La vittoria di Donald Trump ha suscitato reazioni divergenti in Bosnia Erzegovina. Festeggia il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, che non nasconde le speranze che con Trump i piani di secessione dell'entità serba possano andare a buon fine
In Bosnia Erzegovina, come nel resto del mondo, le elezioni presidenziali americane hanno avuto una forte eco, suscitando numerose reazioni. Tutti i principali attori politici in BiH si sono congratulati con Trump, in primis i rappresentanti dei serbi, particolarmente soddisfatti dell’esito delle elezioni.
Ad attirare particolare attenzione è stata la grande festa organizzata da Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska e leader dell’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD). Dodik ha festeggiato la vittoria di Trump indossando un cappello rosso con la scritta MAGA (Make America Great Again) in compagnia di numerosi funzionari di alto rango della Republika Srpska.
Tra i presenti c'erano anche alcuni politici inclusi nella cosiddetta "lista nera" degli Stati Uniti, incluso lo stesso Dodik. Nel palazzo presidenziale della Republika Srpska, dopo tanto tempo, accanto a quella della RS, è stata esposta anche la bandiera degli Stati Uniti, è stato organizzato un cocktail party, con tanto di suoni della fisarmonica, e sulla facciata del palazzo è stata proiettata la bandiera americana con l’immagine di Trump.
A giudicare dalle sue dichiarazioni, Dodik ripone grandi speranze nel secondo mandato di Donald Trump.
Secondo gli esperti, il presidente della Srpska e i suoi fedelissimi stanno preparando il terreno per la secessione dell'entità serba dalla Bosnia Erzegovina, tra l’altro attraverso l’approvazione di una serie di leggi per trasferire le principali competenze dal livello centrale a quello della RS.
La leadership di Banja Luka mostra entusiasmo per la vittoria di Trump, vedendovi un’occasione per risolvere definitivamente la questione della Republika Srpska. Le ipotesi sono due: tornare alla sostanza degli Accordi di Dayton oppure optare per una scissione pacifica della Bosnia Erzegovina.
Durante una recente visita in Russia, Dodik ha annunciato per l’ennesima volta di voler dichiarare l’indipendenza della RS in caso di vittoria di Trump.
Nel frattempo, la leadership della RS e i funzionari inclusi nella “lista nera” devono fare i conti con numerose difficoltà dovute alle sanzioni a cui sono sottoposti (ad esempio l'impossibilità di aprire un conto bancario e di ricevere lo stipendio con vaglia postale). Questo è senz’altro uno dei motivi alla base del loro atteggiamento favorevole nei confronti di Trump. Le grandi aspettative non sono del tutto infondate considerando che Trump appartiene ai populisti di destra, alcuni dei quali sostengono apertamente l’idea della secessione della RS.
C’è invece chi interpreta le grandi aspettative e l’entusiasmo di Dodik per la vittoria di Trump come una messinscena ben lontana dalla realtà. Ad ogni modo, i problemi di Dodik non scompariranno da un giorno all'altro.
L’insediamento di Trump è annunciato per la seconda metà di gennaio del 2025, e fino ad allora l’amministrazione statunitense guidata dai democratici continuerà il suo lavoro. Inoltre, l’inaugurazione di Trump non comporterà un cambio immediato dell’amministrazione negli Stati Uniti, trattandosi di un processo che potrebbe protrarsi per mesi.
Il prossimo periodo rischia di rivelarsi critico per Dodik non solo per l'atteso verdetto in un processo contro di lui davanti al Tribunale della BiH, ma anche per la crescente incertezza economica in RS.
Dodik spera che tra due mesi, cioè dopo l'insediamento della nuova amministrazione statunitense, i funzionari della RS possano essere rimossi dalla "lista nera" e che “le pressioni sulla RS" possano cessare.
Abbiamo assistito ad una situazione analoga anche dopo la prima vittoria di Trump, accolta con grande entusiasmo da Dodik e dai suoi sostenitori. Il presidente della RS è stato sottoposto a sanzioni statunitensi nel 2017, poco prima dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Durante il suo primo mandato Trump, anziché revocare le sanzioni come auspicato dalla leadership della RS, le ha estese ad altre persone fisiche e giuridiche vicine a Dodik. Non c’è dunque da aspettarsi che durante il secondo mandato di Trump Dodik venga rimosso dalla “lista nera”.
