore.
Il picco di richieste si è registrato, sottolinea ESI, proprio nel primo gruppo di paesi, mentre ad esempio in Austria le richieste dai cittadini dei Balcani occidentali erano 1000 nel 2009 e sono scese a 350 nel 2011, mentre in Francia erano 2.150 nel 2009 e 2.370 nel 2011. La situazione è simile in Paesi Bassi e Svizzera, con numeri che rimangono costanti o sono diminuiti fortemente nell'arco dei 3 anni successivi all'eliminazione dei visti.
ESI si pone in maniera critica verso la posizione di alcuni paesi che hanno proposto il reinserimento dei visti, per limitare la pressione economica derivante dalla presa in carico dei richiedenti d'asilo. Il think tank con sede a Berlino sottolinea inoltre come vi sia stata la tendenza a dare l'intera responsabilità del problema ai governi dei cinque paesi d'origine dei richiedenti asilo, che avrebbero dovuto limitarne la fuoriuscita. La stessa Commissione Europea ha suggerito alcune misure da intraprendere, quali campagne informative sui visti per soggiorni di breve durata, controlli all'uscita, investigazioni su agenzie di viaggio, aiuti alle minoranze (la comunità rom è quella da cui proviene la maggior parte dei richiedenti asilo). Secondo ESI i governi balcanici hanno dimostrato fin da subito piena collaborazione.
ESI prova dunque a cercare soluzioni alternative alla reintroduzione dei visti, processo lungo, che implicherebbe un cambiamento nella Regolamentazione dei Visti per l'Europa e costituirebbe un passo indietro nelle relazioni con questi paesi, minando anche il processo di liberalizzazione dei visti per altri Stati, quali Moldavia, Kosovo, Turchia e Ucraina.
Un concetto chiave adottato da alcuni Stati UE e applicato ai Balcani occidentali, che secondo ESI potrebbe influire positivamente sulle procedure d'asilo, è quello di “paese d'origine sicuro” (safe country of origin). La legislazione europea permette infatti agli stati membri di dare la priorità alle richieste d'asilo di cittadini provenienti da paesi così classificati, e di accelerare dunque il processo di esame delle domande, pur mantenendo dei requisiti procedurali minimi che salvaguardano i diritti dei richiedenti asilo.
Ma l'accorciamento delle procedure d'asilo non rischia di violare i diritti di coloro che ne fanno legittimamente richiesta? Analizzando il tasso di accoglimento delle richieste d'asilo in prima istanza negli ultimi tre anni, ESI nota che per Germania, Svezia e Lussemburgo è limitato allo 0,1%, mentre in Francia e Austria si attesta sul 7,3%. Sembra dunque, in maniera inaspettata, che l'allungamento delle procedure coincida anche con un abbassamento della possibilità di ottenere l'asilo.
In base allo studio di ESI le soluzioni possono essere due: o affrontare il problema a livello statale, e in questo caso sono gli Stati che stanno ricevendo il maggior numero di richieste d'asilo a dover accelerare e alleggerire le procedure d'esame delle domande. Oppure arrivare a un approccio unico europeo al problema, che proponga un limite massimo di 3 settimane per risolvere le richieste d'asilo di richiedenti che provengono da paesi considerati sicuri, pur salvaguardando i loro diritti come richiedenti.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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