Negli ultimi tempi la stabilità della Bosnia Erzegovina è tornata a preoccupare le cancellerie di mezzo mondo. Ma le opinioni al riguardo, spesso allarmistiche, trascurano di frequente il punto di vista dei diretti interessati: i bosniaci. Alla luce degli ultimi accadimenti in BiH, riprendiamo un commento della fine 2021 pubblicato da Kosovo 2.0
(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 )
Nell'ultimo mese circa la Bosnia Erzegovina, dapprima con esitazione, via via con sempre più insistenza, è tornata alla ribalta sui media internazionali. Stando a quanto si legge, sta per scoppiare una nuova guerra. O almeno, questo è quello che si desume dai titoli: "La Bosnia è ad un passo dalla dissoluzione", "Una nuova crisi sta covando in Bosnia ed Erzegovina", "Se abbandoniamo i Balcani a se stessi esploderanno di nuovo", e così via.
Ma in tutta questa cacofonia di voci inneggianti alla guerra, sapete chi non ha la minima intenzione di prendere in considerazione questa opzione? La popolazione del paese interessato.
I bosniaci si stanno chiedendo se per caso queste élite siano a conoscenza di qualcosa che loro non sanno, o se tutto ciò rientri nella nuova tendenza che consiste nel creare dubbiose verità ricorrendo a fake news. Non siamo ingenui nel muovere queste insinuazioni. Abbiamo imparato la nostra lezione negli anni '90, quando la guerra esplose nonostante la nostra convinzione che ciò fosse impossibile. Ma questa volta semplicemente non sussistono ragioni sufficienti che possano motivare le persone ad andare in guerra.
Produttori di crisi
Le élites etno-nazionaliste corrotte in Bosnia hanno provato nel corso degli anni che l'unica cosa che sia loro mai interessata è il guadagno personale. Tutti lo sanno. È difficile immaginare che sia rimasto qualcuno in questo paese disposto ad andare in guerra per queste persone. Se venissero a crearsi le condizioni per una guerra, non sarebbe sicuramente per mano degli abitanti della Bosnia.
Per la verità, il recente baccano riguardo ad una possibile guerra ha una fonte.
Le élites etno-nazionaliste hanno generato una nuova crisi ad hoc, solo l'ultima di una lunga serie di conflitti creati sin dalla stipula dell'Accordo di pace di Dayton alla fine del 1995. Questa volta, forse, può sembrare più seria delle altre. Ma questo solo perché quando un paese convive con un perenne stato di crisi, qualsiasi nuova crisi pianificata a tavolino per poter emergere necessita di surclassare in gravità tutte le precedenti. L'unica costante è che le élites mantengano inalterato il loro modus operandi, che consiste nel destabilizzare di volta in volta la situazione per poter rivendicare più potere.
Al livello di Entità (gli accordi di Dayton dividono il paese in due entità e un distretto), le istituzioni della Federazione di Bosnia Erzegovina sono rimaste praticamente bloccate sin dalle ultime elezioni nel 2018, ma con l'avvicinarsi delle nuove elezioni previste per l’ottobre 2022, gli etno-nazionalisti hanno deciso di alzare la voce, espandendo l'ostruzionismo anche alle altre istituzioni statali. Le istituzioni della Republika Srpska, invece, non risultano bloccate, poiché sono controllate da un'unica persona: Milorad Dodik, un tempo il politico preferito dall'Occidente nel paese, oggi visto come il più grande problema.
Al momento, a livello statale il Consiglio dei Ministri, l'Assemblea Parlamentare e la Presidenza tripartita sono bloccate dagli etno-nazionalisti serbi. La dinamica per la quale gli etno-nazionalisti costruiscono una crisi e la comunità internazionale cede alle loro richieste è almeno tanto vecchia quanto l'Accordo di Dayton.
Nel quadro dell'Accordo di Dayton, la Bosnia post-bellica fu trasformata in un luogo di dominazione neo-coloniale. In questa dinamica, la comunità internazionale stessa si è inserita in ogni aspetto della società e si è appropriata di ampi poteri, ciononostante ad ogni capriccio delle élite etno-nazionaliste è disposta a concedere loro più spazio, più potere da esercitare su di noi. In cambio, la comunità internazionale ha la possibilità di giocare a fare il mediatore e fare ciò che gli riesce meglio - imporre il capitalismo neoliberista, guadagnarsi l'accesso al mercato dell’ennesimo stato, appropriarsi di un altro fiume o miniera, mercificare un'altra vita.
Di tutto ciò non hanno solo beneficiato certe élites politiche e alcune aziende specifiche, ma si è anche permesso alle dinamiche geopolitiche globali di trovare spazio all'interno delle strutture politiche, economiche e sociali del paese.
Canti di guerra
Come in una performance ben collaudata, la comunità internazionale risponde con urgenza alla crisi costruita dagli etno-nazionalisti. Questa risposta, tuttavia, non fa altro che aggiungere ancora più tensioni. Queste tensioni, a loro volta, forniscono ulteriori pretesti alle élites etno-nazionaliste ed alla comunità internazionale per rimanere al potere a tempo indeterminato.
Peggio ancora, l'Accordo di Dayton ha completamente fallito nel fornire alla Bosnia degli strumenti per poter contrastare efficacemente le ingerenze aggressive di Serbia e Croazia negli affari interni bosniaci.
