Il 12 settembre al Festival di Itaca a Padova la proiezione del film "Thank you people of Japan". Luca Rosini, uno degli autori, racconta dei mesi passati a Mostar per realizzarlo.
Il 12 settembre presenterete il vostro film al Festival Itaca a Padova. Come è nato questo progetto audiovisivo realizzato a Mostar?
E' un progetto avviato dall'Associazione culturale ToniCorti di Padova. L'anno scorso due membri dell'associazione, Andrea Segre e Lazlo Rinaldo, hanno pensato il progetto e hanno fatto il primo sopralluogo a Mostar, in Bosnia Erzegovina, per la ricerca di possibili partner. Il secondo passo è stato quello di mettersi in contatto con l'ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà) e decidere di collaborare nella ricerca di possibili finanziamenti europei per la realizzazione di un progetto di produzione cinematografica che parlasse di quel paese.
Il progetto, presentato quindi dai due proponenti, è stato approvato sotto la voce di finanziamento del "volontariato europeo", che prevedeva quindi la permanenza in loco di Andrea e Lazlo per realizzare attività in comune con le realtà giovanili di Mostar. Con il protrarsi delle procedure però i due hanno superato il limite di età per accedere al programma di volontariato, che era di 25 anni, e così ToniCorti ha indetto un concorso. Ho mandato il mio curriculum e nel luglio dell'anno scorso sono stato selezionato assieme ad Alberto Bougleux.
Quanto tempo avete soggiornato a Mostar e quali sono state le condizioni di lavoro?
Essendo un progetto che prevedeva la residenza in loco, la voce di finanziamento maggiore serviva per queste spese e quindi per il materiale e l'attrezzatura avevamo pochi fondi. Abbiamo dovuto adeguarci e partire con una telecamera, una mini DV Canon, molto piccola.
Il finanziamento prevedeva 6 mesi di presenza a Mostar per la produzione di un documentario e di alcuni lavori in collaborazione con i giovani e l'associazionismo del luogo. Abbiamo quindi soggiornato a Mostar dal 5 novembre 2001 al 5 maggio 2002.
Arrivati a Mostar abbiamo preso contatto con l'associazione che ci avrebbe ospitato - l'associazione "Mladi Most" - fondata nel 1994 dietro l'iniziativa di volontari olandesi e tedeschi, per offrire ai giovani uno spazio di incontro e riconciliazione attraverso lavoro di gruppo e workshop di fotografia. Con il tempo si è registrata come ONG bosniaca ed ora vede la presenza di una maggioranza di volontari bosniaci e la partecipazione di alcuni volontari internazionali soprattutto francesi e austriaci.
L'impatto con la realtà giovanile del luogo com'è stato? E in quali termini ha influenzato il vostro lavoro?
Inizialmente abbiamo avuto un po' di problemi di inserimento nelle loro attività, perché il nostro era un progetto eterogeneo rispetto invece alla progettualità che l'associazione aveva seguito fino al nostro arrivo. Però abbiamo risolto abbastanza in fretta, muovendoci subito sul territorio.
Visto che i filoni di ricerca previsti erano differenti, ci siamo mossi su due piani. Uno riguardava la produzione di un film di ampio respiro che narrasse della situazione bosniaca e soprattutto di Mostar, per il quale abbiamo cominciato subito a cercare storie, racconti, situazioni che potessero avere un interesse cinematografico di questo tipo.
L'altro filone prevedeva che ci mettessimo a disposizione dell'associazionismo locale per dare visibilità alle loro iniziative. Questo nostro messaggio di disponibilità non è stato accolto da subito, cioè non è stata subito compresa l'importanza che poteva assumere per la visibilità del loro lavoro avere l'opportunità di utilizzare due volontari audiovisivi. Con il tempo però sono nate alcune richieste di collaborazione per la realizzazione di due cortometraggi, uno ad uso interno dell'associazione Mladi Most ed uno ad uso della Campagna per l'obiezione di coscienza in Bosnia Erzegovina.
Quindi due lavori diversi dal film che presenterete a Padova. Di cosa si tratta?
Il primo è un cortometraggio di 22' realizzato su richiesta di un volontario tedesco, che all'interno di Mladi Most stava realizzando un corso di formazione per l'utilizzo di proiettori 35mm donati a Mladi Most dall'ex Armata Tedesca dell'Est. Questi proiettori vengono usati dai volontari dell'associazione per l'attività di cineclub e quindi la proiezione di film per tutti i giovani della città. Il volontario tedesco desiderava che alla sua partenza rimanesse una presenza costante di formazione e così ci ha chiesto di fare un video in cui si spiega l'utilizzo dei proiettori.
Il lavoro lo abbiamo poi montato presso il Centro Pavarotti di Mostar, che è ancora finanziato in massima parte da War Child, ma è diventato a gestione completamente locale e offre servizi di vario tipo, dalle sale prova per gruppi musicali all'uso di altra attrezzatura.
Il secondo cortometraggio prodotto è per noi forse più importante del primo. Si tratta della realizzazione di un video di circa 15' in cui abbiamo seguito la campagna per l'obiezione di coscienza che si era avviata in quei mesi nel paese.
Il breve filmato, girato in quattro giorni a Sarajevo, mostra i workshop internazionali ai quali hanno partecipato tantissimi gruppi europei che si occupano di questa tematica. Dopo i workshop ove si sono delineate le linee del programma per la campagna in BiH, abbiamo inserito la conferenza stampa di informazione dell'opinione pubblica rispetto alle decisioni prese negli incontri, per concludere poi con la manifestazione di piazza.
