Si amplia la frattura in seno all’UE sul tema migrazioni dopo che sei stati dell’Europa centrale hanno deciso di unire i propri eserciti per fronteggiare l’eventualità di una nuova “crisi migratoria” sulla rotta balcanica
Sei stati dell’Europa centrale uniscono i propri eserciti contro i rifugiati. I ministri della Difesa di Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria si sono incontrati lunedì a Praga, nell’ambito della “Central European Defence Cooperation” (CEDC), iniziativa multilaterale che dal 2010 li unisce. Obiettivo del vertice, come riporta il ministero della Difesa ungherese, quello di discutere della “gestione dell’immigrazione illegale di massa, con particolare attenzione alla rotta balcanica”.
A meno di una settimana di distanza dalla decisione della Commissione europea di imporre delle sanzioni contro Ungheria, Polonia e Slovacchia per non aver rispettato le quote di ripartizione dei rifugiati stabilite in sede europea (ricordiamo che dei 160mila richiedenti asilo che Bruxelles intende ridistribuire da Grecia e Italia, soltanto 20mila sono stati accettati dagli altri paesi membri), ecco che i paesi dell’Europa centrale rispondono con un guanto di sfida. Un “piano d’azione comune ” - come l’hanno definito i sei - che si attiverà nel caso di una nuova “crisi migratoria”.
Nel dettaglio, l’accordo segue quanto già statuito al “Forum di Salisburgo” nel febbraio 2017, quando i ministri dell’Interno e della Difesa degli Stati CEDC avevano già assicurato il proprio impegno a mantenere “sotto controllo” la rotta balcanica, avendo anche l’accortezza, allora, di invitare pure la Grecia e “gli amici del Forum di Salisburgo”, ovvero i quattro paesi non-Ue dei Balcani occidentali (Kosovo escluso).
“Parametri comuni nella gestione dell’immigrazione”, “esercitazioni congiunte” o ancora “meccanismi di cooperazione” venivano allora presi in considerazione, ricalcando un modello che Austria ed Ungheria hanno già avviato nel 2016, quando Vienna ha inviato un suo contingente alla frontiera serbo-ungherese.
Proprio prima del summit di questa settimana, il ministro della Difesa austriaco si è recato nei pressi del “muro di Orban”, per osservare, assieme al suo omologo magiaro, come le truppe dei due paesi stiano lavorando congiuntamente. E a proposito del “muro” voluto da Budapest, il ministro austriaco Hans Peter Doskozil (membro del Partito socialdemocratico, SPÖ) ha affermato che si tratta di un “giusto passo” nella messa in sicurezza delle frontiere esterne dell’area Schengen.
Novità dell'accordo
Se la dichiarazione comune, sottoscritta dai sei, si limita a ripercorrere dei contenuti politici non nuovi (“protezione dei confini esterni”, “creazione di un modello di gestione che possa ispirare l’Ue” o ancora “eliminazione alla radice delle cause dell’immigrazione”), i contenuti del Piano d’azione presentano qualche novità significativa.
Secondo il quotidiano zagabrese Jutarnji List , che cita il sottosegretario alla Difesa croato Petar Mihatov, l’accordo significa innanzitutto che in caso di una riapertura della rotta balcanica “gli eserciti dei sei paesi dell’Europa centrale si presenteranno assieme ai confini”.
Da ultimarsi “entro una decina di giorni” (ad esempio indicando il numero di effettivi da dispiegare), il Piano d’azione prevede anche una cooperazione tra le rispettive forze di polizia, con esercitazioni congiunte da iniziarsi entro la fine dell’anno.
Infine, un ulteriore punto politico riportato dall’Associated Press riguarda la protezione umanitaria. “Uno degli obiettivi del gruppo [dei sei paesi, ndr.] è che tutti i migranti che vogliono fare domanda di asilo negli stati membri dell’Ue devo farlo in centri che si trovano al di fuori del blocco”, scrive l’agenzia americana.
Nonostante nel documento sottoscritto gli stati della CEDC si impegnino a collaborare solo con chi “condivide i valori dell’Ue e nel rispetto del diritto internazionale”, nei fatti la distanza tra Bruxelles e le capitali centro-europee si fa dunque più grande in tema di immigrazione.
Dei circa 3mila rifugiati che avrebbero dovuto ricevere da Grecia e Italia, Austria e Ungheria non hanno accettato fino ad oggi nemmeno una persona, mentre Croazia, Slovenia, Slovacchia e Repubblica Ceca hanno acconsentito a ricevere meno di 300 richiedenti asilo (e di questi, 200 solo in Slovenia) su un totale previsto di oltre 5mila.
Il risultato è che meno di 8mila rifugiati sono stati effettivamente ricollocati da Grecia e Italia (ed un accordo di principio esiste su circa 20mila), su un totale di 160mila persone prese in considerazione dal sistema delle quote. Un meccanismo di ripartizione definito da Bruxelles sulla base del Pil, della popolazione e ancora della superficie degli stati membri.
E all’annuncio dell’avvio di una procedura d’infrazione da parte del commissario europeo all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, il Primo ministro della Repubblica Ceca, Bohuslav Sobotka, ha risposto assicurando di essere pronto a difendere la propria posizione davanti alle istituzioni giudiziarie dell’Ue, mentre da Budapest Victor Orban ha parlato di un ricatto da parte di Bruxelles.
Con l’accordo di questa settimana, il centro Europa manda un nuovo messaggio, riconfermando la propria posizione e approfondendo quella che ormai è una frattura sempre più profonda all’interno dell’Ue. A chi chiede il rispetto dei valori e della solidarietà comunitaria, il ministero della Difesa ungherese risponde tuonando: “L’Europa centrale si schiera unita contro l’immigrazione illegale di massa”. Vienna e molte altre capitali della regione sottoscrivono.
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