La Bosnia Erzegovina, quella umana, civile, solidale, non nazionalista piange la perdita di un uomo di pace. Fra’ Stjepan Duvnjak, come è sempre stato per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averlo conosciuto, ci ha lasciati il 13 dicembre
La Bosnia Erzegovina, quella umana, civile, solidale, non nazionalista piange la perdita di un uomo che ne ha fatto la storia. Non la “grande storia” che si legge sui libri, ma la storia - molto importante ma che spesso rimane nell’ombra - scritta da “donne e piccoli uomini”.
Fra’ Stjepan, come è sempre stato per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averlo conosciuto, ci ha lasciati il 13 dicembre all'età di 73 anni. Tra i tanti e le tante che lo stanno piangendo c'è anche la sottoscritta.
L’ho conosciuto nel luglio del 1995. Ero una dei volontari del campo organizzato dal “Comitato Bergamo per Kakanj” che nel 1994 aveva aperto un ufficio in questa cittadina della Bosnia Centrale, a guerra ancora in corso. La città di Kakanj, 45 km a ovest da Sarajevo in quello che poi è divenuto il Cantone di Zenica-Doboj, allora era una zona sotto il controllo dell’Armija BiH e non avvenivano combattimenti, grazie anche agli Accordi di pace di Washington del marzo 1994 che avevano decretato la nascita della Federazione croato-musulmana.
La popolazione, tra chi era rimasto (la gran parte della componente serbo-bosniaca aveva abbandonato le proprie casa nel 1992, la maggioranza croato-bosniaca nel 1993) e le migliaia di sfollati musulmani arrivati da altri territori, avevano bisogno di aiuto. Quindi erano molteplici le attività avviate dal Comitato, dalla distribuzione di aiuti umanitari fino alle prime piccole ricostruzioni di case danneggiate, con l'apporto appunto di volontari e volontarie italiani.
Il monitoraggio dei bisogni veniva fatto ascoltando diverse personalità locali e tra queste vi era il frate francescano Stjepan Duvnjak, guardiano del Monastero di Kraljeva Sutjeska situato a 20 km da Kakanj.
Rappresentava la comunità cattolica di quel territorio, quindi dei villaggi abitati da croato-bosniaci da cui in migliaia fuggirono tra l'aprile e il giugno 1993, con l’inizio del conflitto croato-musulmano, verso territori della Bosnia Erzegovina controllati dall’HVO o verso i campi profughi della Croazia. E ha avuto un importante ruolo nell'attività di cooperazione del Comitato Bergamo per Kakanj, come racconta Davide Denti in una ricerca da noi resa pubblicata nell'ambito del progetto "Cercavamo la pace".
Ma soprattutto è stato una delle poche voci non nazionaliste che fin dall'inizio del conflitto non ha mai smesso di dire cosa pensava. Frate Duvnjak si è rifiutato di andarsene, cedendo alle spinte nazionaliste della Chiesa cattolica bosniaca e al partito fondato da Franjo Tuđman, e grazie al quale una grande parte della comunità cattolica dell’area di Kakanj è rimasta, o è tornata in gran numero dopo la guerra.
Negli anni post-conflitto Fra’ Stjepan è stato una colonna portante della ricostruzione sociale post-conflitto a Kakanj come nel paese intero, ed è diventato anche l’anello insostituibile della forte catena di amicizia tra cittadini italiani e bosniaci fino ai giorni nostri.
Dal 1997 in poi ho avuto modo di legarmi a doppio filo con Fra’ Stjepan, negli anni in cui ho deciso di rimanere a Kakanj a lavorare con il comitato, ma anche dal 2001 quando tornata in Italia ho cominciato a lavorare a Osservatorio Balcani (così ci chiamavamo allora).
Persona di cultura eccezionale , parlava 5 lingue tra le quali l'italiano, docente universitario di teologia, aveva mantenuta viva una virtù che spesso viene persa dalle persone istruite: era rimasto un uomo semplice, e si rapportava con chiunque – dal contadino al ministro – con la stessa disponibilità al dialogo, con pari umanità e rispetto.