Secondo noi, questo video mostra un esempio importante e riuscito bene di come la società civile locale si sia mossa per la realizzazione di una campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Esso è stato poi donato alla Campagna per l'obiezione di coscienza, che ora lo sta utilizzando tra i giovani nell'ambito delle attività di informazione e sensibilizzazione sul tema.
Il video è stato inoltre presentato a Sarajevo lo scorso 6 aprile, in occasione del decennale dall'inizio della guerra ed in concomitanza della conferenza "Europe from below" organizzata da Osservatorio sui Balcani, ICS e municipalità di Sarajevo.
Il film "Thank you people of Japan" invece di cosa parla?
Il tema principale del film è offrire un quadro della visione stereotipata che si ha di Mostar. Abbiamo cioè deciso di fare un film sull'identità religiosa e su quella nazionale svolgendo sul campo una serie di interviste a personaggi che ritenevamo molto importanti. Volevamo che ci parlassero di questi temi e dell'importanza che secondo loro potevano avere.
Il primo intervistato è il direttore della Radio Croata di Mostar, un uomo inserito nell'apparato di potere di quella che era la Herceg-Bosna, e forse anche responsabile della propaganda nazionalista passata attraverso le onde della radio in tutti questi anni. L'abbiamo intervistato nella sua redazione, parlando del ruolo dei mass media durante la guerra e durante il periodo titoista, riuscendo a legare il personaggio al suo passato filmando con la telecamera i simboli presenti nel suo ufficio, tutti simboli dell'Herceg-Bosna e dell'HDZ (ndr: il partito di Tudjman).
Poi è stato il turno di un italiano un po' atipico, in continuo viaggio tra l'Italia e la BiH dove si reca a Medjugorije per accompagnare i pellegrini in visita. Ci ha raccontato della sua vita passata da criminale, ladro e spacciatore, e poi convertito diventato fedele accanito della Vergine di Medjugorije. Una storia secondo noi importante perché indica quale ruolo può avere la religione e quali sono le esigenze alle quali più spesso la religione offre risposta.
Non meno importante l'intervista al Presidente della Corte Costituzionale di Bosnia Erzegovina, il quale ci ha parlato del trattato di Dayton e dell'importanza che secondo lui ricopre il Tribunale Internazionale de L'Aja, ma anche quali sono le sue opinioni rispetto alle pressioni internazionali sul sistema giuridico e su quello politico bosniaco e quale ruolo importante può assumere la Corte Costituzionale in quanto soggetto di tutela dei cittadini di tutte le nazionalità. Poi abbiamo seguito dei workshop di conflict resolution organizzati da una ONG nelle scuole, intervistato un costituzionalista che si trova all'ospedale con la schiena spezzata...ma anche tanto altro che lasciamo scoprire agli spettatori.
Avete già presentato il film a Mostar, in occasione dell'Intercultural Festival del luglio scorso. Come è stato accolto?
Durante la nostra permanenza a Mostar abbiamo conosciuto una ONG locale, il MIFOC, che da cinque anni si occupa dell'organizzazione dell'Intercultural Festival a cui partecipano giovani artisti provenienti da molti paesi. Abbiamo presentato la domanda per proiettare il film durante il festival ed è stata accolta. Siamo quindi tornati in Italia per montarlo e a luglio siamo tornati a Mostar per la proiezione. Dopo alcuni problemi organizzativi, tali da obbligarci a cercare da soli uno spazio dove poterlo mostrare, la proiezione è avvenuta presso un locale aperto da poco - l'Alternativni Institut - abbastanza grande e situato presso il fiume Neretva.
Alla prima proiezione è venuta molta gente, circa un'ottantina di persone e il film ha ottenuto subito un gran successo. Abbiamo ricevuto i complimenti di tutti, serbi, croati, musulmani...ci è stato detto che abbiamo interpretato benissimo lo spirito della città. Così si è sparsa la notizia e ci sono piovute addosso richieste di altre proiezioni. Alla seconda hanno partecipato un centinaio di persone, poi ce n'è stata una terza e così via.
Un progetto cinematografico di questo tipo ha aiutato a trovare un piano di dialogo rispetto a questi temi?
Voglio sottolineare che non si tratta di un film televisivo e nemmeno didascalico. E' un film che si pone delle domande, che richiama immagini con le quali vuole risvegliare delle sensazioni, senza pretendere di mostrare Mostar così com'è.
Rispetto all'impatto che ha avuto, dobbiamo considerare che è stato presentato per la prima volta in occasione di un festival che vede la partecipazione di artisti di tutta Europa, quindi in un ambito dove non vengono trattati temi come il nazionalismo o la guerra. In questo festival crediamo che il nostro film abbia avuto la funzione di richiamare l'attenzione su certi temi ancora oggi oggetti di scontro.
Mostar, purtroppo, non è la città del festival interculturale. E' ancora una città distrutta, una città divisa. Il festival è importante perché porta una ventata di freschezza alla città e alla sua gente, mentre il nostro film ha rappresentato quello che Mostar è in inverno, una città anche un po' dura da vivere.
Il film ha sicuramente forzato la gente a riflettere di nuovo, offrendo una visione che non è ovviamente quella bosniaca ma la nostra, quella degli autori. Quindi ha dato un punto di vista "altro" rispetto a quello di chi ci vive...e per questo abbiamo ricevuto molti complimenti da tutti i fronti.
Per il futuro quali sono i vostri progetti?
Sicuramente l'intenzione di proiettarlo nel circuito italiano, perché si continui a parlare di Mostar, che è un po' un simbolo di questi nostri tempi.
Mostar infatti è un microcosmo, un luogo dove hai di fronte l'uno contro l'altro, due fronti di rappresentazioni identitarie simboliche fortissime, il cattolicesimo e l'islamismo. E dato i tempi che corrono, essa può essere riassuntiva di una certa disposizione mentale del mondo odierno...
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