Una mappa dei Balcani - © Lewis Tse Pui Lung/Shutterstock

Una mappa dei Balcani - © Lewis Tse Pui Lung/Shutterstock

Sale la preoccupazione nei Balcani occidentali per l'evolversi della guerra in Ucraina. Questioni geopolitiche ed economiche fanno della regione uno dei luoghi di particolare attenzione per le possibili gravi ripercussioni legate al conflitto in corso

01/03/2022 -  Giovanni Vale Zagabria

Ci sono molti motivi per cui i Balcani occidentali stanno guardando con particolare apprensione all’evolversi della guerra in Ucraina. Dalle ragioni geopolitiche, con il tradizionale legame tra Russia e Serbia (unico paese europeo con la Bielorussia a non aver imposto sanzioni contro il Cremlino) e con il separatismo rampante del putiniano Milorad Dodik in Bosnia Erzegovina, a quelle economiche, con ad esempio l’imminente chiusura della banca russa Sberbank in Europa, una banca presente in molti paesi della regione. Fare un quadro della situazione non è facile, poiché ogni ora si registrano nuovi sviluppi, sia dal punto di vista militare che diplomatico ed economico. Ma proviamo a tracciare a grandi linee cosa sta succedendo e quali potrebbero essere gli scenari futuri nel sud est europeo.

Verso una crisi in Bosnia Erzegovina?

“Se [la Russia] conquista l'Ucraina, il punto più vulnerabile dei Balcani occidentali è Banja Luka”. Stevo Pendarovski, il presidente della Macedonia del Nord ha commentato così, venerdì 25 febbraio, l’invasione russa dell’Ucraina. Da mesi la Bosnia Erzegovina è sotto osservazione da parte della comunità internazionale, ovvero da quando Milorad Dodik, il leader della Republika Srpska (RS, l’entità a maggioranza serba della BiH) che da anni minaccia di fare secessione, è passato dalle parole ai fatti, con la creazione a Banja Luka di agenzie e istituzioni parallele a quelle che già esistono a livello nazionale a Sarajevo. Non si tratta solo di retorica: nel dicembre 2021 il parlamento della RS ha approvato una legge che sancisce il ritiro dell’entità dal sistema giudiziario, dall’amministrazione fiscale e dall’esercito bosniaco. Il parlamento ha dato al governo di Banja Luka sei mesi di tempo per completare la transizione, dunque fino a giugno 2022.

In tanti hanno denunciato quella che è stata definita «la più grande crisi esistenziale [della Bosnia Erzegovina, nda.] dalla fine della guerra», per usare le parole dell’Alto rappresentante per la BiH Christian Schmidt, ma l’ultimo intervento internazionale al riguardo dà un’idea ancora più concreta del livello di preoccupazione. Venerdì 25 febbraio, il capo della diplomazia europea Josep Borrell ha annunciato il rafforzamento della missione di pace Eufor Altea in Bosnia Erzegovina: i militari Nato presenti nel paese passeranno da 600 a 1.100 unità. “Assisteremo a delle provocazioni nei Balcani occidentali e soprattutto in Bosnia Erzegovina”, ha spiegato Borrell. In altre parole, si teme che Dodik approfitti della confusione generale per procedere con la secessione, ma non è l’unico che potrebbe essere tentato di agire. Anche Dragan Čović, il leader del partito nazionalista croato-bosniaco HDZ-BIH, spinge da mesi per una revisione degli Accordi di Dayton e sogna la creazione di una “terza entità”. Zagabria non fa mistero di voler sostenere il progetto.

L’aumento delle truppe internazionali in Bosnia Erzegovina – il cui numero rimane tuttavia simbolico più che in grado di scongiurare un conflitto – va dunque interpretato come un deterrente nei confronti di chi volesse prendere di sorpresa l’Unione europea e la Nato modificando lo status quo nel paese. Sul lungo termine, però, Bruxelles dovrà risolvere il problema dialogando con Banja Luka (e Belgrado), così come con Zagabria e con i nazionalisti croato-bosniaci. Finché non ci sarà una riforma che permetta alla Bosnia Erzegovina di diventare un paese funzionale, la crisi potrà essere solo rimandata e non scongiurata. Intanto, l’ultimo sviluppo: una telefonata tra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e Dodik è avvenuta questo lunedì. I due – ha detto il leader serbo-bosniaco – hanno convenuto l’implementazione di alcuni “accordi sottoscritti con Putin nel dicembre 2021”. Per il momento Dodik non ha dato ulteriori informazioni.

