Una mostra fotografica che da Berlino si trasferirà poi nel sud est Europa. Che racconta i Balcani con grande libertà espressiva e presa di coscienza. Protagonisti 15 giovani fotografi
Per le vie di Berlino sono affissi i poster che pubblicizzano una mostra di fotografi balcanici. La foto raffigurata sui poster ritrae una ragazza metallara, che potrebbe provenire anche da una delle numerose subculture berlinesi. Una foto che certamente non si associa ai Balcani. Lo scatto, del fotografo albanese Bevis Fusha, è una presentazione significativa della mostra SEE New Perspectives from Balkan Photographers , che ha coinvolto 15 fotografi professionisti balcanici per raccontare i Balcani con le loro immagini, come di rado si vedono sia nei media balcanici che in quelli occidentali.
Finanziata da Robert Bosch Stiftung e da World Press Photo, la mostra è ospitata dalla DNA Galerie, nel cuore del quartiere centrale di Berlino, Mitte. Una concezione non classica quella del curatore Jeroen De Vrie: una presentazione di progetti, con una foto rappresentativa per ciascuno e il rispettivo progetto rilegato come un libro fotografico. Questo per ogni fotografo. Una mostra da esplorare, leggere e sfogliare.
Nuova generazione
I fotografi in mostra provengono da Albania, Bosnia, Bulgaria, Kosovo, Macedonia, Romania e Serbia. Lavorano come fotografi professionisti nei loro paesi o all’estero e rappresentano una nuova generazione di fotografi balcanici: hanno tutti tra i 20 e i 40 anni. La fotografia nei Balcani è in grande fermento, agevolato dal libero scambio di informazioni via internet, ma anche dal libero movimento che ha avvicinato i fotografi balcanici alle scene artistiche più interessanti d’Europa.
La tradizione fotografica nei Balcani risale al tardo ‘800 ma la fotografia è sempre stata un lusso delle classi più abbienti e i fotografi si sono sempre contati sulle dita di una mano, limitati ai maggiori centri urbani.
I vari sistemi autoritari e totalitaristi che hanno caratterizzato il secondo dopoguerra hanno fatto sì che la fotografia rimanesse un mezzo espressivo per pochi e riuscisse ad emergere un po' solo a livello di fotogiornalismo documentaristico.
Negli anni 2000 nei Balcani vi è stata però una progressiva democratizzazione della tecnica. Ciononostante i fotografi rimangono pochi, e soprattutto in pochi sono quelli che si prefiggono di raccontare storie sociali e impegnate del proprio presente. In questo senso il progetto SEE New Perspectives spiana la strada a un nuovo modello di fotografare nei Balcani.
Fotografia sociale
In mostra spiccano i fotoreportage classici, fotografia soggettiva ma che descrive aspetti sociali della vita di determinati gruppi dei Balcani. Come il progetto The Roma not in the news del romeno Octav Ganea che racconta la vita di quei rom che non corrispondono ai cliché mediatici di povertà ed emarginazione, che aspirano ad una realizzazione personale tra conflitti con la società e la famiglia di provenienza.
Il bosniaco Dženat Dreković esplora la vita di una troupe teatrale rom in un villaggio in Macedonia, oltre gli stereotipi. Una sfida riuscire a entrare in contatto con una comunità così underground, isolata dal resto della società ma di grande umanità e interesse artistico.
Un iter difficile anche quello del macedone Tomislav Georgiev che con il suo It’s ok to be gay, è riuscito a guadagnarsi la fiducia di alcuni omosessuali macedoni per riuscire a osservare da vicino una realtà parallela come di solito è quella delle comunità LGBT nei Balcani. Lo scopo quello di sensibilizzare, far capire agli altri che anche gli omosessuali sono persone normali come tutte le altre.
I giovani dei Balcani tra la vita in provincia, i sogni, e le difficoltà economiche hanno invece ispirato Marko Risović che ha osservato la vita di alcuni giovani in un villaggio romeno nei Carpazi. La maggiore città universitaria dei Balcani, Sofia, e la vita dei giovani universitari ha invece ispirato Vesselina Nikolaeva.
