La forza del popolo, slogan elettorale del partito SDA a Sarajevo (foto A. Sasso)

La forza del popolo, slogan elettorale del partito SDA a Sarajevo (foto A. Sasso)

I risultati delle recenti elezioni in Bosnia Erzegovina lasciano presagire che per i prossimi quattro anni la situazione rimarrà uguale a prima, se non peggiore. Inoltre la nascita di un'internazionale nera sembra coinvolgere, dopo molti altri paesi europei, anche la BiH

15/10/2018 -  Ahmed Burić Sarajevo

Conoscete quella barzelletta? Se i cittadini bosniaci continuano a emigrare in Germania con questa intensità, alle prossime elezioni tedesche vincerà il Partito di azione democratica (SDA, il principale partito dei musulmani bosniaci). Intanto però l’SDA ha ottenuto il maggior numero di voti alle elezioni tenutesi in Bosnia Erzegovina lo scorso 7 ottobre, uscendone vincitore quasi indiscusso. Quasi perché potrebbe rimanere fuori dal governo del cantone di Sarajevo, nel caso in cui i partiti fino ad oggi all’opposizione riuscissero a formare un’alleanza.

Le forze dell’opposizione hanno infatti ribadito di non voler entrare in coalizione con l’SDA, guidato da Bakir Izetbegović, che probabilmente ricorrerà a diverse manovre post-elettorali pur di non perdere il controllo della capitale. Come già dimostrato in passato, la fase più tormentata delle elezioni in Bosnia Erzegovina non è la fase di voto bensì quella delle trattative post-elettorali, in cui è facilmente immaginabile che tutti negozino con tutti, ma anche che tutti si scaglino contro tutti.

Tutto questo a patto che le elezioni vengano riconosciute legittime. Numerose critiche mosse all’operato della Commissione elettorale centrale (CIK) sono del tutto giustificate. Innanzitutto ci si chiede come mai in un paese che conta poco più di 3,5 milioni di abitanti possano esserci 3,3 milioni di aventi diritto al voto. Le liste elettorali non sono state aggiornate da anni, per cui vi figurano migliaia di persone decedute; il censimento della popolazione è stato effettuato in modo incompleto; ogni tornata elettorale è stata macchiata da accuse di manipolazione dei voti. Tutto questo, insieme al fatto che ai cittadini non è mai stato spiegato bene il funzionamento del sistema elettorale, ha contribuito a creare un clima di apatia in cui circa il 50% degli aventi diritto al voto non si reca alle urne.

Se prendiamo in considerazione anche il fatto che all’ultima tornata elettorale il numero delle schede non valide era pari a circa 130.000 – alcuni partiti parlano addirittura di mezzo milione – , è chiaro che in Bosnia Erzegovina le elezioni sono una cosa improduttiva e che non dà ispirazione alcuna, una cosa che di solito produce governi che si mantengono al potere alimentando la paura e le tensioni tra i popoli costituenti. Il motivo principale che spinge molte persone a recarsi alle urne è quello di votare “contro”, ovvero di far perdere “gli altri”, e questo giova alla destra nazionalista. In Bosnia Erzegovina la democrazia parlamentare è arrivata all’assurdo. Ma anche se dovesse essere introdotto un altro sistema politico, più ragionevole, sicuramente finirebbe per degenerare, fino a diventare irriconoscibile.

Ritorno agli anni Novanta

Tutto sommato, i risultati delle ultime elezioni in Bosnia Erzegovina lasciano presagire che nei prossimi quattro anni la vita sarà uguale, se non peggiore di prima. Piaccia o non piaccia, Jean-Claude Juncker ha avuto buone ragioni per affermare, in un discorso pronunciato lo scorso 5 ottobre davanti al parlamento austriaco, che vi è il rischio di un nuovo conflitto nei Balcani se l’Ue dovesse lasciare spegnere le aspirazioni di integrazione europea dei paesi della regione. Per poi aggiungere: “Il terreno è ancora fertile. La storia degli anni Novanta non è ancora stata superata, e i conflitti degli anni Novanta sono in parte conseguenza del fatto che la regione non ha mai fatto i conti con quanto accaduto nei decenni e nei secoli precedenti”.

