Nel silenzio mediatico la cosiddetta rotta balcanica continua ad essere usata da migranti e rifugiati, si è solamente spostata più a ovest verso la Bosnia Erzegovina. Gravi violenze sui migranti al confine con la Croazia
Dall’inizio dell’anno, seimila migranti e rifugiati sono entrati in Croazia passando per la Bosnia Erzegovina. La settimana scorsa, il responsabile del Dipartimento per gli Stranieri al ministero della Sicurezza bosniaco, Slobodan Ujić, ha dichiarato infatti che, dall’inizio del 2018, il suo paese “ha registrato l’ingresso di 9.730 persone” e che “di queste, il 60% è riuscito ad attraversare il confine croato”. Nel silenzio mediatico che accompagna gli spostamenti sulla rotta balcanica, migliaia di persone continuano dunque a muoversi attraverso gli stati dell’ex Jugoslavia, passando dalla Bosnia alla Croazia e successivamente entrando in Slovenia.
A conferma di questo, sempre negli ultimi giorni, le autorità di Lubiana hanno chiesto a Zagabria di “controllare meglio il proprio confine con i paesi confinanti”, perché le autorità slovene stanno fermando “circa mille migranti ogni mese” e, se la situazione non dovesse cambiare, il paese “sarà costretto a prendere delle misure che non saranno facili, ma necessarie”. Una dichiarazione che lascia immaginare che sia ancora possibile vedere un irrigidimento dei controlli ai confini, l’utilizzo di ulteriore filo spinato e la chiusura delle frontiere.
La Bosnia in difficoltà
Pachistani, siriani, iraniani - queste le nazionalità più frequenti stando alle informazioni delle autorità bosniache - continuano ad utilizzare una rotta balcanica leggermente spostata verso ovest rispetto a quella che fu impiegata nel 2015 e nel 2016. Invece di attraversare la Serbia e di puntare verso l’Ungheria, si tenta oggi la via di Bihać in Bosnia e del passo di Velika Kladuša, a cui segue un brevissimo tratto di Croazia (poco più di 60 km, attorno a Karlovac) e infine la frontiera slovena e quindi dell’inizio dell’area Schengen.
Per la Bosnia, che negli ultimi mesi si è riscoperta paese centrale nel passaggio di questo flusso di persone (comunque molto minore rispetto a quello di due anni fa), si tratta di una sfida difficilmente gestibile. A più riprese, Sarajevo ha avvertito di non avere i mezzi per controllare il proprio territorio né per poter dare accoglienza ai rifugiati che si trovano nella capitale o a Bihać. Per monitorare la frontiera servirebbero almeno 500 agenti in più, ha indicato il ministero della Sicurezza bosniaco, mentre per accogliere i migranti bisognerebbe costruire strutture che per il momento non ci sono.
A Bihać, nel nord ovest del paese, proprio a causa delle crisi migratoria, è prevista una manifestazione di protesta il prossimo 13 agosto dal titolo “Perché Bihać? ”. Il sindaco di Bihać, Šuhret Fazlić, ha spiegato alla televisione regionale N1 che “queste proteste non sono rivolte ai migranti. Non vogliamo inviare alcun messaggio d’odio o xenofobo. Ci rivolgiamo alle autorità dello Stato che non funzionano”. Il dito è puntato dunque contro il governo federale e, ancor più in là, contro gli Stati europei, che lasciano che sia Sarajevo a occuparsi della questione.
Secondo il primo cittadino, infatti, “ci sono ancora 3-4mila migranti qui, la maggior parte dei quali restano irregolarmente, ma nessuno conosce i dati precisi e tutti si aspettano che sia la comunità locale a risolvere il problema. Non è giusto che un problema europeo come questo sia messo sulle nostre spalle”. Ma è da Bihać che passa la via più breve per raggiungere l’area Schengen e per questo il flusso migratorio continuerà a transitare in questa area, anche se entrare in Croazia non è facile.
Le violenze al confine croato
Alla frontiera croato-bosniaca le pattuglie sono infatti sempre più numerose e, stando alle testimonianze di Ong e rifugiati, anche più violente. Per il ministro dell’Interno di Zagabria, Davor Božinović , “è grazie all’ottimo lavoro della polizia, se il nostro paese può permettersi di lasciare le sue frontiere aperte e non usare filo spinato”. Ma questo punto di vista è stato messo in forte discussione negli ultimi giorni dalle associazioni umanitarie che soccorrono i migranti da entrambi i lati del confine.
La settimana scorsa, l’Iniziativa Dobrodošli (Benvenuti), che segue il fenomeno migratorio fin dal 2015, ha accusato gli agenti croati di “sistematiche azioni inumane”, riportando le testimonianze di migranti espulsi dalle forze dell’ordine direttamente al confine, a volte derubati e con evidenti segni di percosse. Alcune foto di un migrante picchiato dagli agenti sono state diffuse anche dall’organizzazione umanitaria “No Name Kitchen ” e sono state riprese dalla stampa croata. L’Iniziativa Dobrodošli ha invitato i poliziotti contrari a tale “pratica generalizzata” a testimoniare in modo anonimo.
Ma anche se non è la prima volta che le forze dell’ordine croate sono accusate di violenze e di praticare dei “push-backs” illegali (dei respingimenti alla frontiera che non permettono di formulare una richiesta di asilo), il sindacato della polizia ha assicurato che “tali incidenti, se davvero sono avvenuti, sono da considerarsi dei casi isolati da condannare”. Nel loro comunicato, gli agenti accusano invece la stampa di veicolare un’immagine negativa della polizia, che tre anni fa, ai tempi della “rotta dei Balcani”, si era inizialmente distinta per un comportamento umanitario nei confronti dei profughi.
“Ci chiediamo dove siano finite tutte quelle foto dei poliziotti che aiutano i migranti… è impossibile che il nostro atteggiamento sia cambiato da un giorno all’altro”, si legge nel comunicato. La frase ha inevitabilmente innervosito l’Associazione dei giornalisti croati (HND) che ha risposto con un documento altrettanto lapidario: “La bella immagine dei poliziotti croati è sparita nel momento in cui questi ultimi hanno cominciato a picchiare, derubare e sparare sui rifugiati, stando alle testimonianze dei migranti stessi”.
A fine maggio, in effetti, un furgoncino che trasportava una trentina di migranti era stato fermato a colpi di pistola dagli agenti croati e due ragazzini erano rimasti gravemente feriti. L’episodio ha scatenato una polemica e diviso l’opinione pubblica in Croazia. Ma da allora, la situazione al confine croato-bosniaco non è migliorata, anzi. Le Ong continuano a registrare casi di violenza, mentre il flusso migratorio prosegue in direzione della Slovenia e dell’area Schengen.
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