Lo scorso 6 novembre, mentre Dodik e i suoi collaboratori festeggiavano la vittoria di Trump come se avessero dimenticato tutte le affermazioni negative pronunciate negli ultimi anni contro gli Stati Uniti, il Dipartimento del Tesoro americano ha ampliato la famigerata lista aggiungendovi un’altra persona e un ente che hanno aiutato la famiglia di Dodik e le aziende ad essa legate ad aggirare le sanzioni statunitensi.
Dodik ha reagito scagliandosi per l’ennesima volta contro gli americani, più precisamente contro i democratici, dando la colpa all'amministrazione uscente. Secondo Dodik, la RS ha interrotto la collaborazione con l’ambasciata americana a Sarajevo nel marzo 2023 a causa dei democratici, che il presidente della RS, in un post pubblicato sul suo profilo X, ha definito nemici .
La situazione attuale si distingue però da quella del 2017, quando Dodik è stato per la prima volta sottoposto a sanzioni, per la nuova vicinanza politica tra il presidente della RS e Viktor Orbán. Solo quest’anno il premier ungherese ha incontrato Trump ben due volte. Nei giorni successivi al voto negli Stati Uniti, Dodik ha sottolineato l'importanza dei buoni rapporti tra Orbán e Trump per la Republika Srpska, precisando che il governo di Orbán condivide con la RS tutte le informazioni ricevute dai partner occidentali.
Oltre che su Orbán, Dodik con ogni probabilità conta anche sui legami economici e politici che Belgrado intratterrebbe con l'entourage del neo eletto presidente statunitense grazie all’impegno della precedente amministrazione Trump nei Balcani, in particolare di Richard Grenell, ex inviato per il dialogo tra Serbia e Kosovo. Nei giorni successivi alla vittoria di Trump, il nome di Grenell è comparso tra i potenziali candidati alla carica di segretario di Stato degli Stati Uniti.
Non è poi da escludere che la leadership di Banja Luka sia ottimista riguardo alla nuova amministrazione statunitense anche per il fatto che il governo della RS da anni ormai porta avanti un'intensa attività di lobbying a Washington.
Continuità della politica americana nei confronti della Bosnia Erzegovina
Gli esperti sottolineano che le grandi potenze come gli Stati Uniti non cambiano facilmente e improvvisamente la propria politica estera a lungo termine. Per quanto riguarda nello specifico gli Stati Uniti, indipendentemente dal fatto che il paese sia governato dai democratici o dai repubblicani, persiste un atteggiamento compatto nei confronti della BiH, ossia il sostegno alla sua integrità e sovranità. Non c’è da aspettarsi che con la rielezione di Trump la politica statunitense nei confronti della Bosnia Erzegovina cambi in modo significativo.
Un’eventuale svolta nella politica degli Stati Uniti nei confronti dell’UE e della NATO potrebbe invece riflettersi indirettamente sui Balcani, e quindi anche sulla situazione in Bosnia Erzegovina. Alcuni analisti ritengono però che gli Stati Uniti, anziché sui Balcani occidentali, siano inclini a concentrarsi maggiormente sull’Ucraina. Viene sottolineata anche l’imprevedibilità di Trump, per cui la Bosnia Erzegovina potrebbe anche rimanere senza quel sostegno americano di cui ha goduto finora.
Quanto alle sanzioni statunitensi, parliamo di restrizioni di carattere istituzionale e non personale, che possono essere revocate una volta venute meno le ragioni per cui sono state introdotte, come la corruzione o le politiche contrarie agli Accordi di Dayton e all’ingresso della BiH nella NATO e nell’UE.
Gli altri leader politici in BiH hanno reagito alla vittoria di Trump senza aspettarsi grandi cambiamenti nelle relazioni tra Washington e Sarajevo. Tra i tanti messaggi di congratulazione spiccano quello di Željko Komšić, membro croato della Presidenza tripartita della BiH, e quello di Dragan Čović, presidente della Camera dei popoli della BiH.
Se Komšić ha elogiato la squadra multietnica e multirazziale di Donald Trump come uno stimolo per continuare la battaglia per uno stato democratico, Čović, in una lettera inviata a Trump, ha posto l’enfasi sulle "legittima rappresentanza politica". Sono ormai anni che il leader dell’Unione democratica croata della BiH insiste su questo diritto, sostenendo che i croato bosniaci non possano esercitarlo.
Stando ai dati ufficiali diffusi dall’ambasciata statunitense a Sarajevo nel 2023, dal 1995 gli Stati Uniti hanno investito in Bosnia Erzegovina circa due miliardi di dollari, di cui 638 milioni solo in Republika Srpska.
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