Frate Stjepan Duvnjak non si è mai arreso all’idea che il suo paese, la Bosnia Erzegovina, dovesse essere diviso su base etno-nazionale. È stato, ad esempio, uno dei primi 100 firmatari dell’appello “L’Europa oltre i confini” lanciato 20 anni fa da Osservatorio Balcani. Ed è stato uno dei partecipanti al grande evento che Osservatorio ha organizzato a Sarajevo il 6 aprile del 2002 presso la sede del Parlamento federale, in presenza di alte cariche dello stato, rappresentanti della società civile italiana e bosniaca e dell’allora presidente della Commissione europea, Romano Prodi .
Dopo un periodo di “confinamento”, tra il 2000 e il 2003 nella cittadina di Vareš, a causa del suo rifiuto di appoggiare le spinte nazionaliste, Frate Stjepan è potuto tornare al suo Monastero e qui è riuscito in un’opera di grande importanza culturale e storica. All’ultimo piano del Monastero ha realizzato un museo, oltre che archivio anagrafico dal 1600 in poi, e biblioteca con incunaboli risalenti persino al 1400. Un’iniziativa, quella del museo, da lui raccontata in un servizio Tv di Andrea Oskari Rossini , ex nostro collega di OBCT, andato in onda nel dicembre 2017 su Rai 3 alla trasmissione “Estovest”.
Mai ha reciso i rapporti stretti con l’Italia e con coloro che per più di vent’anni sono stati suoi ospiti al Monastero. Tra gli eventi pubblici a cui Frate Duvnjak ha partecipato, ricordo un incontro organizzato a Bergamo nell’ottobre 2012. In quell'occasione, rispetto al confronto con il passato e la difficile rinascita del paese aveva sottolineato: “Si deve educare la gente a non dividere le vittime della guerra, ma a osservare le proprie vittime anche nella prospettiva della vittima dell’altro. Finché non si crea una pietas sincera nei confronti delle vittime altrui, è difficile aspettarsi un sincero dialogo tra i vivi.
(…) L’identità della Bosnia necessariamente contiene in sé la molteplicità. L’identità comune non deve assorbire le differenze, e le differenze non devono distruggere l’identità comune. Riconoscere l’altro non significa assimilarlo o farlo uguale a noi, ma permettergli di essere diverso nella forma sociale, culturale e religiosa”.
Capisaldi di un pensiero di pace riassunto in queste parole di chiusura del servizio Rai di Rossini: “Dobbiamo poterci guardare dritto negli occhi. L’ “altro” non è una persona che dobbiamo cambiare, ma uno a cui consentiamo di mantenere il proprio credo. Per il quale, anzi, rallegrarsi del fatto che è diverso da noi. La strada che porta a questo ideale è lunga e difficile ma non vedo alternative”.
Il 15 dicembre, al rito funebre tenutosi presso il Monastero di Kraljeva Sutjeska, c’erano tantissime persone. Persone che hanno raccolto ciò che questo piccolo grande uomo di pace ha seminato lungo tutta la sua vita.
Visita a Kraljeva Sutjeska
I legami tra Bergamo e Kakanj non si sono interrotti nemmeno dopo la chiusura a fine 2000 dell'ufficio del "Comitato Bergamo per Kakanj". Nella foto, l'ultima delegazione bergamasca in visita al Monastero di Kraljeva Sutjeska nel luglio 2021. Da sx a dx: Elena Crippa, cooperante; Francesco Bezzi, operatore Caritas Bergamo, Roberto Bertoli e Livio Vicini, ex Comitato Bergamo-Kakanj; Frate Stjepan Duvnjak; Guardian Frate Željko Brkić; Marzia Marchesi, Assessora con delega alla Pace, Comune di Bergamo; Giulia Baleri, CGIL Bergamo.
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