La Serbia rischia la fine del processo d’integrazione europea?

Non sono molti gli stati, in Europa, che non si sono allineati con la posizione di Bruxelles, condannando l’invasione russa e introducendo delle sanzioni contro Mosca. Persino la neutrale Svizzera ha annunciato lunedì le sue misure contro la Russia. Ecco che sulla mappa del continente solo due paesi mancano all’appello: la Bielorussia, che ha deciso di partecipare attivamente al conflitto e contro cui l’UE ha già annunciato nuove sanzioni , e appunto, la Serbia. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha aspettato due giorni prima di esprimersi, venerdì sera, sull’invasione russa dell’Ucraina. “Minare l’integrità territoriale di qualsiasi paese è una cosa molto brutta”, ha detto Vučić. Ma la Serbia ha “i suoi interessi vitali e i suoi amici tradizionali”, ed è per questo che non può imporre sanzioni contro Mosca, ha spiegato il capo di Stato.

Non solo la Russia è un alleato di lunga data di Belgrado, ma è anche un partner energetico e diplomatico indispensabile, uno stato che si è sempre battuto in sede internazionale contro il riconoscimento del Kosovo indipendente. Insomma, voltare le spalle a Mosca potrebbe avere un costo molto alto per la Serbia. Ma c’è anche un aspetto di politica interna: il prossimo 3 aprile, la Serbia è chiamata alle urne per le elezioni presidenziali, legislative e amministrative ed è ragionevole affermare che la maggioranza dei serbi siano contrari alle sanzioni (un sondaggio realizzato nel 2021 dall’Istituto per gli affari europei di Belgrado sostiene che per l’83% dei serbi la Russia è un paese “amico”). Seguire Bruxelles colpendo Mosca avrebbe potuto causare una sconfitta elettorale.

Dall’altro lato, però, abbandonare Bruxelles avrà delle ripercussioni. Un paio di eurodeputati hanno già espresso la loro indignazione per la scelta di Vučić e un alto diplomatico europeo di stanza a Belgrado mi ha confidato al telefono che “questa potrebbe essere la fine del processo di allargamento alla Serbia”. Non tutti però la pensano così. Il politologo serbo Srđan Cvijić, ad esempio, afferma che “ci sono già state, in passato, delle situazioni in cui Bruxelles avrebbe potuto interrompere il processo di integrazione, ad esempio per il peggiorare dello stato di diritto o della libertà di espressione, ma non lo ha fatto”. La partita è dunque aperta e tutto pare possibile, alla luce anche della velocità con cui l’Unione europea sta cambiando le sue politiche decennali

Un’accelerazione della Nato nei Balcani?

Cinque paesi dei Balcani occidentali sono ad oggi membri della Nato: la Slovenia (dal 2004), l’Albania e la Croazia (dal 2009), il Montenegro (2017) e la Macedonia del Nord (2020). Questi ultimi due ingressi, in particolare, sono stati accompagnati da polemiche nella regione e da rimostranze da parte della Russia. Fuori dall’alleanza sono invece rimaste Serbia, Bosnia Erzegovina e Kosovo. Se negli ultimi anni la Nato aveva dato segni di stanchezza al punto che Emmanuel Macron parlava nel 2019 di una sua “morte cerebrale”, dopo l’attacco russo all’Ucraina, l’Alleanza atlantica è tornata di gran moda, anche nei Balcani.

In Kosovo, ad esempio, il governo ha chiesto domenica la creazione di una base permanente della Nato e l’avvio di un processo di adesione accelerato (un’iniziativa che Aleksandar Vučić considera essere “un’idea delle lobby americane ed europee”). Come sappiamo, però, cinque paesi membri dell’Unione europea – Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro, i cui primi quattro fanno parte anche della Nato – non riconoscono ad oggi l’indipendenza del Kosovo. È difficile dunque pensare che la richiesta di Pristina sarà esaudita. Ma ancora una volta, molti sono i tabù che stanno crollando in questi giorni.

