La prossima visita di Papa Francesco in Bosnia Erzegovina stimola analisi e riflessioni sul tema dell'identità cattolica nel paese balcanico. Nostra intervista all'accademico Dubravko Lovrenović
Se Papa Francesco volesse visitare la culla del cattolicesimo in Bosnia Erzegovina, trovare le tracce più antiche della presenza dei cattolici in questa regione, dove andrebbe, chi incontrerebbe?
Io credo che dovrebbe visitare i tre monasteri storici della provincia francescana della Bosnia Srebrena, cioè Kraljeva Sutjeska, Fojnica e Kreševo. È qui che si può riconoscere la forma storica attraverso la quale, a partire dalla metà del secolo quattordicesimo, e ad opera dei francescani, il cattolicesimo si è dispiegato in Bosnia Erzegovina.
Questi monasteri, espressione di un'arte universale, non sono nati in modo strutturato. Non si tratta infatti di edifici creati dalle istituzioni ufficiali della Chiesa, né tanto meno finanziati con l'imposizione o il saccheggio. Non è stata la Chiesa militante, ma quella sofferente e impegnata nella preghiera a dare loro vita. Si tratta di collezioni di armoniosa diversità, create per lo più in modo spontaneo, salvando gli oggetti dagli incendi, dalla peste, dalla carestia e dalla guerra, in una lotta tra speranza e disperazione.
Questi musei, in altre parole, rappresentano anzitutto una testimonianza di fede, non sono musei di una nazione. In nessun altro luogo, come in questi antichi monasteri, la fede parla in maniera così forte.
Qui, nelle nostre tre Montecassino, ci sono i pilastri della memoria storica della Bosnia antica. Questi musei riflettono le fondamenta della nostra identità bosniaco erzegovese, un'identità che è ormai caduta nell'oblio e che è stata sostituita da una moderna forma di paganesimo: il culto della nazione. La cieca insistenza sulla sovversione della cultura, a partire dalla fine dell'Ottocento, in nome di obiettivi più alti e di un futuro radioso, sotto lo slogan "Dio e i croati", non può essere in alcun modo giustificata. Non bisogna essere degli indovini per vedere che un tale concetto non può portare nulla di buono, e che non ha portato nulla di buono fino ad ora.
Chi sono i cattolici in Bosnia Erzegovina oggi? Quale comunità troverà Papa Francesco, ad attenderlo e dargli il benvenuto?
I cattolici in Bosnia Erzegovina, oggi, sono molto più croati che cattolici. Sono il risultato di tesi che non dovrebbero essere applicate alla Chiesa cattolica, in particolare della tesi secondo la quale si può costruire un'identità nazionale a partire dall'affiliazione religiosa. I croati della Bosnia Erzegovina sono il risultato dell'incontro tra il “croatismo” integralista-romantico del Partito dei Diritti di Ante Starčević con il cattolicesimo politico entrato in scena tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Questo è il modo in cui è nata la nazione “esterna”, quella che, sin dall'inizio, ha coniato una pericolosa menzogna politica: “Non c'è vita fuori dalla Croazia”.
Cercare di controllare le identità con un telecomando è un'operazione che ha dimostrato essere molto pericolosa. Il sogno millenario di uno Stato croato è stato realizzato ma, invece di uno, abbiamo prodotto due Stati che hanno i croati come “popolo costitutivo”. Questo è il motivo per cui i croati della Bosnia Erzegovina, oggi, non sanno cosa fare con il proprio Stato, perché la loro identità culturale e quella politica non trovano armonia. La Croazia rappresenta una possibile risposta: siamo stati dichiarati una diaspora nel nostro stesso Stato e nella nostra stessa patria.
La croatizzazione dei cattolici bosniaci è iniziata al volgere tra XIX e XX secolo, in concomitanza con le prime fasi dell'industrializzazione e modernizzazione della Bosnia Erzegovina. Le conseguenze di questo processo sono state di natura politica, culturale e psicologica. L'operazione di livellamento e omologazione culturale avviata allora, con la conversione dei cattolici bosniaci in cattolici croati, ha prodotto un cambiamento fondamentale in termini quali “regione storica”, “patria”, “cultura” e “Stato” nel senso di una trasformazione della tradizione culturale e politica di questo popolo.
Il processo di nazionalizzazione di questo cattolicesimo rurale, bosniaco erzegovese, ha prodotto sin dall'inizio una profonda frattura tra la croatizzazione culturale e un immaginario Stato croato che, nelle visioni romantiche del Partito dei Diritti, comprendeva la Bosnia Erzegovina. Il mito di una Grande Croazia, che comprendesse la Bosnia Erzegovina come una delle sue parti costituenti, era e continua ad essere questo, un mito, accompagnato dal monologo sul carattere della nazione croata.
Con o senza i croato bosniaci, l'attuale Bosnia Erzegovina è un paese diseredato, rapinato dentro e fuori “in nome del popolo” e “in nome degli interessi vitali nazionali” da banche off shore e da partiti politici. Mentre si occupavano e cercavano di risolvere la cosiddetta “questione croata”, alcuni individui sono diventati proprietari di edifici lussuosi da 2.000 metri quadri. Siamo minacciati e messi in pericolo in primo luogo dalle nostre stesse menzogne e dalla nostra ipocrisia che, a tutti i costi, stiamo cercando di trasformare in dogmi etno-nazionali. Tutto questo produce culture divise e personalità dissociate, che stanno perdendo l'ultima possibilità per emergere da questo stato di decadenza definito dalla cultura politica etno nazionale.
