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Jovan Divjak, Sarajevo 22 giugno 2019 (foto N.Corritore)

Il 22 giugno a Sarajevo, si è svolta una giornata dedicata al 25esimo anniversario dell'associazione "L’istruzione costruisce la Bosnia Erzegovina”, fondata nel 1994 in pieno assedio, da Jovan Divjak e altri 57 sarajevesi. Decine di persone, venute anche da paesi stranieri, hanno partecipato ad un momento di forte condivisione

04/07/2019 -  Nicole Corritore

Siamo partiti in tanti dall’Italia – da Trento, Brescia, Milano, Alessandria, Formigine, Marotta di Mondolfo e altri luoghi - per partecipare al 25esimo dell’associazione "L’istruzione costruisce la Bosnia Erzegovina” (Udruženje “Obrazovanje gradi BiH” - OGBH ) fondata il 28 luglio del 1994 da Jovan Divjak e altri 57 cittadini e cittadine - tra attori, scrittori, artisti, attivisti, militari, poliziotti - di Sarajevo, città allora ancora sotto assedio.

Persone in rappresentanza di associazioni, ma anche semplicemente di se stessi, che in questi anni l’hanno sostenuta organizzando scambi tra studenti dei propri territori e quelli bosniaci, raccogliendo fondi, organizzando eventi.

Jovan Divjak, una vera celebrità. Per anni chiamato “l’ex generale serbo”, “il generale jugoslavo” o “il militare serbo” che difese Sarajevo dai “suoi”, per alcuni diventato un eroe, per altri un traditore. A tutti loro, da venticinque anni, Jovan Divjak risponde: "Sono una persona che ha deciso di difendere i cittadini e le cittadine di Sarajevo". Ma soprattutto, per molti, è semplicemente Čika Jovo (Zio Jovo).

Sotto assedio nasce dunque un’associazione con l’obiettivo di occuparsi dei più fragili e allo stesso tempo colonna del futuro del paese, i bambini: orfani, vittime di guerra, con problemi socio-economici, con disabilità, con difficoltà di apprendimento, e minori della comunità rom.

Borsisti Ogbh, 22 giugno 2019 - Foto N.Corritore

L'associazione li sostiene negli studi, nel loro percorso di ricostruzione personale e familiare post-conflitto, nello scambio con coetanei dentro e fuori dai confini del paese, offrendo molto più del semplice sostegno economico. "Se tutti coloro che sono stati aiutati da Čika Jovo fossero qui oggi, si dovrebbe affittare lo stadio olimpionico Zetra per contenerci tutti". Elma, una delle ex-borsiste e socia, oltre che volontaria dell’associazione, apre così il suo discorso alla cerimonia tenutasi presso la sede della municipalità Stari Grad Sarajevo , il 22 giugno scorso. "Voi conoscete solo una piccola parte di quello che l’associazione fa", ha poi aggiunto, "al di là della borsa di studio, c’è molto altro: è una famiglia, una comunità, che ci ha accolti e che sentiamo nostra".

Venticinque anni di molteplici attività che Jovan Divjak ha raccontato nel dettaglio nel suo discorso tenutosi in tarda mattinata, durante la consegna delle targhe di ringraziamento a 190 donatori tra associazioni e singoli presenti in sala, provenienti oltre che da Sarajevo e altre città bosniache, da diversi paesi europei. "Dal primo anno di scuola, finita la guerra, in cui abbiamo sostenuto 38 studenti, siamo arrivati all’anno scolastico 2012-’13 con 600 borse di studio, fino alle 315 dell’anno scolastico in corso. In totale 7.052 bambini e giovani, tra i quali 722 della comunità rom, per un valore di 6.358.535 KM (3.251.067 euro)".

Non dimentica di nominare, uno ad uno, i donatori che hanno permesso l’emissione delle borse di studio, dai “grandi” come l’Open Society Fund Bosnia and Hercegovina alla francese "CCFD-Terre solidaire ", dalle associazioni della diaspora bosniaca in Europa fino alle singole cittadine e cittadini. Tra questi ve ne sono provenienti anche dall'Italia ai quali Divjak ha consegnato una targa di ringraziamento, come Roberta Biagiarelli, attrice teatrale autrice di “A come Srebrenica ” sostenitrice dell’associazione e promotrice da anni in Italia di incontri di conoscenza sul paese; Don Giovanni Salatino, del quartiere milanese di Gratosoglio, che ogni primavera realizza un Campus Internazionale della pace ospitando studenti dell’associazione e che dal 2009 porta studenti italiani per incontrare i ragazzi dell'associazione.

Nel dettaglio, accanto alle già menzionate borse di studio, Divjak ha snocciolato i numeri: le 20 scuole del paese che hanno ricevuto materiale scolastico, informatico, sportivo, per un valore di 402.000 KM; l’organizzazione di scuole estive e invernali e partecipazione a progetti di scambi internazionali per 4.359 ragazzi e ragazze, in Bosnia oltre che in 18 paesi europei e 2 extraeuropei, per un valore di 1.164.739 KM; l’organizzazione di aiuto psicosociale e laboratori per 900 utenti, per una spesa di 825.877 KM; la distribuzione di materiale scolastico, alimentari, vestiti, materiale sportivo, doni di vario tipo a 45.949 giovani per una spesa di 3.451.802 KM.

