Aumentano in modo vertiginoso i contagi e le morti per Covid 19 in Bosnia Erzegovina. I politici si rimpallano le responsabilità sulle inefficaci misure di contenimento e sull'assenza di vaccini. Nel frattempo Sarajevo sta diventando la Bergamo della primavera scorsa
Gli ospedali di Sarajevo hanno lanciato l’allarme sul fatto che i posti letto sono tutti occupati e il Centro clinico dell’Università di Sarajevo (KCUS) ha reso noto che dispone di una quantità limitata di ossigeno per la cura dei pazienti più gravi affetti da Covid 19.
“Ieri sera abbiamo riempito di ossigeno tutti i silos, serbatoi e bottiglie, ma il fabbisogno è enorme. La quantità di cui disponiamo al momento sarà sufficiente per altre 48 ore”, ha dichiarato martedì 16 marzo Sebija Izetbegović, direttrice del KCUS, dove attualmente sono ricoverati più di 500 pazienti affetti da Covid 19, mentre alcune decine di medici e infermieri sono positivi al coronavirus.
Stando agli ultimi dati diffusi, nel cantone di Sarajevo nelle ultime 24 ore sono stati registrati 824 nuovi casi di coronavirus e 9 decessi, dati in linea con quelli dei giorni scorsi.
“Noi non aspettiamo più che si verifichi lo scenario Bergamo, noi siamo Bergamo”, ha affermato lunedì 15 marzo il premier del cantone di Sarajevo Edin Forto. Lo stesso giorno il parlamento del cantone di Sarajevo ha adottato una serie di misure, tra cui l’ampliamento dei posti letto negli ospedali e l’apertura di nuovi punti tampone. Tra le misure approvate dal parlamento cantonale ve ne sono alcune che oggi, a un anno di distanza dall’introduzione delle prime misure di contenimento della pandemia, dovrebbero ormai essere date per scontate, come l’obbligo di inviare tutti i tamponi molecolari al Centro clinico di Sarajevo il giorno stesso in cui sono stati effettuati e l’obbligo di informare quotidianamente l’opinione pubblica sull’andamento della situazione epidemiologica.
Nei giorni scorsi sia le autorità del cantone di Sarajevo sia quelle della Federazione BiH sono finite nel mirino delle critiche, le prime per non aver introdotto misure efficaci, bensì meramente cosmetiche, di restrizione della libertà di movimento, e le seconde per non aver ancora acquistato nemmeno una singola dose di vaccino anti Covid 19.
“Chiunque abbia la possibilità di vaccinarsi, dovrebbe farlo in qualsiasi luogo, perché se dovessimo aspettare che i signori facciano qualcosa, temo che il vaccino non arriverà mai. A causa del modo in cui si comportano ho l’impressione che non sappiano come oppure non vogliano essere coinvolti 24 ore su 24 nel processo [di acquisto dei vaccini], a differenza dei premier di altri paesi che dialogano direttamente con i produttori di vaccini”, ha dichiarato il dottor Mirsad Kacila nel corso di una recente riunione del cosiddetto “ad hoc team” per i negoziati con i produttori di vaccini o con i loro rappresentanti autorizzati istituito dal governo della Federazione BiH per organizzare l’acquisto di vaccini anti Covid 19.
In Bosnia Erzegovina negli ultimi 12 mesi sono stati registrati circa 150mila casi di coronavirus e 5500 decessi. A differenza di quanto accade oggi, all’inizio di marzo 2020 erano state introdotte misure molto rigide di restrizione della libertà di movimento e chiuse tutte le attività di ristorazione e altri esercizi commerciali, tranne quelli essenziali, come alimentari e farmacie.
A parte 10mila dosi del vaccino AstraZeneca ricevute in donazione dalla Serbia – di cui una parte è stata somministrata al personale medico – , nella Federazione BiH al momento non sono disponibili altri vaccini anti Covid 19. Tuttavia, questa vaccinazione è stata sospesa fino al 18 marzo, come affermato dall'Istituto di Sanità Pubblica, in attesa dei test sugli effetti collaterali legati al vaccino AstraZeneca in Europa. Le autorità della Republika Srpska hanno invece ordinato 100mila dosi del vaccino russo Sputnik V e il primo carico con 40mila dosi è già arrivato a Banja Luka. Inoltre, una parte del personale medico della Republika Srpska è stata vaccinata in Serbia.
