Corte distrettuale dell'Aja: riconosciuto un risarcimento solo parziale alle vittime di Srebrenica
27 giugno 2017
Nel 2014 una Corte distrettuale dell'Aja aveva ritenuto responsabile lo stato olandese per la deportazione e la morte di 300 uomini e ragazzi bosniaci che si trovavano nella base Onu di Potočari, nei pressi di Srebrenica, quartier generale del battaglione olandese, avvenuta nel luglio del 1995. In appello, viene ora confermata la responsabilità dello stato ma decretato un risarcimento solo parziale ai parenti delle vittime.
“Lo stato olandese è responsabile per il 30% dei danni subiti dai parenti di circa 350 uomini musulmani che il 13 luglio del 1995 vennero deportati dai serbi di Bosnia dal compound olandese di Potočari il 13 luglio del 1995”. Inizia così il comunicato ufficiale pubblicato oggi , 27 giugno, della Corte d'appello della corte distrettuale dell'Aja che conferma le motivazioni della sentenza di primo grado emessa tre anni fa nel processo a carico dello stato olandese promosso dall'Associazione delle "Madri di Srebrenica".
Il verdetto del 2014 aveva riconosciuto lo stato olandese responsabile del comportamento dei propri soldati per la protezione dei civili nelle missioni di pace: i soldati olandesi permisero la deportazione di 300 persone che avevano trovato rifugio nella base Onu di Potočari, in seguito alla presa della vicina cittadina di Srebrenica da parte dei serbo-bosniaci guidati dal generale Ratko Mladić. Nella sentenza si sottolineò che il contingente olandese avrebbe dovuto tener conto della possibilità che quelle persone sarebbero state vittime di genocidio e che avrebbero dovuto dar loro la possibilità di rimanere nel compound.
Questa motivazione viene confermata dalla sentenza d'appello di oggi, come emerge dalle dichiarazioni della presidente della Corte, Gepke Dulek: "Il Dutchbat avr
ebbe dovuto informare quegli uomini dei rischi a cui andavano incontro e dare loro la possibilità di rimanere al riparo. I caschi blu hanno invece facilitato l'allontanamento di quegli uomini e ragazzi musulmani, privandoli di una chance di sopravvivenza".
I caschi blu olandesi operavano a Srebrenica dal 1993, dopo che l'enclave venne decretata "Safe area" con la Risoluzione 819 del Consiglio delle Nazioni Unite del 16 aprile di quell'anno.
A Srebrenica persero la vita più di 8000 persone: il più giovane aveva 14 anni e il più anziano era nato nel 1918. Nel memoriale di Potočari, di fronte alla ex base Onu, vengono tumulate ogni 11 luglio le spoglie delle persone esumate dalle fosse comuni e riconosciute con il test del DNA: l'anno scorso furono 127, che si aggiunsero alle più di 6mila tumulate negli anni precedenti.
E' stato il peggior massacro in Europa dopo la Seconda guerra mondiale, definito genocidio dalla Corte di giustizia internazionale. Ad oggi una trentina di soldati serbo-bosniaci sono finiti in carcere per l'eccidio, mentre per lo stesso capo di imputazione nel marzo del 2016 l'ex leader dei serbo bosniaci, Radovan Karadžić, è stato condannato in primo grado dal Tribunale Internazionale dell’Aja per l’ex-Jugoslavia (TPI) a 40 anni di reclusione.
L'accusa pende anche sulla testa del generale Ratko Mladić, assieme a tanti altri capi di imputazione, il cui procedimento presso il TPI si è concluso a dicembre 2016 e di cui si attende il verdetto a novembre 2017.