Il fatto che questi stati siano firmatari degli accordi di pace, ma siano stati esentati da ogni impegno attinente alle riparazioni da pagare o al riconoscimento delle rispettive responsabilità dirette riguardo al tentativo di spartizione della Bosnia durante la guerra, ha comportato che i loro progetti espansionistici ne siano risultati incoraggiati. Con la pretesa di essere i guardiani dell'Accordo di Dayton, si sentono autorizzati ad immischiarsi negli affari interni della Bosnia, ma la loro ingerenza si traduce ogni volta nel sostegno a progetti etno-nazionalisti.
Tutte e tre le parti in causa che si dilettano con la politica del rischio calcolato traggono beneficio da quella narrativa orientalista che la storica Maria Todorova ha definito balcanismo. Parte del fenomeno chiamato balcanismo consiste nel considerare violenza e divisioni come aspetti naturali e profondamente radicati nella psiche della popolazione dei Balcani. Il balcanismo è regolarmente utilizzato come giustificazione dalle élites internazionali per mantenere la loro fetta di potere, presentando loro stessi come mediatori tra autoctoni apparentemente incivili, descritti come violenti, selvaggi ed in costante conflitto tra loro.
Spesso si sente dire che solo degli attori internazionali possono salvarci da noi stessi. Queste affermazioni hanno sempre e solo concepito il contesto bosniaco nel quadro dell'antagonismo etnico. Sicuramente diversi elementi del balcanismo sono sfruttati dalle élites etno-nazionaliste e dai loro onnipresenti mentori degli stati confinanti. Quando hanno bisogno di accaparrarsi un po' di risorse pubbliche o naturali e di potere in più, eccoli che ricorrono diligentemente a questa vecchia narrativa.
Attraverso ciascuna di queste crisi la comunità internazionale e le élite etno-nazionaliste continuano a riaffermarsi vicendevolmente, agendo in simbiosi ed insistendo nel preservare le strutture economico-politiche forgiate dalla violenza della guerra. Si limitano a parlamentare e negoziare tra di loro, preferibilmente al riparo di un edificio della delegazione dell'UE o nella residenza di qualche ambasciatore, evitando attentamente addirittura di visitare le istituzioni della Bosnia Erzegovina.
Addirittura prestano più attenzione ancora nell'evitare di chiedere alla popolazione bosniaca la sua opinione. Al contrario, a loro piace molto dirci cosa pensare, cosa volere e cosa desiderare.
L'arte di ignorare
Gli stimati membri della comunità internazionale apparentemente ne sanno di più di tutta la gente della Bosnia Erzegovina messa assieme. Diplomatici di seconda classe, singoli membri del Parlamento dell'UE, vari rappresentanti speciali, parlamenti di altri paesi, Alti Rappresentanti presenti e passati e istituzioni create dall'Accordo di Pace di Dayton, tutti assicurano che una nuova guerra è proprio dietro l'angolo.
Apparentemente, va fatto qualcosa per impedire alla perennemente problematica Bosnia di precipitarsi in un nuovo massacro. Le proposte variano dalle sanzioni agli emendamenti alla Costituzione e alla legge elettorale, ad un intervento NATO. Tedeschi, inglesi, russi, americani, turchi, parlamentari dell'UE, praticamente tutti sono corsi a dimostrare la loro esperienza e ad assicurarci che hanno buone intenzioni.
Ma se si ascoltasse da vicino cosa hanno da dire le persone che vivono in Bosnia, le poche volte che è concesso loro di parlare, si scoprirebbe che non hanno alcuna intenzione di muovere guerra a nessuno, e che né i bosniaci né gli erzegovesi hanno più alcuna intenzione di imbracciare un'arma. Ma è come se la comunità internazionale (insieme ai loro etno-nazionalisti e alle loro controparti regionali) fosse sorda alle nostre parole.
Al contrario, si continua a ripetere, quasi cantando: guerra, guerra, guerra. È molto traumatico. Ma ancor più di questo, è esasperante.
Le voci delle persone che vivono in Bosnia appaiono (di nuovo!) irrilevanti. Riscontriamo lo stesso disprezzo per le nostre opinioni che avevamo già avuto modo di osservare durante la negoziazione dell'Accordo di Dayton. Sembriamo incapaci di far sentire le nostre voci al di sopra del frastuono prodotto da tre élites differenti, quella etno-nazionale, quella internazionale e quella degli stati confinanti. Così come si sono create e sostenute vicendevolmente durante la guerra del 1992-1995, allo stesso modo nel periodo post-bellico queste élites perseverano nei loro giochetti.
Non possiamo che chiederci: stanno cercando di provocare una guerra?
Perché una cosa è certa. A meno che la Bosnia non venga utilizzata come cortile per dirimere le battaglie geopolitiche globali tra NATO/UE e Russia, o tra Stati Uniti e Cina, non scoppierà un conflitto in Bosnia. Gli abitanti della Bosnia non lo vogliono.
Quello che vogliono, invece, è aria ed acqua pulite, cibo e abitazioni a buon mercato. Vogliono poter pianificare le loro vacanze. Vogliono lasciarsi finalmente alle spalle gli anni della guerra.
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