La crisi degli sbarchi a Lampedusa e l'aumento nel flusso di richiedenti asilo dalla Serbia segnalato da Unhcr ed Eurostat a seguito della liberalizzazione dei visti. La risposta di Svezia e Belgio, i Paesi più interessati dal fenomeno dei nuovi rifugiati balcanici, la posizione delle autorità serbe. Maghreb e Balcani sullo sfondo dello scontro tra Italia ed Europa
In tempi in cui si alzano i toni per gli sbarchi sulle coste italiane di cittadini tunisini che vogliono lasciare il proprio Paese e di rifugiati di diverse nazionalità che fuggono dalla Libia in guerra, non è raro sentire nei programmi di informazione paragoni con quello che successe durante e dopo le guerre balcaniche degli anni Novanta per l’accoglienza dei profughi.
Se l’Italia si sente di portare un grosso peso per 20 mila migranti tunisini arrivati in poche settimane, dice il ministro degli Interni tedesco, cosa avrebbe dovuto dire la Germania che aprì le sue frontiere per 100.000 cittadini dell'ex – Jugoslavia in fuga dalla guerra?
Allo stesso modo la commissaria europea agli Affari interni Cecilia Malmström ha ritenuto non applicabile la direttiva 55/2001 sulla protezione temporanea di emergenza al caso dei cittadini tunisini che approdano in Italia. I tunisini spiega l'Ue non corrono alcun pericolo nel tornare in patria.
La direttiva 55/2001, invocata dal ministro dell'Interno italiano Maroni, venne adottata dall'Ue in seguito agli arrivi di sfollati dalla guerra del Kosovo. Balcani e Maghreb, insomma, due facce della stessa difficoltà politica dell'Europa nella gestione delle emergenze ai propri confini.
E se però il confine ad est ora non preoccupa più ed anzi i paesi dei Balcani stanno compiendo il cammino per diventare membri Ue, i dati usciti a marzo di due report, Eurostat e Unhcr, sui richiedenti asilo in Europa e nei primi 44 paesi industrializzati, hanno fatto sobbalzare molti sulla sedia.
I numeri dei rapporti Eurostat e Unhcr
Secondo il rapporto Eurostat , infatti, sembrerebbe tornata l'emergenza balcanica. Il terzo gruppo dei richiedenti asilo nel 2010 in Europa è quello dei serbi con 17.715 richieste, subito dopo cittadini afgani e russi. Ancora più impressionante il dato del report dell'Unhcr – con anche altri importanti stati di destinazione dei rifugiati come Usa Canada e Australia – che mette i cittadini serbi al primo posto con 28.901 richieste. L'Alto commissariato per i rifugiati include i cittadini che vengono dal Kosovo, al contrario di Eurostat; in ogni caso da Ginevra si registra un aumento di applicants del 54% rispetto al 2009 ed in genere risulta che siano più serbi (e kosovari) che afgani a fuggire dal proprio Paese chiedendo asilo politico in Europa o altrove. Numeri così, scrive l'agenzia ONU, si erano visti solo dopo la guerra in Kosovo nel 2001.
I Paesi dove si è registrato il numero maggiore di richiedenti dalla Serbia sono la Svezia (6.900), la Germania (6.800) e Belgio (2.220), in compenso una percentuale risibile delle richieste viene accettata: 50 in Svezia, 30 in Germania e 74 in Belgio (almeno per la prima istanza).
Anche i cittadini macedoni hanno più che decuplicato le proprie richieste di asilo in paesi esteri da 910 nel 2009 a 6.400 nel 2010, molti, secondo Unhcr, di origine rom.
I motivi della fuga dal proprio Paese
Ma c'è un'emergenza democratica in Serbia che lo giustifica? “La maggioranza di queste persone parte per motivi economici non politici, anche se non si possono escludere casi specifici ed è vero che la popolazione rom subisce ancora forti discriminazioni in Serbia. Ma la democrazia e il rispetto dei diritti umani sono riconosciuti in Serbia”, spiega Gregoire Goodstein capo missione dell'IOM (International Office of Migration) a Belgrado che si occupa di gestire i rimpatri volontari nei casi in cui ci sia un accordo di riammissione con il Paese di destinazione.
“Questo fenomeno è legato all'apertura delle frontiere e alla crisi economica che colpisce le fasce più deboli, ma pensiamo che sia un fenomeno destinato ad esaurirsi. C'è bisogno sicuramente di maggiore informazione rispetto all'entrata nella lista bianca di Schengen, l'IOM tramite un progetto europeo aprirà punti informativi sulla migrazione in zone sensibili in tutti i Balcani”, conclude Goodstein.
Svezia e Belgio tra le mete dei richiedenti asilo
In Svezia è un bus che parte due volte a settimana dalla Serbia che porta a Stoccolma centinaia di famiglie per lo più rom e di etnia albanese provenienti dal Sud della Serbia. Gli arrivi sono stati talmente numerosi che il governo svedese ha dovuto affittare container per ospitare i richiedenti in attesa di avere la pratica esaminata e addirittura hanno utilizzato strutture militari.
