Oggi abbiamo trascorso tutto il giorno a Vukovar per poi partire per Novi Sad. Continua il diario di 'Danubio: l'Europa si incontra'
Ore 9
La strada dedicata al "dr. Franjo Tudjman" è una linea che taglia in due il centro storico di Vukovar. Nella città appoggiata al grande fiume, quarta tappa del viaggio organizzato dall'Osservatorio, fervono i lavori di ricostruzione. Una frenesia recente. Le grida degli operai rompono il silenzio del mattino e le ruspe spostano calcinacci. Eppure la bellezza architettonica della città è persa per sempre. Proprio all'imbocco del centro è cresciuto un nuovissimo palazzo di specchi sulle cui vetrate si riflette un condominio che porta ancora i segni del fuoco e delle pallottole. Addentrandosi nel centro si alternano tetti crollati a negozi di fiori, macerie a promesse. Sulla città incombe la massiccia, e mille volte vista in tv, torre dell'acqua violentata dall'artiglieria, fungo rimasto vittima dei morsi di un gigante vorace. La torre è simbolo della città e di quel 1991 chiuso con l'esercito federale jugoslavo che lasciò mano libera alle milizie mercenarie per vincere le difese della città. Fu strage. Ignorata dai media, la battaglia era solo il preludio di un decennio di sangue.
Ore 10
Il centro pastorale di Vukovar è leggermente rialzato rispetto al resto della città. Un piazzale in fondo al quale una chiesa restrutturata, al suo fianco una palazzina: vetro, acciaio e cemento. Sul retro della palazzina un prato con una vista sul Danubio impigliata in una rete metallica. Aiuole curate, con erba da poco piantata. E' un forte contrasto con i moltissimi edifici a respirare il cielo, le finestre dei grattacieli dove la gente s'affaccia tra i fiori dellegranate, con i cantieri che sembrano essere riattivati solo ora. "Sono per l'Europa, ma un'Europa capace di rispettare le identità", con questa frase ci accoglie don Zlatko Spehar, padrone di casa. E' una frase ambigua in un luogo dove l'identità è stata ricercata con affanno, dove ha significato contrapposizione. Don Spehari, con un aspetto gentile ed un approccio da educatore, cammina su di un crinale pericoloso, quello che divide la consapevolezza delle proprie radici e della propria cultura dal conservatorismo nazionalista. E' un crinale sottile ma ingombrante che ci riportiamo tutt'intero nell'autobus, ritornando all'albergo Dunav dopo il seminario e ridiscutendo sull'intervento di don Spehari. Alcuni lo descrivono come un prete acuto che lotta contro il modello unico, la globalizzazione. Altri interpretano le sue posizioni come una chiusura nazionalista rispetto agli stimoli dellediversità. E' la complessità di questi luoghi difficili da comprendere. Che chiamiamo in transizione ma per molti aspetti rappresentano già il postmoderno. "Impiegheremo 60 anni a raggiungere standard italiani", affermava oggi un professore di sociologia di Osjek, città non lontana da Vukovar. Ma purtroppo non vi è un percorso rettilineo nemmeno se ci si "garantisce" con un lasso temporale così ampio, disilluso e senza speranze. Nel pomeriggio partiamo per Novi Sad, capitale della Vojvodina. Lo dobbiamo fare in autobus perchè l'acqua è bassa e tra Croazia e Serbia vi sono delle secche. Domani s'aspetta un'onda di piena, e con essa anche la barca ci raggiungerà ma per ora il fiume è stanco e lascia libere sottili linee di sabbia.
Ore 18
Si viaggia in direzione Novi Sad, che nel 1999 subì i bombardamenti Nato.Stasera cena alla fortezza e domani seminario sul ruolo delle città e dei cittadini nella costruzione di una nuova Europa.
Massimo Gnone - Osservatorio sui Balcani/Vita
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