I limiti della democrazia bosniaca, la pace, il percorso europeo del Paese nell'intervista a Mirko Pejanović, preside della Facoltà di Scienze Politiche di Sarajevo e già fondatore dell'organizzazione non governativa “Consiglio Civico Serbo”. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
La Bosnia Erzegovina e le altre nazioni dei Balcani Occidentali sono impazienti di entrare nell’Unione Europea. Cosa può offrire la Bosnia all’Europa?
I cambiamenti geopolitici avvenuti nel continente europeo negli anni Ottanta del XX secolo hanno portato alla fondazione di un nuovo ordine mondiale. E’ scomparsa la divisione in blocchi del nostro pianeta. Il sistema socialista è crollato. E’ scomparso il Muro di Berlino. E’ sparita l’Unione Sovietica. Si è disintegrata la Federazione Jugoslava: lo sfascio della Jugoslavia ha portato poi a pesanti scontri bellici.
Le conseguenze più gravi della guerra le ha avute la Bosnia Erzegovina, una delle sei repubbliche della ex Jugoslavia. In verità la Bosnia Erzegovina è stata esposta ad una guerra di aggressione da parte del regime di Slobodan Milošević, che mirava, come fine ultimo, alla sua divisione etnica. Su 4.300.000 abitanti, due milioni sono dovuti fuggire dalla loro terra.
Il rinnovamento della Bosnia Erzegovina può avvenire con l’aiuto della comunità internazionale. L’Unione Europea ha investito molto in questo. Dal punto di vista strategico, l’entrata nell’Unione Europea significa per la Bosnia Erzegovina il rafforzamento inequivocabile della pace sul suo territorio. In relazione alla Croazia e alla Serbia, accogliere la Bosnia Erzegovina nell’Unione Europea vuol dire anche assicurare pace e stabilità, sviluppo sociale e economico. Questo naturalmente implica anche maggiori investimenti stranieri alla luce del fatto che la Bosnia Erzegovina ha delle risorse naturali, in particolare per quanto concerne il potenziale energetico, una forza lavoro specializzata e dai costi relativamente bassi.
La società della Bosnia Erzegovina inoltre è una società multiculturale e multietnica. In quanto tale esiste da secoli e ha costruito un’importante cultura di tolleranza interreligiosa e interetnica. Questa esperienza di tolleranza interreligiosa sarà portata dalla Bosnia Erzegovina come valore culturale e civile all’interno dell’Unione Europea, intesa come comunità di popoli e Stati.
Che cosa pensano le nuove generazioni, che lei incontra nel suo insegnamento, dell'Europa?
I cittadini della Bosnia Erzegovina, in gran parte, hanno una posizione positiva nei confronti dell’integrazione del loro Paese nell’Unione Europea. Oltre il 70% dei cittadini della Bosnia Erzegovina esprime in tutti i sondaggi l’interesse che il proprio Stato diventi membro dell’Unione. I giovani, in particolare, gli studenti con i quali lavoro, hanno un forte interesse per l’integrazione della Bosnia Erzegovina nell’Unione Europea: desiderano libertà di movimento e di lavoro nel mercato europeo. Agli studenti dico sempre che si devono formare, devono raggiungere conoscenze e abilità funzionali alla loro integrazione nel mercato del lavoro europeo. Anche il sistema di studio, attraverso l’adozione degli standard previsti dalla Dichiarazione di Bologna del 1999, li può preparare per un lavoro in Europa.
La speranza di vivere e lavorare in un’Europa unita è molto presente nella gioventù bosniaca.
Cosa pensa della nuova ondata nazionalista capitanata dal leader della Republika Srpska, Milorad Dodik?
Il nazionalismo in Bosnia Erzegovina non è mai scomparso dalla scena politica. Tuttavia, il nazionalismo non proviene dalla gente comune. La gente comune è consapevole che la tolleranza multietnica e il vivere insieme in Bosnia Erzegovina sia un fondamento della pace.
Il nazionalismo dal 1992 si è sempre più radicato nelle élite dei partiti etnici, mostrandosi nella forma dell’etnonazionalismo. Ciò significa che i partiti monoetnici incoraggiano la mancanza di fiducia verso gli altri gruppi etnici: puntano ad una delimitazione territoriale del proprio gruppo etnico e alla divisione da chi appartiene ad un’altra nazione.
Il nazionalismo etnico croato si lega con l’HDZ (Unione Democratica Croata) della Bosnia Erzegovina, che spinge per la formazione dell’entità croata come terza entità.
Ai partiti bosniaci invece si attribuisce la tendenza all’unità della Bosnia Erzegovina attraverso l’abolizione dell’attuale ripartizione etnica in due entità.
Il nazionalismo etnico serbo, propugnato da Milorad Dodik e dal suo partito (SNSD) da diverso tempo, per l’esattezza dal 2006, incita alla divisione della Republika Srpska dalla Bosnia Erzegovina. A questo fine ci sono stati differenti tentativi di “demolizione” delle istituzioni dello Stato di Bosnia Erzegovina, ad esempio, tramite il tentativo di indire dei referendum incostituzionali. Secondo la gran parte delle istituzioni internazionali presenti a Sarajevo, Milorad Dodik è diventato ormai il paladino della retorica nazionalista e da questa posizione è divenuto anche il sostenitore della negazione dello Stato stesso di Bosnia Erzegovina.