Per quanto riguarda la Bosnia Erzegovina, invece, il paese sta negoziando il suo ingresso ufficialmente dal 2008, con l’ultimo aggiornamento registrato nel 2018, quando l’alleanza ha approvato il Membership Action Plan (MAP), la fase di monitoring avanzata che precede l’adesione. Milorad Dodik è naturalmente contrario all’ingresso della Bosnia Erzegovina nella Nato, ma dall’altro lato, il timore di un nuovo conflitto sostenuto dalla Russia potrebbe spingere UE e Stati Uniti ad accelerare la richiesta di adesione. Lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha menzionato la Bosnia Erzegovina nel suo discorso di venerdì , assicurando sostegno al paese.

Ci aspetta una nuova crisi economica?

L’ultimo sviluppo che analizziamo è quello legato alle sanzioni imposte alla Federazione russa e alle conseguenze che queste potrebbero avere nei Balcani occidentali. Iniziamo con un disclaimer: contrariamente a quanto si possa pensare (soprattutto se si legge la stampa filo-russa), il peso economico della Russia nei Balcani non è enorme, dato che i primi partner commerciali e i maggiori investitori nella regione sono i paesi europei. La presenza russa interessa tuttavia alcuni settori in particolare, come quello degli idrocarburi e delle banche e gli stati sono esposti in modo diverso. Se "la Russia esercita un controllo diretto e indiretto su circa il 10 per cento dell'economia della Serbia, principalmente in settori chiave come energia e banche", in Montenegro gli investimenti diretti esteri russi rappresentano circa il 30% del prodotto interno lordo .

Per quanto riguarda le esportazioni dai Balcani verso la Russia, queste raramente rappresentano più del 2% del PIL nazionale, mentre le importazioni sono costituite principalmente da idrocarburi in tutti i paesi della regione. Ed è qui che i Balcani sono esposti a grandi rischi, essendo altamente dipendenti dal gas russo. È un discorso che vale anche per molti paesi membri dell’Unione europea, ma nella regione le percentuali di dipendenza aumentano in modo vertiginoso: se in media l’UE importa circa il 40% del suo gas dalla Russia, la Macedonia del Nord e la Bosnia Erzegovina dipendono completamente dal gas russo . La Serbia si rifornisce per quasi il 90% del suo fabbisogno, la Croazia per i due terzi e la Slovenia per metà. Inoltre, il gigante energetico russo Gazprom non si limita a vendere gas, ma controlla direttamente anche stazioni di servizio, strutture di stoccaggio e raffinerie.

Il settore bancario, infine, è quello in cui il conflitto sembra avere l’impatto più immediato. La filiale europea di Sberbank è infatti a rischio fallimento e possiede capitali per 13,6 miliardi di euro in Bosnia Erzegovina, Croazia, Slovenia e Serbia, oltre che in Austria, Germania, Repubblica Ceca e Ungheria. VTB, la seconda banca russa, è anch’essa presente nei Balcani. In Croazia, ad esempio, il gruppo alimentare Agrokor (diventato Fortenova dopo la recente ristrutturazione), proprietario dei supermercati Konzum e con oltre 50mila dipendenti, è nelle mani di VTB e Sberbank. Insomma, senza menzionare gli interessi nel mercato immobiliare (particolarmente importanti in Montenegro), la Russia è presente economicamente nei Balcani in alcuni settori strategici, che rischiano di essere scossi nei prossimi giorni. Anzi, il terremoto economico è in corso. Nella Republika Srpska il governo ha annunciato la nazionalizzazione della Sberbank, mentre le code ai bancomat sono già iniziate .

I Balcani col fiato sospeso

I Balcani sono uno dei terreni in cui negli ultimi anni la Russia di Putin è intervenuta maggiormente in opposizione all’Unione europea e agli Stati Uniti. Dalla creazione di un “Centro umanitario russo-serbo” a Niš nel 2012 (un centro di addestramento di cui l’UE ha chiesto la chiusura) al tentativo di colpo di stato denunciato dal Montenegro nel 2016 e in cui erano implicati due cittadini russi, passando per le proteste in Macedonia nel Nord nel 2018 in cui era coinvolto come finanziatore un ex parlamentare russo , negli ultimi anni non sono mancati i tentavi del Cremlino di modificare il quadro geopolitico dei Balcani. Le preoccupazioni per un’ulteriore ingerenza sono dunque comprensibili, ma molto dipenderà dall’esito della guerra in Ucraina. Si andrà verso un ritiro delle truppe russe o al contrario verso la completa occupazione del paese? Ci sarà un’escalation oppure Putin sarà estromesso dal Cremlino? Per il momento, i Balcani possono solo guardare con apprensione a quanto avviene a poche centinaia di chilometri di distanza.

Dossier

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