Due giorni dopo la partita di qualificazione agli europei Italia-Bosnia Erzegovina a Sarajevo è stato presentato in anteprima il documentario “L’ultimo rigore di Faruk”
Sta arrivando l’estate, i campionati nazionali di calcio si sono ormai conclusi, e gli amanti della cosa secondaria più importante al mondo – come alcuni media banalmente definiscono il calcio – cercano in vari modi di far passare il tempo prima dell’inizio della nuova stagione, ad esempio guardando le partite di qualificazione al campionato europeo di calcio 2020. Nelle qualificazioni per la fase finale degli Europei la Bosnia Erzegovina ha finora perso due partite, contro la Finlandia e contro l'Italia.
In Finlandia la nazionale della Bosnia Erzegovina ha fatto una brutta figura, mentre nella partita giocata all’Allianz Stadium di Torino lo scorso 11 giugno la squadra guidata da Robert Prosinečki ha messo in grande difficoltà la nazionale italiana guidata da Roberto Mancini. La partita era ferma sull’1-1 fino al 86° minuto e al gol di Marco Verratti. Non si può dire che la nazionale bosniaca non abbia lottato, anche se ha mostrato, ancora una volta, un gioco che sembra essere caratteristico delle squadre dei paesi dei Balcani: un ottimo gioco all’inizio della partita e il gol del vantaggio, frutto di una brillante azione; poi il calo di rendimento e il pareggio degli azzurri con un gol geniale di Insigne, e poi il crollo della squadra bosniaca a partire dal 70° minuto. Era solo questione di tempo prima che la nazionale italiana battesse un avversario meno famoso e meno sicuro di sé. Eh, la saggezza calcistica consiste solo nell’evitare le situazioni tragiche, ed è per questo che la gente ama così tanto il calcio, proprio perché assomiglia alla vita.
Cosa sarebbe successo se…
Tuttavia c’è un evento che viene vissuto ancor oggi come la più grande tragedia della storia del nostro calcio. Oggi a evento si possono dare varie interpretazioni, ma quel 30 giugno 1990 allo stadio Artemio Franchi di Firenze accadde qualcosa destinato a lasciare un’impronta indelebile nella nostra memoria, e nella storia di un paese che non deve necessariamente essere ridotta alla storia politica, ma è inevitabilmente legata ad essa. Jugoslavia e Argentina si incontrarono quel giorno per i quarti di finale del campionato mondiale di calcio che si svolgeva proprio in Italia, e dopo i 90 minuti di gioco regolari e i tempi supplementari, la partita veniva decisa ai calci di rigore.
Diego Maradona, uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, tirò un pessimo rigore e la Jugoslavia passò quindi in vantaggio. Ma poi la fortuna si ribaltò. Il rigore da cui dipendeva il risultato della partita fu tirato da Faruk Hadžibegić. Il giornalista e scrittore italiano Gigi Riva parla proprio di questa partita nel suo libro “L’ultimo rigore di Faruk”. Dal libro è stato tratto anche un documentario che ci riporta indietro di quasi trent’anni, sollevando una domanda intrigante, ma destinata a rimanere senza risposta: cosa sarebbe accaduto se Faruk, capitano della nazionale jugoslava, originario di Sarajevo, non avesse sbagliato quel rigore? Questa domanda porta con sé un altro interrogativo, che veniva spesso sollevato negli anni Novanta: la Jugoslavia avrebbe continuato ad esistere se la nazionale jugoslava avesse sconfitto l’Argentina e se fosse arrivata in finale contro l’Italia? Un risultato migliore della nazionale jugoslava avrebbe potuto contribuire ad evitare la guerra e ammortizzare almeno in parte le tensioni di stampo nazionalista?
Certo che no, rispondo subito io, perché il terreno era già stato preparato e ci si aspettava solo che venisse acceso il fiammifero che fece poi esplodere la polveriera, che sconvolse la vita di centinaia di migliaia di persone. Il summenzionato documentario, intitolato “L’ultimo rigore di Faruk”, realizzato da Edin Isanović e Armin Čolaković, e prodotto da Al Jazeera, affronta proprio questa questione e lo fa in modo corretto, partendo da alcuni fatti che, in un certo senso, sono direttamente legati tra loro: ad esempio le immagini girate a Zagabria, che mostrano più di 20mila persone che fischiano la nazionale jugoslava durante una partita amichevole con l’Olanda, organizzata alla vigilia dell’inizio dei Mondiali 1990 e la campagna condotta dai media belgradesi contro il commissario tecnico della nazionale jugoslava Ivica Osim. Tutto questo possiamo vedere nel documentario di Isanović e Čolaković – presentato in anteprima il 13 giugno scorso al Dom Mladih di Sarajevo – che potrebbe fungere da prologo a una serie (televisiva) sulla storia degli anni Novanta.
…se fosse andata diversamente?
Quelli che sono più interessati agli aspetti filosofici e antropologici della vicenda, anziché alle considerazioni statistiche e fattografiche, sono rimasti un po’ delusi dal film, che non ha fornito molte informazioni sulle dinamiche interne alla squadra jugoslava. Com’era l’atmosfera nello spogliatoio della nazionale jugoslava lo si può intuire solo da alcune affermazioni di Dejan Savićević – il leggendario ex giocatore del Milan e uno dei migliori calciatori jugoslavi – riportate nel documentario, il quale aveva “accusato” il commissario tecnico Ivica Osim di aver favorito l’ala “occidentale” della nazionale, composta dai difensori originari di Sarajevo, Spalato e Lubiana. Un’affermazione curiosa, ma il punto era che Osim aveva scelto di mandare in campo al posto di Savićević un giocatore con più esperienza, il fantasista Safet Sušić. Su questo nel calcio non vi è democrazia: in campo ci sono 11 giocatori e chi li dirige e crea il gioco è uno solo.
Tutto sommato, quella dell’anteprima del film “L’ultimo rigore di Faruk” è stata una bella serata, in cui ci siamo ricordati che tra noi ci sono ancora alcune persone che hanno dato il loro contributo alla storia dell’ex Jugoslavia. Questo film ha sollevato un’altra questione importante, quella del senso di colpa di chi vive in esilio. Perché Faruk Hadžibegić per molto tempo si sentiva in colpa, pensando che tutto sarebbe stato diverso se non avesse sbagliato quel rigore. Ma questo non lo sapremo mai, così come non possiamo sapere come si sente un uomo che mette in discussione le decisioni più importanti della propria vita.
Non possiamo sapere con certezza cosa sarebbe successo se la Jugoslavia fosse entrata a far parte della Comunità europea, e se la Comunità europea fosse stata disposta ad accettare la Jugoslavia come membro a pieno titolo.
Queste non sono domande per gli amanti del calcio, bensì per quelli che decidevano le sorti dell’ex Jugoslavia.
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