Una vecchia stazione ai piedi del monte Trebević, la sua storia, il suo significato nel corso degli anni e la sua recente destinazione museale. Un breve excursus sulla stazione di Bistrik a Sarajevo
Se dalla balconata del “bastione giallo” a Sarajevo si guarda con un binocolo la parte di città verso il monte Trebević, si riconosce una forma insolita tra le case che dal quartiere di Bistrik si arrampicano sul monte: un edificio più alto, massiccio e articolato, dal tetto spiovente. È la ex stazione ferroviaria di Bistrik, un tempo parte della linea a scartamento ridotto che si arrampicava verso Pale, Ustiprača, Višegrad e di qui verso Užice e Belgrado.
Nel 2012 individuai la stazione per caso, da Vratnik. Abbandonati i miei compagni di viaggio, il giorno dopo mi arrampicai fin lassù, per scoprire quell’edificio insolito. Ora, a distanza di dieci anni, è stato recuperato, con la creazione di un museo dedicato alla lenta ferrovia (chiusa nel 1974) e con la previsione di farne un polo turistico con immancabile lato gastronomico.
Il progetto è stato presentato a metà gennaio 2022, con articoli sulla stampa e una visita della sindaca di Sarajevo Benjamina Karić.
L’intervento edilizio è ormai a uno stadio avanzato e la stazione ha ritrovato lo smalto che si può immaginare nelle vecchie cartoline d’epoca austroungarica, quando le ferrovie a scartamento ridotto avevano reso più accessibili i territori balcanici. Il binario largo solo 76 centimetri era - a fine Ottocento - una novità: consentiva curve strettissime e pendenze più ripide e divenne un nuovo standard per le ferrovie secondarie e di montagna. Ancora oggi molte di queste sono in servizio in Austria, in Ungheria o in Repubblica Ceca, ma gli appassionati di ferrovie lo definiscono ancora come “scartamento bosniaco”, in ricordo della vasta applicazione che ebbe nel cuore dei Balcani occidentali.
La stazione di Bistrik venne aperta nel 1906, parte del tracciato della Ostbahn, come i funzionari imperial-regi chiamavano la ferrovia che da Sarajevo portava nella valle della Drina, verso Višegrad. Dalla città del ponte sulla Drina i binari furono estesi poi verso Užice e di qui Belgrado, decretando il successo della ferrovia come collegamento di primaria importanza. Il tratto di valico era caratterizzato da un tracciato che si avvolge quasi su sé stesso, per superare il dislivello: oggi è l’unico segmento della linea in funzione, il celebre “otto di Šargan” (Šarganska osmica) percorso da un treno turistico, già immortalato da alcune scene di Underground di Kusturica.
Il viaggio da Belgrado a Sarajevo era il più lungo viaggio su ferrovia a scartamento ridotto che si potesse fare in Europa, oltre dodici ore di treno. Arrivando dalla Serbia e dalla Bosnia orientale, la stazione Bistrik annunciava che il viaggio era finito: da 610 metri di quota si poteva allora ammirare dall’alto la Baščaršija, la biblioteca e tutta Sarajevo che si distendeva nella valle. In poco meno di un quarto d’ora si affrontava poi la discesa a mezza costa, un ampio curvone intorno a Ilidža, per approdare alla vecchia stazione sarajevese, poi sostituita da quella attuale, con l’arrivo di nuovi treni elettrici.
La stazione di Bistrik, dopo il 1974, rimase inutilizzata, mentre il tracciato della ferrovia venne convertito nella attuale strada M5 per Pale e la valle della Drina. Nel 2012, quando ci approdai a piedi salendo dal centro città, era un’abitazione comune, con i panni stesi alle finestre e i muri che portavano il segno dell’assedio del 1992-1995.
Eppure l’edificio ancora raccontava la sua origine, testimoniata dalle doppie iscrizioni sul fabbricato: dal lato rivolto alla città il nome Bistrik compariva solo in caratteri latini, mentre dal lato dove c’erano i binari (quello che vedevano i viaggiatori provenienti dalla Serbia) appariva con la doppia grafia Бистрик-Bistrik.
Dopo il restauro proprio le iscrizioni di stazione sono finite al centro di un piccolo caso, a causa della scomparsa della scritta dal lato dei binari, l’unica che - appunto - comprendesse anche i caratteri cirillici. L’episodio è stato riportato con una certa indignazione dai giornali serbi a inizio maggio 2021, ma anche voci sarajevesi hanno notato con disappunto la scomparsa dell’alfabeto cirillico, che evidentemente rappresenta anche l’eredità della componente etnica serba.
"Sindaco puoi fare qualcosa?" ha chiesto la giornalista sarajevese Senka Kurt rivolgendosi - in un post facebook privato, lontano da ogni polemica - alla sindaca socialdemocratica Benjamina Karić, attenta ai diritti di tutte le componenti sarajevesi. E in effetti l’indicazione in cirillico è poi ricomparsa pochi giorni dopo sui lati della stazione che i viaggiatori vedevano arrivando in treno.
Il restauro completo della stazione ha eliminato invece i segni della guerra degli anni Novanta, ben visibili prima dell’intervento edilizio, con ogni lato del fabbricato martoriato dalle incisioni lasciate da proiettili e schegge. Anche se costituivano una testimonianza della violenza dell’assedio (come del resto ogni altro edificio della città), è forse inevitabile che nella quotidianità si preferisca vedere sparire i segni di quel conflitto fratricida.
Alla stazione di Bistrik rimane invece ben presente la memoria della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza che divenne uno dei pilastri della Jugoslavia di Tito: proprio nella piccola stazioncina sotto il Trebević vennero infatti girate alcune delle scene della sequenza finale del film “Valter difende Sarajevo”, un caposaldo della filmografia jugoslava. Nel film si vedevano bene la stazione ma anche la breve galleria e il ponte che la precedono.
All’interno della stazione pendole, telegrafi, manichini in divisa tedesca ricordano la vecchia ferrovia, la pellicola e in generale il periodo dell’occupazione nazifascista. C’è anche un grande modello del treno che compare nel finale del film, composto da una locomotiva a vapore JZ83 (incredibilmente alcuni esemplari sono usati ancor oggi nella miniera di Banovići, vicino a Tuzla) e dai carri merce che i nazisti avevano “travestito” da treno ospedale ma che in realtà trasportavano munizioni.
Nei saloni dal sapore belle époque, una bacheca ricorda Vladimir Perić, il vero comandante partigiano Valter morto nell’insurrezione sarajevese a inizio aprile 1945. Subito accanto un manichino - vagamente kitch ma certamente somigliante - riproduce i lineamenti di Bata Živojinović, l’attore che interpretava il partigiano protagonista (e non solo di quello: vestì i panni di partigiano in 33 film, un decimo della sua carriera. Amatissimo dal pubblico, Živojinović nel 1992-95 si schierò a fianco dei nazionalisti serbi di Pale: una piccola ferita per i sarajevesi, come ha ricordato un articolo di Azra Nuhefendić.
L’attore deluse Sarajevo, ma rimane il significato del film racchiuso nelle battute finali, in cui l’ufficiale tedesco - affacciato al “bastione giallo” - svelava all’agente della Gestapo che Valter non era un uomo, ma tutta la città, tutto il suo popolo. È un messaggio che veniva citato anche durante l’assedio e che risuona oggi dal museo della stazione di Bistrik, custode della storia di Sarajevo e anche un po’ del carattere multiculturale della sua popolazione.
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