Cauto ottimismo e un nuovo pacchetto di incentivi economici per i Balcani occidentali: col "pacchetto allargamento 2020" l'Ue prova a rilanciare l'integrazione della regione, ma le prospettive restano quelle di un progresso lento e mai scontato
(Questo articolo è stato pubblicato in anteprima su Europea )
Un “pacchetto allargamento 2020” dai toni rigorosi, ma venato di cauto ottimismo, accompagnato da un nuovo piano di investimenti infrastrutturali e strategici per la regione. Così il 6 ottobre scorso il Commissario per l'Allargamento Olivér Várhelyi ha presentato il rapporto annuale della Commissione sul percorso di adesione dei Balcani occidentali, ennesimo tentativo di rilanciare la graduale integrazione dell'area nello spazio UE.
Da anni l'Unione è impegnata in un delicato e complesso esercizio di tira e molla nella regione, non privo di rischi: a frenare sulla strada della membership la sempre più accentuata “fatica da allargamento” trasformatasi poco a poco in un esplicito scetticismo, soprattutto in alcuni paesi membri; a spingere invece centralità strategica dell'area e il crescente timore che attori interessati e spregiudicati, come Cina, Russia e Turchia, possano approfittare dell'apatia europea per guadagnare posizioni e clienti.
Con il nuovo rapporto, abbinato al piano di sviluppo, si tenta quindi riattizzare le braci di una relazione, quella tra i Balcani occidentali e l'UE, che si sta trasformando in un lungo fidanzamento senza data per le nozze in vista, una situazione sfibrante che fomenta non poche tensioni e frustrazioni, soprattutto nei Balcani.
Al momento Serbia e Montenegro guidano il gruppo ed hanno già aperto più di un capitolo negoziale, Albania e Macedonia del nord hanno recentemente avuto luce verde all'apertura dei negoziati, seguono la Bosnia Erzegovina, che ha presentato richiesta ufficiale per diventare candidato ufficiale e il Kosovo, fanalino di coda, che può vantare solamente la firma del'Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA).
Per rilanciare il cammino, la Commissione mette quindi in campo nuove risorse economiche dopo il pacchetto emergenza da più di tre miliardi di euro lanciato lo scorso giugno per auitare i Balcani occidentali a superare la crisi COVID-19. Stavolta si guarda invece al medio periodo, con un contributo previsto di nove miliardi nei prossimi sette anni (anche se non è stato specificato in quale misura si tratta di prestiti o contributi a fondo perduto) oltre ad un meccanismo di garanzia che dovrebbe attirare ulteriori venti miliardi di investimenti pubblici e privati.
Se le speranze della Commissione dovessero trasformarsi in realtà, l'iniezione totale di nuove risorse economiche dovrebbe fornire una spinta importante ai sei paesi dell'area, alimentando una crescita media annuale al 3,6% e riducendo così almeno in parte il profondo gap di sviluppo nei confronti dei paesi membri.
Nel compilare la lista delle priorità degli investimenti previsti, gli esperti della Commissione hanno scelto di seguire strade battute: in cima alla lista c'è l'ammodernamento delle infrastrutture stradali e ferroviarie nell'area, ormai obsolete e spesso incomplete, per collegare tutte le capitali dei Balcani e rilanciare il flusso di persone e di merci.
Altro capitolo importante è quello dell'energia: al centro della strategia efficienza energetica - per ridurre i consumi - e introduzione sempre più significativa del gas come fonte energetica “pulita” in sostituzione di carbone e idrocarburi, ancora pesantemente presenti nella “torta energetica” dei Balcani occidentali.
Quando interrogato in parlamento europeo sulle modalità di erogazione, Várhelyi ha confermato il nuovo, cauto approccio UE: legare in modo sempre più stretto l'effettiva distribuzione dei fondi a risultati visibili nel campo delle riforme. In caso di dubbi o insoddisfazione da parte di Bruxelles, gli investimenti previsti possono sempre essere bloccati, è stato il messaggio tutt'altro che velato del Commissario.
Perché nonostante alcuni segnali incoraggianti – e qui veniamo al giudizio politico della situazione nei Balcani occidentali espresso dal rapporto annuale – i problemi da affrontare e risolvere nella regione restano molti, soprattutto se parliamo di sistema giudiziario, corruzione, criminalità organizzata, amministrazione pubblica e libertà dei media.