E' questa comunità, segnata da spinte neo feudali e guidata dai propri etno-politici, quella che accoglierà e ospiterà Papa Francesco in Bosnia Erzegovina.
Quanto profonda è l'identificazione tra la comunità cattolica e la nazione croata, in Bosnia Erzegovina?
Si tratta di un'identificazione profonda ma al tempo stesso dubbia o, perlomeno, disfunzionale. È uno dei tipici esempi balcanici che mostrano come le nazioni possono essere create sulla base delle religioni, non sulla base di una comune appartenenza linguistica o di altro. Il fatto è che nazione e Chiesa, nel sud est Europa, sono due concetti virtualmente inseparabili. Lo slogan medievale “non c'è salvezza al di fuori della Chiesa” è stato tradotto in quello new age di “non c'è salvezza al di fuori della nazione”. L'identità religiosa e etnica è stata poi fusa all'interno del nuovo orizzonte politico, quello del capitalismo neoliberale, ed è nata una nuova forma di narcisismo di gruppo. Nel culto di sé, elevato politicamente alla massima potenza, risiede, secondo Fromm, la radice del fanatismo. L'attuale legame tra la comunità cattolica e la nazione croata in Bosnia Erzegovina non è altro che una forma di chiamata alle armi, un tradimento dei principi fondamentali della cristianità.
Pensa che la visita del Papa possa contribuire a rafforzare la coesione interna del paese, o c'è il rischio che qualcuno strumentalizzi questo evento come fattore di divisione?
Ho dei dubbi sul fatto che queste visite possano contribuire alla coesione del paese. Lo confermano le precedenti due visite di Papa Giovanni Paolo II, che non hanno contribuito a risolvere la “questione croata” né a fermare l'esodo dei croati dalla Bosnia Erzegovina. Al contrario, ci sono diverse ragioni che suggeriscono che la visita del Papa possa contribuire, come effetto indesiderato, a rafforzare il cattolicesimo politico come determinante fondamentale dell'identità nazionale dei croato bosniaci. Solo il Papa potrebbe prevenire questo, definendo l'esperienza storica del cattolicesimo politico come una buona intenzione, la cui messa in pratica tuttavia è stata sfortunatamente fatale.
Alcune importanti questioni dividono il Vaticano da una parte della comunità cattolica in Bosnia Erzegovina, anzitutto Medjugorje. Un'altra questione delicata è quella di rappresentanti della Chiesa che prendono o hanno preso le parti di criminali di guerra, come recentemente avvenuto dopo il recente rilascio dal carcere di Dario Kordić. Pensa che queste questioni potranno avere peso nella visita di Papa Francesco?
Non credo che la visita del Papa cambierà nulla rispetto a Medjugorje. In quel luogo, alcuni (francescani) credono nelle apparizioni, mentre altri (il vescovo e il Vaticano), non le accettano. Nel frattempo, però, questo fenomeno è cresciuto ad un livello globale, con milioni di pellegrini che si recano in quel villaggio. Fino a quando non accadrà un “contro-miracolo”, sono convinto che la situazione non cambierà.
Per quanto riguarda invece il benvenuto dato a Dario Kordić al suo ritorno dal carcere, le cose sono diverse. Circa 200 persone lo hanno accolto all'aeroporto di Zagabria, inclusi alcuni politici croati di alto profilo la cui politica, nei fatti, è stata quella che ha mandato in carcere Kordić. Anche il vescovo di Sisak, Vlado Košić, era presente. Se, in quella occasione, qualcuno avesse detto qualcosa a proposito dei crimini per i quali Kordić è stato accusato, giudicato e condannato, e che nessuno ha messo in dubbio, tutto questo avrebbe avuto un senso. Invece si è trattato solo di sostenitori che applaudivano Kordić al rientro dal carcere, simbolo di una politica fallimentare e criminale. Questo avvenimento tuttavia non può essere indice dell'atteggiamento della maggioranza dei cittadini croati, che stanno lottando per provvedere ai bisogni fondamentali della vita, e che non hanno né il tempo né le energie per esibizioni di questo tipo.
Qualcosa di simile è avvenuto al ritorno di Kordić a Busovača, in Bosnia Erzegovina. L'Unione Democratica Croata della BiH ha sfruttato l'opportunità per soffiare sul sentimento di paura presente tra l'elettorato croato privo di educazione, specialmente tra coloro la cui esistenza dipende dal partito. Alcuni preti hanno portato la legittimità della Chiesa a questa operazione, mentre i leader [della Chiesa] sono rimasti in silenzio, e il tutto si è concluso con una sorta di grido di guerra lamentando il fatto di essere in pericolo e richiamando [il popolo] all'unità. Se il Papa, di fronte a tutto questo, parlasse le parole del Vangelo, la sua visita in Bosnia Erzegovina avrebbe un effetto profondo. Bisogna vedere se questo accadrà.
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