Complessivamente in 25 anni sono stati in tutto 58.260 i bambini e giovani che hanno goduto del sostegno dell’associazione per un valore totale di 12.202.953 KM (6.239.270 euro). “Abbiamo offerto a questi giovani e alle loro famiglie che la scuola non poteva dare loro. Abbiamo dedicato il nostro lavoro al futuro delle nuove generazioni del paese. E in tutto questo ci hanno aiutato centinaia di donatori, dalla Bosnia all’intera Europa” ha dichiarato Jovan Divjak.

Ma non sono i numeri a dare lo spessore di questa comunità solidale. Lo si è percepito nella sala della municipalità, stipata di decine e decine di persone da bimbi di 4 anni ad anziani di 80, dove ogni parola è stata accompagnata da caloroso trasporto, partecipazione ed emozione. Come quando al microfono, con la voce sottile ma chiara, è arrivata Amila Bužo, presidente dell’ "Associazione delle famiglie dei combattenti deceduti in guerra" di Hadžići: "Non si può riassumere che cosa ha significato l’aiuto che abbiamo ricevuto e riceviamo, per superare i traumi della guerra patiti da noi donne, vedove con figli,  e così riuscire a lenire il dolore e guardare al futuro". Un intervento che si è concluso con uno stretto abbraccio tra lei e Divjak.

Amila si riferiva all’aiuto dato alle socie della sua associazione, nell’ambito del programma di sostegno a persone colpite da post-traumatic stress disorder (PTSD) che la Ogbh porta avanti da 17 anni - grazie a donatori come il francese CCDF e la municipalità catalana di Girona – a Sarajevo, Visoko, Hadžići e il coinvolgimento di donne di molte altre città bosniache, sotto la guida eccezionale della psicologa e psicoterapista Edina Mahmutović e il lavoro instancabile di Mersiha Turudija e Melina Dželović.

Muhammed Bojadži - Foto N.Corritore

Mersiha e Melina meritano una parentesi. Oggi sono due delle colonne portanti dell’associazione Ogbh, ieri erano bambine che in guerra avevano subito dure tragedie familiari. Diventate borsiste, dalla scuola superiore fino all’università compresa, hanno trovato nell’associazione e in Jovan Divjak una casa che non hanno più lasciato: prima socie e volontarie, ora vi lavorano a tempo pieno. Loro direbbero, come sempre intrecciando forte partecipazione e sottile ironia, “48 ore al giorno”.

Rimaste unite all’associazione come tantissimi ex-bambini oggi adulti. Tra questi si deve citare Muhammed Bojadži, borsista che nel suo intervento in sala ha ricordato l’alto valore dell’incontro con Divjak: "Venite da Jovan e scoprirete di cosa è capace. Oggi ho 24 anni e sto concludendo con successo gli studi magistrali dopo aver ricevuto borse di studio dalla prima elementare. E lo dico con l’orgoglio di averlo anche come padrino".

Un incontro avvenuto tra Divjak e i suoi genitori ben prima della sua nascita. Muhammed è quel bambino in braccio a Jovan Divjak nella foto di copertina del libro “Sarajevo mon amour” scattata da Josip Svoboda, tradotto in italiano nel 2007 (Infinito Edizioni). Halida e Abdulah, madre e padre di Muhammed, nel 1992 durante l’assedio di Sarajevo, persero i due figli minori uccisi da una granata mentre giocavano nel cortile di casa. Divjak li conosceva e fu loro vicino da subito. Nacque un’amicizia. Divjak disse più volte loro di pensare a diventare di nuovo genitori, nonostante il dolore… e così, è arrivato il giorno in cui Halida, in stato di gravidanza, ha chiesto a Jovan di divenire il padrino della nuova vita in arrivo.

Intrecci di incontri, trasformatisi in forti amicizie, che si è capito essere il filo conduttore di tante persone in sala, senza differenze di età, sesso, professione o status sociale: dai dirigenti di società ad amministratori pubblici, da operai a professori universitari, da giornalisti, scrittori, attori o musicisti e cantanti. Ed è in musica che la cerimonia si è conclusa.

Amira Medunjanin, 22 giugno 2019 - Foto N.Corritore

Il duetto Laka e Mirela (Elvir Laković Laka e la sorella Mirela Laković, che hanno rappresentato la Bosnia Erzegovina all'edizione 2008 dell'Eurovision song contest), hanno cantato la canzone “Postoje ljudi” (Esistono persone), scritta appositamente per il 25esimo, accompagnate dal battito delle mani del numeroso pubblico.

Ma a suon di musica la festa, perché di festa gioiosa si è trattato, conclusasi in sala con le parole di Divjak “Cari amici, ci si rivede alla celebrazione del 30esimo anniversario, nel 2024. Siete i benvenuti!”, è proseguita, prima della cena offerta a tutti, presso la Vijećnica, la bellissima biblioteca nazionale di Sarajevo rinata dalle macerie dopo 18 anni di ristrutturazione. La cantante bosniaca Amira Medunjanin ha donato agli invitati nove meravigliose ballate.

Conosciuta al mondo per le sue eccezionali interpretazioni delle “Sevdalinke” (la sevdalinka è una canzone urbana, appartiene alle città e ai cittadini bosniaci, un genere intriso di malinconia e sentimento, ndr) si è fatta accompagnare da uno dei maggiori talenti del paese, il chitarrista Boško Jović, e ha cucito due ore di concerto-dialogo con il pubblico, che non poteva che concludere lasciandoci con il groppo in gola, le lacrime agli occhi e un applauso senza fine, sulle note di "Što te nema " (Perché non ci sei?), testo scritto nel 1897 dal poeta bosniaco Aleksa Šantić.


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