Piuttosto severo il giudizio sulla Serbia, criticata a livello politico per la gestione delle ultime elezioni del giugno scorso, che dopo una campagna estremamente contestata, e segnata dal sostanziale boicottaggio dell'opposizione, hanno portato ad un nuovo parlamento dominato dal Partito progressista del presidente Aleksandar Vučić, “una situazione non favorevole al pluralismo nel paese”. Sotto la lente d'ingrandimento anche la libertà di informazione, minacciata da concentrazione dei media, scarsa trasparenza sulla proprietà, schiacciamento delle tv sulle posizioni governative, ma anche minacce, intimidazioni e violenza contro i giornalisti.
Più sfumata la valutazione sul Montenegro: se da una parte viene stigmatizzato il clima di violenta polarizzazione durante la campagna elettorale sfociata nelle consultazioni di fine agosto, l'organizzazione delle elezioni è stata giudicata in termini sostanzialmente positivi, tanto più che, per la prima volta negli ultimi trent’anni il paese ha assistito ad un cambio di governo, con la scofitta dell' “eterno” Milo Đukanović. E se in molti settori vengono individuati passi in avanti, anche in Montenegro la situazione della libertà di stampa resta problematica.
Le parole più lusinghere vanno invece alla Macedonia del nord, che nonostante le generali difficoltà dell'ultimo anno “ha continuato a rafforzare democrazia e stato di diritto” mentre il parlamento di Skopje “ha operato con maggiore trasparenza”.Le elezioni politiche di luglio sono state “generalmente ben organizzate” ed hanno dato vita “ad una reale competizione politica”. Anche negli altri settori, libertà dei media, cooperazione regionale, diritti fondamentali, lotta a corruzione e criminalità organizzata, riforma dell'amministrazione e del sistema giudiziario, la pagella europea della Macedonia del nord e del premier socialdemocratico Zoran Zaev può dirsi sostanzialmente positiva.
Il convulso anno politico dell'Albania emerge chiaramente dal rapporto UE, con pesante polarizzazione della vita politica, boicottaggio delle elezioni locali da parte dell'opposizione, parlamento a regime ridotto, tentativo (abortito) di impeachment del presidente. Il giudizio è parzialmente ammorbidito grazie all'accordo sulla riforma elettorale raggiunto lo scorso giugno, “ma il dialogo politico nel paese deve migliorare”. Moderatamente positivo il giudizio sugli altri settori, anche se la riforma del sistema giudiziario, attualmente sottoposta ad un profondo processo di rivalutazione di giudici e procuratori (vetting) ha ancora molta strada da fare.
Nel suo giudizio sulla Bosnia Erzegovina, la Commissione fotografa la realtà di un paese disfunzionale, col parlamento bloccato, quattordici mesi di contrattazioni per giungere ad un governo, una costituzione considerata incompatibile con al Convenzione europea sui diritti umani, difficile inclusione della società civile nel dialogo con le istituzioni. Anche le riforme di amministrazione e del settore giudiziario languono, come la lotta a corruzione e criminalità organizzata, mentre qualche nota positiva arriva dalla riforme in economia e dal ruolo attivo nella cooperazione regionale.
Anche per il Kosovo, l'anno trascorso ha portato pochi progressi nel percorso di avvicinamento all'UE. Il paese è stato infatti impegnato in una lunga serie di rovesciamenti a livello politico, con elezioni anticipate, faticosa creazione di un governo affossato in piena pandemia COVID-19, e segnato dall'incriminazione del presidente Hashim Thaçi per crimini di guerra. Un turbinio di eventi che ha lasciato poco spazio alle riforme, nonostante il “limitato progresso” nel settore economico e della lotta alla corruzione e criminalità.
Nel capitolo speciale delle relazioni con la Serbia – segnate nelle settimane scorse dall'accordo di normalizzazione economica sottoscritto sotto l'egida del presidente americano Donald Trump, la Commissione saluta la ripartenza del dialogo facilitato dall'UE, chiudendo con parole divenute ormai un vero e proprio mantra: per avanzare sulla strada dell'integrazione, Kosovo e Serbia devono raggiungere un accordo “comprensivo e giuridicamente vincolante”.
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