Un’affermazione che riecheggia vecchi stereotipi sui Balcani come una regione che produce più storia di quanta ne può consumare, abitata da popoli frivoli, propensi a delinquere e molto abili nel fare danni a se stessi, sempre con l’aiuto dei loro alleati internazionali. All’ultima farsa elettorale in Bosnia Erzegovina ha preso parte anche Steve Bannon, ex consigliere del presidente statunitense Donald Trump, il quale ha ricevuto a Washington Željka Cvijanović, attuale premier e neo-eletta presidente della Republika Srpska.

Internazionale nera

La Bosnia Erzegovina è un terreno fertile per tutte le tendenze distruttive. Il piano di Bannon di destabilizzare il processo di integrazione europea, nel quale conta sull’appoggio di Marie Le Pen, Salvini, Orban, Sebastian Kurtz, Geert Wilders, Janez Janša e altri populisti di destra, è parte integrante di un più ampio progetto volto a creare una sorta di internazionale nera. Questa iniziativa “anti-Soros” sicuramente vedrà coinvolta anche la Bosnia Erzegovina, ed è probabilmente per questo che la Cvijanović si è incontrata con Bannon.

Un altro potenziale alleato di Bannon in Bosnia Erzegovina è Dragan Čović, leader dell’Unione democratica croata della BiH, erede della politica di indebolimento della Bosnia Erzegovina perseguita negli anni Novanta dalla Croazia. Nonostante il suo comportamento autocratico e le accuse di coinvolgimento in attività illecite, Čović è riuscito a conquistare le simpatie dei burocrati di Bruxelles. E il suo piano sarebbe filato liscio se fosse stato rieletto alla Presidenza tripartita del paese.

Ma ciò non è avvenuto. Nonostante il suo partito abbia conquistato molti voti dei croato-bosniaci, Čović è probabilmente il più grande perdente di queste elezioni. Nella corsa per la carica di membro croato della Presidenza tripartita è stato nettamente sconfitto da Željko Komšić, candidato dell’opposizione. Komsić ha vinto soprattutto grazie al voto dei bosgnacchi, motivo per cui molti croato-bosniaci considerano la sua vittoria un tradimento degli interessi croati. Tale critica non sembra giustificata, anche perché il numero di sostenitori del partito di Čović sta diminuendo anno dopo anno. Dopo l’ingresso della Croazia nell’Unione europea, molti croato-bosniaci in possesso della cittadinanza croata hanno scelto di emigrare in Croazia e in altri paesi dell’Ue.

Da quanto sopra esposto emerge chiaramente che la Bosnia Erzegovina è in preda al caos. Il portale di Sarajevo Žurnal ha recentemente pubblicato un interessante articolo sull’operato della Commissione elettorale centrale e sui legami della sua presidente Irena Hadžiabdić con Mosca. Stando a questo articolo, la Commissione elettorale avrebbe versato cospicue somme di denaro sul conto di alcuni media croati e bosniaci, cercando inoltre di inficiare i risultati elettorali di alcuni partiti di opposizione. La maggior parte dei voti annullati era infatti indirizzata a Denis Bećirović, candidato del Partito socialdemocratico (SDP), il quale ha emesso un comunicato, affermando di essere stato brutalmente derubato, mentre al suo concorrente Džaferović sarebbero stati illegittimamente attribuiti diversi voti dopo la chiusura dei seggi.

Insomma, la Bosnia Erzegovina è ostaggio di diversi giochi di potere. Se l’Ue dovesse fallire come progetto, la Bosnia Erzegovina difficilmente potrebbe sopravvivere. Dall’altra parte, un approccio inadeguato dell’Ue alla questione della Bosnia apre la porta ai nuovi conflitti di cui parlava Juncker.

E il solo pensare alle possibili conseguenze di un nuovo conflitto nei Balcani fa rabbrividire.

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Vai al dossier che OBCT ha dedicato alla tornata elettorale bosniaca


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