E' tra i più importanti festival dell'Europa centro-orientale. Si è tenuta la 41ma edizione del Festival del cinema di Karlovy Vary. Un solo film balcanico in concorso, il bulgaro ''L'albero di Natale sottosopra'' di Ivan Cerkelov

11/08/2006 -  Nicola Falcinella Karlovy Vary

Il grande regista serbo Goran Paskaljevic presidente della giuria e in concorso solo il bulgaro "Obarnata elha - L'albero di Natale sotto sopra" di Ivan Cerkelov e Vasil Zivkov (2° nel concorso vinto dall'americano "Sherrybaby" di Laurie Collyer con Maggie Gyllenhaal) e nessun documentario. La partecipazione balcanica al 41° festival ceco di Karlovy Vary, il più importante dell'Europa centro orientale e non solo, tra i pochi considerati di "categoria A" come Cannes o Venezia e con ospiti di grande spessore come Andy Garcia o Terry Gilliam o Kim Ki-Duk, è stata abbastanza luci e ombre.

Molto folta la rappresentanza balcanica nella sezione "East of the West", dedicata all'est europeo: rappresentati quasi tutti i Paesi. In gara i rumeni "A fost sau n - a fost" di Corneliu Porumboiu e "Legaturi bolnavicioase" di Tudor Giurgiu, lo svizzero - rumeno "Ryna" di Ruxandra Zenide, il croato "Dva igraca s klupe - Due giocatori dalla panchina" di Dejan Sorak, l'ungherese "Feher Tenyer - White Palms" di Szabolcs Hajdu (2° ex equo), l'albanese "Magic Eye" di Kujtim Cashku, il bulgaro "Maimuni prez zimata - Scimmie in inverno" di Milena Andonova (vincitore), il serbo "Sutra ujutru - Domani mattina" di Oleg Novkovic (2° ex equo).

Di alcuni di questi si è già scritto da altri festival (come anche del bosniaco "Grbavica", dell'ungherese "Taxidermia" e del turco "Iklimler", presentati nella sezione Panorama). Abbastanza sconsiderata la decisione della giuria che ha premiato lavori come il bulgaro e il serbo piuttosto mediocri ignorando altri molto buoni.

Delude "Sutra ujutru", inutilmente complicata storia d'amore che fa parte di uno dei generi più praticati del cinema serbo recente: il ritorno. Ovvero un personaggio che torna in patria dopo un lungo periodo all'estero a causa delle guerre. In questo caso Nenad dopo 12 anni in Canada arriva a Belgrado per sposare Maja. Si ritrova precipitato in un passato che sembra non finire (l'unica differenza è che uno dei quattro inseparabili amici, Sima, è morto) e sospeso fra due donne (che si somigliano, creando qualche problema di riconoscimento). Il film, prodotto da Lazar Ristovski che si riserva il ruolo del padre, si isterilisce via via che la trama si sviluppa.

Molto solido, drammatico e grottesco (ma senza esagerare), è il film di Sorak, "Dva igraca s klupe". Una resa dei conti nel dopoguerra, una sorta di vendetta privata che è anche uno smascheramento di quello che era accaduto durante il conflitto. Un gioco alla vita o alla morte, verità o menzogna quel che conta sembra il bottino. Serbi e croati possono essere pari nella violenza e nella ferocia, ma anche guardarsi negli occhi, ammettere le proprie colpe e "giocare" dalla stessa parte. Un film che regge bene due ore di durata, ben recitato, utile per dibattere sulla guerra che fu.

"Magic Eye" immagina, ma non troppo, una guerra civile nell'Albania dopo il crollo del sogno delle finanziarie nel 1997. Il collasso è seguito dal caos totale. Ci si mettono anche gli occidentali e un cameraman francese, che interviene a modificare quel che accade per creare le "immagini calde" da inviare alle agenzie: ma l'anziano innervosito con un fucile in mano uccide involontariamente la nipotina. Di ricostruire la verità dei fatti s'incarica un altro anziano, un cineamatore che ha vissuto una giovinezza avventurosa nella Parigi dei '60 fra politica, cinema e donne bellissime. Nella pazzia totale si salva solo chi insegue folli sogni. "Magic Eye", opera di uno dei maggiori cineasti albanesi, è un road movie cinefilo, melodrammatico e un po' commedia da Argirocastro verso nord e, pur nelle differenze di tono, ricorda "Lamerica" di Gianni Amelio.

Un film in tre capitoli, a distanza di vent'anni uno dall'altro (nei '60, negli '80 e nei primi 2000), è il bulgaro vincitore. Le storie di tre donne, che non è difficile capire subito si tratti di nonna, madre e figlia. Destini di vita e amore molto complicati e dolorosi, tra bambini non voluti, abbandonati, sentimenti non corrisposti. La fatica di nascere, crescere, fare le proprie scelte e amare, in più la discriminazione (la nonna è rom). Ma la regista Milena Andonova, al debutto nel lungometraggio, rende tutto simile a una soap opera, tutto stantio, risaputo e sciatto nelle immagini.

Tra gli eventi speciali, il "Sundance Documentary Fund" ha presentato il documentario "Sjecas li se Sarajeva - Do You Remember Sarajevo?" (1992-2002) di Sead e Nihad Kresevljakovic e Nedim Alikadic: immagini riprese durante i 1325 giorni dell'assedio alla città da decine di cittadini, raccolte dai tre giovani registi e montate in un mediometraggio di 52 minuti. Un film che ha già circolato in festival e rassegne, che ha fotogrammi da vertigine e fa piangere e anche ridere amarissimo.


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