“Abbiamo avuto una prima ondata in primavera – racconta a OBC Fredrik Bengtsson, addetto stampa alla Commissione Nazionale per l'Immigrazione della Svezia – poi l'estate è stata abbastanza calma e l'autunno sono ricominciati gli arrivi. In netta maggioranza sono cittadini serbi di origine rom che avevano sentito questa ‘voce’: se si va in Svezia come richiedente asilo si ottiene casa lavoro etc. Ma la maggior parte di queste persone non ha i requisiti, se non rari casi personali”. E nel 2011? “Siamo a quota 600 cittadini serbi – dice Bengstsson – che non è tanto se si paragona all'anno scorso ma è molto se si paragona al 2009”.
Il Belgio ha avuto, nel 2010, 2.220 richiedenti asilo serbi e 3.230 provenienti dal Kosovo, cifre raddoppiate rispetto al 2009 tanto che il Commissariato generale per i rifugiati e gli apolidi belga ha istituito una task-force specifica per evadere le richieste provenienti dai Balcani. Secondo i dati dell'ufficio belga il 40% dei richiedenti asilo dalla Serbia sono rom e il 60% sono di etnia albanese della valle del Preševo.
“I cittadini di origine rom dichiarano di subire discriminazioni di tipo etnico e gli albanesi dichiarano di avere problemi con le autorità locali e in particolare con la gendarmeria”, racconta a OBC Ewout Adriaens del Commissariato generale belga per i rifugiati. E che succede a quelli che non ottengono l'asilo? "Ricevono un'ingiunzione per lasciare il Paese entro cinque giorni, ma molto spesso non lo fanno". Anche il Belgio, come altri Paesi, applica il rientro forzato e vuole intensificare questo tipo di azione ma ciò “non ferma certo queste persone, alcune delle quali hanno effettivamente bisogno di protezione o perché affetti da un documentato post traumatic stress disorder o per casi personali di discriminazione. I casi quindi vanno esaminati tutti”.
Belgrado promette all’Ue maggiori controlli
Intanto sia il governo serbo che i Paesi di destinazione già nel 2010 stanno lavorando per fermare questo flusso di richieste di asilo dalla Serbia. L'Ue a fine anno ha velatamente minacciato la sospensione della cosiddetta “lista bianca di Shengen” nel caso in cui la Serbia non riuscisse a controllare meglio le sue frontiere.
Il ministro degli Interni Ivica Dačić si è speso in varie occasioni per, da una parte, rassicurare i cittadini che la liberalizzazione dei visti non è a rischio e, dall'altra, per dissuadere i potenziali richiedenti asilo. “Dovrebbe essere chiaro a tutti – ha detto in più occasioni il ministro serbo – che la liberalizzazione dei visti non significa avere il diritto di lavorare, vivere e ottenere asilo politico in Ue”.
Nel 2010 si sono intensificate le relazioni con i Paesi di destinazione e la Serbia ha firmato accordi bilaterali per la riammissione dei propri cittadini, ultimo quello con la Germania. Nel contempo Belgrado ha rassicurato Bruxelles sul proprio impegno nell'invertire la tendenza. A marzo 2011 è stata costituita un specifica commissione governativa per monitorare i “richiedenti asilo fasulli”, come vengono chiamati sui media locali, guidata dal capo della polizia di frontiera Nenad Banović. Nella sua prima riunione a inizio aprile la Commissione ha potuto constatare che le richieste di asilo a inizio 2011 sono calate di almeno la metà rispetto all'anno precedente, questo sia grazie ad un controllo più efficace delle frontiere sia al monitoraggio di agenzie di viaggio e vettori che organizzano le partenze per i paesi Ue.
Chi fugge dalla Serbia?
La zona più colpita dal fenomeno in Serbia è il distretto di Pčinja, nel sud del Paese, strutturalmente più povera, colpita da tensioni etniche dovute ad una forte presenza albanese in particolare nelle municipalità di Bujanovac e Preševo. Si tratta di una zona caldissima per quanto riguarda i traffici illegali di ogni sorta, dalla droga agli esseri umani, percorsa da sussulti separatisti con la presenza di gruppi legati all'Uck e per questo zona controllata con il pugno di ferro dalla Gendarmeria serba.
Ma la motivazione più forte a partire non è di tipo etnico, bensì economico. La disoccupazione nelle due principali città del distretto di Pčinja tocca punte del 70%, lo stipendio medio mensile è sotto i trecento euro. Come diceva Ragmi Mustafa, sindaco di Preševo al network Balkan Insight a fine ottobre 2010: “Anche se vorremmo trattenerli, non abbiamo nulla da offrirgli”.
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