Lei è stato ed è un uomo di pace. Quanto costa la pace, come valore e dimensione di vita?
Tutte le mie forze, il mio sapere e la mia esperienza politica raggiunte nel tempo sino al 1992, per l’esattezza fino all’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina, le ho sempre impiegate a servizio della pace. Per me la pace è il più grande valore: la pace è il bene comune. Nella pace tutto si costruisce mentre nella guerra tutto si annienta. La consapevolezza del significato della pace come uomo me l’ha trasmessa già da bambino mio padre Nikola, che è sopravvissuto ai lager di Hitler, in Germania, in cui è stato detenuto dal 1941 al 1945.
Tutto il tempo della guerra in Bosnia Erzegovina, in qualità di presidente di un partito dell’opposizione e come membro della Presidenza della Repubblica di Bosnia Erzegovina, durante la guerra, in qualità di rappresentante del popolo serbo, ho agito ai fini del raggiungimento di una risoluzione politica pacifica. In questo senso sono stato attivo anche come membro della delegazione statale nei negoziati nell’ambito della conferenza di pace per la Bosnia Erzegovina tenutasi a Ginevra tra il 1992 e il 1994.
Ho creduto e credo tuttora che la pace sia il più grande interesse dei cittadini della Bosnia Erzegovina, e ciò l’hanno dimostrato i giorni e il tempo passato dopo l’accordo di Washington del 1994 e gli Accordi di Pace di Dayton del 1995. Per questo tipo di atteggiamento ho dovuto subire numerose pressioni e minacce da parte degli estremisti nazionalisti di Radovan Karadžić.
Qual è la reale situazione socioeconomica della Bosnia Erzegovina, alla luce della sua recente affermazione sulla preoccupante disoccupazione che si aggira attorno al 40%? Come si può creare occupazione?
La realtà della situazione socioeconomica è descritta dall’indice di disoccupazione in Bosnia Erzegovina: il 40% della popolazione attiva. Questa situazione è la conseguenza della distruzione delle strutture produttive durante la guerra e di un processo di privatizzazione mal gestito. La disoccupazione è anche la conseguenza di una strategia inesistente di sviluppo dell’economia e dell’imprenditoria nel dopoguerra. Ma l’esistenza di un’enorme disoccupazione è ancora di più colpa della burocrazia del potere e della sua incapacità di occuparsi dello sviluppo economico. La soluzione si trova nello stimolare per quanto possibile l’accesso al credito per lo sviluppo di nuova impresa locale, ma anche nell’apertura e nella creazione di condizioni ideali per gli investimenti dall’estero.
A che punto è il cammino verso una democrazia partecipata? Quali sono le difficoltà dei suoi cittadini in questo cammino?
Esiste davvero in Bosnia Erzegovina una democrazia parlamentare? La risposta non c’è ancora. Esiste un sistema pluripartitico. Ci sono delle elezioni libere, esistono delle campagne elettorali libere. I cittadini che votano però sono circa il 50% degli aventi diritto, e allo stesso tempo i cittadini in grande numero preferiscono ancora i partiti etnici, quindi i partiti nazionali. Solo alle elezioni del 2010, nel territorio della Federazione di Bosnia Erzegovina, la maggioranza dei voti è stata ottenuta dal Partito socialdemocratico di Bosnia Erzegovina, un partito multietnico.
Il problema principale in Bosnia Erzegovina, nell’ottica di impostare e sviluppare una democrazia parlamentare, si manifesta quando bisogna formare una maggioranza nel Parlamento di Bosnia Erzegovina. Le elezioni si sono tenute nell’ottobre 2010: ora siamo nell’agosto 2011, ma non si è ancora giunti alla formazione di una maggioranza parlamentare a sostegno di un governo. I partiti che si fondano sull’etnonazionalismo non collaborano nella formazione di una coalizione di programma che li obbligherebbe, di fronte all’opinione pubblica, all’attuazione di un programma condiviso. Desiderano solo la divisione delle risorse derivanti dalla gestione del potere, e la formazione del governo non sulla base di un programma politico ma semplicemente sulla base di una partnership finalizzata alla divisione dei ministeri. Una visione così antidemocratica del governo della Bosnia Erzegovina ha determinato una stagnazione dal punto di vista economico, e nel processo di integrazione nell’Unione Europea. La mancanza di consenso dei partiti al governo, negli ultimi 15 anni, è stata compensata dal fatto che le decisioni sono state prese dall’Alto Rappresentante della Comunità Internazionale, sulla base dei cosiddetti “Bonn powers”, i poteri esecutivi attribuitigli dal Consiglio di Implementazione della Pace. Ora non è più così.
I partiti vincitori devono strutturare la coalizione di programma con il fine strategico di assicurare l’accelerazione del processo di integrazione della Bosnia Erzegovina nella UE: più concretamente, permettere il raggiungimento dello status di Paese candidato all’adesione entro la fine del 2011.
*Ufficio politiche internazionali Acli Milano, Monza e Brianza
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