La Bosnia Erzegovina sta ancora aspettando di ricevere circa 150mila dosi del vaccino AstraZeneca e circa 20mila dosi del vaccino Pfizer-BioNTech attraverso il meccanismo COVAX. Proprio a causa delle lentezza nella consegna dei vaccini attraverso questo programma, le autorità della Republika Srpska hanno deciso di cercare un’alternativa, acquistando il vaccino Sputnik V direttamente dal produttore. Dopo numerosi indugi e peripezie politiche, anche le autorità della Federazione BiH, compreso il governo del cantone di Sarajevo, stanno pensando di seguire l’esempio della Republika Srpska. Nella seduta del governo che si è conclusa la scorsa notte, è stato deciso che una società a nome del governo della Federazione BH ordinerà 500.000 dosi di vaccino Sputnik V, parte dei quali dovrebbe arrivare già la prossima settimana.
Nell’opinione pubblica è diffusa l’impressione che uno dei motivi dell’inerzia delle autorità della Federazione BiH di fronte alla necessità di acquistare i vaccini sia legato al cosiddetto scandalo dei respiratori, scoppiato l’anno scorso quando alcuni media bosniaco-erzegovesi hanno messo a nudo le modalità con cui il governo della Federazione BiH ha acquistato 100 ventilatori polmonari dalla Cina per un importo complessivo di circa 5 milioni di euro. Sul banco degli imputati sono finiti il premier della Federazione BiH Fadil Novalić, la ministra delle Finanze Jelka Miličević, l’ex capo del Dipartimento federale della protezione civile Fahrudin Solak e il proprietario dell’azienda Srebrna malina (a cui è stato affidato l’acquisto di respiratori) Fikret Hodžić.
“Assistiamo alla situazione in cui viene invocata la legge sugli appalti pubblici, ma non si riesce ad acquistare i vaccini. Eppure, la Republika Srpska è riuscita ad acquistarli. Quindi, qualcuno nella Federazione BiH se n’è lavato le mani e non ha voluto affrontare questo problema per evitare di trovarsi in una situazione simile a quella legata ai respiratori”, ha dichiarato l’ex direttore dell’Ospedale generale di Sarajevo Bakir Nakaš in un’intervista rilasciata ad Al Jazeera Balkans.
Nel frattempo, alcuni cittadini bosniaco-erzegovesi hanno deciso di provare a procurarsi i vaccini autonomamente. Nelle scorse settimane c’è stata la possibilità di registrarsi per la vaccinazione in Serbia, ma ora possono farlo solo i cittadini bosniaco-erzegovesi che hanno anche la cittadinanza serba.
Nonostante si sia già speculato sulla possibilità che alcuni alti funzionari dello stato si siano vaccinati fuori dalla Bosnia Erzegovina, ora lo ha confermato anche la Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina.
"Considerando la valutazione dei rischi per la salute dei dipendenti, nonché la necessità di garantire che il lavoro della Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina prosegua ininterrottamente, la Corte costituzionale della BiH, in collaborazione e con il sostegno della Corte costituzionale della Repubblica di Serbia, del ministero degli Esteri della Repubblica di Serbia, dell'Ambasciata della Repubblica di Serbia in Bosnia Erzegovina e del ministero della Salute della Repubblica di Serbia, ha reso possibile a tutti i dipendenti della Corte costituzionale di vaccinarsi nella Repubblica di Serbia", si legge in un comunicato stampa emesso dalla Corte costituzionale .
Mentre in Bosnia Erzegovina i numeri di contagi e decessi per Covid 19 in rapporto alla popolazione si stanno avvicinando a quelli registrati in Italia nella fase più difficile della pandemia, le autorità di Sarajevo esitano a introdurre misure efficaci per contenere la diffusione del contagio in attesa del vaccino. Diversamente da quanto accaduto nel marzo dell’anno scorso, oggi a Sarajevo tutto funziona come al solito: ristoranti, mezzi pubblici, centri commerciali, con l’obbligo di mantenere una distanza interpersonale di almeno un metro e di indossare la mascherina. Lo scorso fine settimana i centri commerciali, bar e ristoranti sono rimasti chiusi ma non è stata imposta alcuna restrizione alla libertà di movimento.
Invece di intraprendere azioni decise, le autorità bosniaco-erzegovesi a tutti i livelli continuano ad accusarsi a vicenda per non essere riuscite ad acquistare i vaccini. Così Sarajevo e l’intera Bosnia Erzegovina rischiano di diventare la maglia nera d’Europa e di uscire dalla crisi sanitaria diversi mesi dopo il ritorno di altri paesi alla normalità.
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