Per raccontare il presente dei Balcani non può mancare l’aspetto dell’emigrazione. Tra le storie di chi ce l’ha fatta, anche quella di chi poi ha importato una visione del mondo nuova, da impiantare nella realtà rurale e tradizionale di provenienza: il fenomeno delle ville costruite dagli emigranti in alcuni villaggi romeni è raccontato nel progetto Pride and Concrete di Petrut Calinescu senza tralasciare il forte impatto sociale e i traumi personali dei migranti romeni nei paesi dell’Europa occidentale.
Industrie, ambiente e persone
Sono diversi i fotografi balcanici che si interessano d’ambiente. Un settore estremamente problematico tra l’eredità dei regimi prima degli anni ’90 e gli abusi successivi a scapito dell’ecosistema e delle popolazioni locali. Vesselina Nikolaeva racconta la vita degli ultimi rimasti a Rosia Montana, località dove sono presenti numerose miniere d'oro, in Romania, e oggetto di vicende controverse che hanno visto contrapposti gli abitanti locali al governo nazionale e ad investitori interessati allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo.
Tomislav Georgiev intraprende invece una missione molto complessa e in modo quasi imbarazzante non ancora esplorata: quella di raccontare dell’inquinamento in Kosovo, tra le industrie dismesse del socialismo e l'impatto delle armi utilizzate dalla NATO nei bombardamenti del 1999. Un tema che rimane per lo più un tabù nella società kosovara.
Jasmin Brutus racconta invece il dramma quotidiano dei lavoratori illegali di carbone nella miniera di Zenica, in Bosnia Erzegovina.
Il linguaggio più facile
Oltre a raccontare i Balcani ai non balcanici, il progetto SEE new perspectives, è anche un modo per raccontare se stessi ai vicini di casa. Perché i balcanici almeno negli ultimi 20 anni soffrono di una estraniazione e stereotipizzazione reciproca. Confrontarsi quindi: con il prossimo, con il passato e con il presente.
E’ un saggio fotografico quello di Eugenia Maximova, Balkan Kitchen. Una fotografia intima e contemplativa di una fotografa che viaggia in vari paesi balcanici e fotografa la cucina nelle case delle persone, in quanto un luogo del subconscio storico-familiare, dell’antropologia balcanica, che accomuna tutti i balcanici in un unico spazio culturale.
Difficili e mal interpretabili le vicende serbo-albanesi. Su questo la fotografia universalizza, aiuta a eliminare la soggettività delle parole, e i fatti storici contesi. Una storia più esplorata, ma rappresentata dal vivo quella di Sanja Knežević Family Matters che con il mezzo di un reportage classico ha seguito il processo di fidanzamento di uomini della Serbia rurale e donne dell’Albania rurale. Immagini vive e simboli che raccontano un fenomeno in particolari che sfuggono ai reportage scritti.
I kosovari Jetmir Idrizi, Ferdi Limani e Armend Nimani superano il loro vissuto traumatico durante il conflitto in Kosovo, e cercano di indagare sul dramma dei serbo-kosovari che vogliono ritornare a vivere nel loro paese d’origine. Idrizi , in un altro progetto presentato, si prefigge anche di confrontarsi con una storia che solo di recente ha colto l’attenzione delle istituzioni, quella della memoria dei prigionieri politici in Albania: Museum of Bad Mermories, mira a documentare quel che rimane degli orrori del comunismo in Albania, ma va oltre la fotografia documentaristica con la scelta di fotografare in bianco e nero e l’uso delle immagini sfocate.
Fedi Limani documenta la vita attuale a Tanusha un villaggio tra il Kosovo e la Macedonia che come spesso avviene con le località di frontiera è stato un vero e proprio barometro dei conflitti etnici nei Balcani.
Armend Nimani invece elabora e si confronta con la sua esperienza di fuga dal conflitto nel ’99 percorrendo quei luoghi e cercando di illustrare l’altra parte della storia.
Confrontarsi con se stessi, con gli altri, a volte anche semplicemente guardarsi attorno e prestare attenzione alla quotidianità, e poi raccontare attraverso la fotografia. Quel che sta emergendo con i giovani fotografi balcanici è una nuova fase di libertà di espressione, critica presa di coscienza e sprovincializzazione dei Balcani.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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