© Litvinova Oxana/Shutterstock

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La risposta di Diego Zandel al commento di Božidar Stanišić sul testo di Zandel “Anita Likmeta e la fiaba sul comunismo”, pubblicato su queste pagine lo scorso 19 agosto

23/08/2024 -  Diego Zandel

Gentile Božidar Stanišić,

la ringrazio per gli appunti. Recensere, dunque, significa esaminare, riflettere. Ed io questo ho fatto, ho esaminato e riflettuto sul romanzo di Anita Likmeta, ovviamente con il carico culturale ed esistenziale che mi porto dentro e dietro. Carico che mi ha spinto prima a scegliere di leggere quel libro (tra tanti titoli che escono ogni giorno, si scelgono quelli che possono soddisfare la nostra curiosità, interesse, passioni, purtroppo non si può leggere tutto). E una volta letto, trarre le riflessioni in base ai miei parametri culturali ed esistenziali. Con tutta la buona volontà, per quanto apprezzi molto il suo lavoro di scrittore (leggo sempre con interesse i suoi articoli sull’Osservatorio), non posso sostituirmi a lei. E la mia riflessione, qui, l’ho espressa liberamente, così come, altrettanto liberamente, lei, qui, contesta la mia lettura.

Se, poi, la sua preoccupazione sia quella che io scriva contro il comunismo per sentito dire, la posso tranquillizzare: ho conosciuto molto bene la Jugoslavia di Tito (pensi, mio padre è stato pure partigiano in una delle sue armate, la 4a), ho tanto frequentato, amici, tanti parenti, e scrittori quando lo sono diventato anch’io (pensi, ancora giovanissimo ospite a Sarajevo di Mak Dizdar o al caffè con Ciril Zlobec), mentre qui in Italia per anni ho scritto molto anche per L’Unità – organo del PCI, e addirittura, seppur meno, anche per Rinascita e, più tardi, per Il Manifesto.Ma proprio questa esperienza, l’aver conosciuto dall’interno un paese e un partito, lo reputo oggi una fortuna, perché mi impedisce di parlare di qualcosa di così dirimente come il comunismo e la sua storia, senza conoscere la materia, l’ambiente, la storia, i personaggi.

Ormai, negli anni, ho visto troppa gente pensare in termini ideologici, addirittura nostalgici, da decidere col tempo di ragionare con la mia testa, anche nella valutazione del passato, sedotti come siamo spesso – proprio per il trascorrere del tempo e del mondo che cambia – dal ricordo di qualcosa che oggi appare ai nostri occhi migliore di quanto fosse nella realtà. Pensi che tante volte, e chiudo, mi viene la nostalgia del campo profughi dove sono cresciuto, quel senso di comunità, quello stare insieme, quel nostro giocare di ragazzini nel lunghissimo corridoio che ci accoglieva, il divertimento nelle feste di Natale, pur così povere (eravamo 11 famiglie in un padiglione, una sorta di falansterio, e non ho mai sofferto di essere figlio unico), ma il ricordo non contempla, anzi rimuove l’altra faccia della realtà che più marcava la nostra vita, le lacrime, la penuria di cibo, di lavoro, la miseria degli ambienti, dei servizi igienici, se si potevano chiamare tali, e l’incognita per il futuro, nel dolore nei volti e nelle parole degli adulti per ciò che si era lasciato. E, ciononostante, arrivare, per la prima volta a 6 anni, nel 1954, poi sarà per tutte le estati a venire, alla casa dei nonni, nella Fiume jugoslava, e scoprirsi più fortunati di loro e dei miei coetanei con i quali giocavo, anche se allora ancora non capivo perché. Però, sa, a dispetto del pane nero, solo quello, del cibo scarso e monotono se non quasi esclusivo, oppure del farmi segno di non porre, nella mia semplicità di bambino, certe domande, ho nostalgia pure di quella Fiume, dei bagni a Cantrida, delle gite in vaporetto con gli zii (ogni tanto guardo le foto, struggenti), ma la vera realtà era drammaticamente un’altra, che a me, sentivo, per diversi anni è stata taciuta. 

In conclusione, le consiglio comunque di leggere anche il romanzo "Le favole del comunismo" di Anita Likmeta.

Cordiali saluti,

Diego Zandel


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