Massacro di Markale, 24 anni dopo

28 agosto 2019

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Il 28 agosto del 1995 l’ultimo di cinque colpi di mortaio sul mercato di Markale a Sarajevo causa la morte di 43 civili e il ferimento di 84. Si tratterà del secondo attacco, il primo avvenuto a febbraio 1994 che aveva causato 200 vittime tra morti e feriti. Amerisa Ahmetović, una delle persone ferite, non ha mai dimenticato e oggi per la prima volta ha partecipato alle commemorazioni.

Commemorazione Markale, 28 agosto 2019 - foto A. Ahmetović

“Non è per niente facile né cominciare a parlare né tornare a quell’anno… il 1995. Per me era iniziato già pesantemente, a maggio era morto mio padre. E poi, la mattina del 28 agosto, un giorno qualsiasi, siamo andati al mercato io e mio zio, per comprare qualcosa. Aspettavamo il momento giusto per uscire… andiamo, non andiamo. Ad un certo punto decidiamo e lo seguo facendo il primo passo con la gamba destra, spingendo avanti la gente e poi... silenzio totale, in un secondo. In quel secondo mi è passata tutta la vita davanti”. Amerisa Ahmetović aveva 16 anni quel 28 agosto del 1995, e assieme a decine di persone si era recata al mercato di Markale. Il racconto di Amerisa è stato inserito in una serie di 9 documentari dal titolo “Sarajevski masakri ” realizzati nel 2016 grazie a una collaborazione tra l’Associazione per la tutela dei valori storici della Bosnia Erzegovina ("Udruženje za zaštitu historijskih vrijednosti BiH") e la produzione “Haber” per ricordare le vittime civili della guerra 1992-1995.

Ho scoperto la storia di Amerisa quando l’ho conosciuta nell’ambito dell’inchiesta "I bambini di Bjelave", che da Sarajevo vennero portati in Italia nel luglio del 1992 a Milano e che invece di tornare in patria vennero adottati in Italia. Lei, oggi del segretariato della "Uduženja civilnih žrtava rata Sarajevo" (Associazione vittime civili di guerra di Sarajevo), è stata un anello importantissimo della catena che ci ha permesso di rimettere in contatto uno di quegli (ex) bambini alla madre biologica.

Nel video Amerisa prosegue il racconto: “Dato che ero a due metri dalla granata, la detonazione mi ha schiacciata contro il muro del mercato. Portavo la gonna... ho guardato giù e ho visto che una gamba era lì, mentre l’altra era un pezzo di carne che pende. (…) Cado, sul corpo di un uomo senza testa. Intorno niente altro che sangue; poi vedo delle scarpe di una persona in piedi, alzo lo sguardo e vedo che sta girando le immagini. Gli chiedo di smettere, che ho bisogno di aiuto, ma se ne va. È uno di quei momenti in cui non sai cosa fare… ho raccolto le mie cose che erano uscite dalla borsetta, le sigarette, i documenti, poi ho solo alzato la mano e ho detto ‘aiutatemi’. Sono arrivati, mi hanno presa e mi hanno caricata su di un’auto bianca, assieme ad un’altra ferita. È stato il viaggio più lungo della mia vita”.

Racconta poi il viaggio, in cui litiga con chi guidava l’auto, per tenersi sveglia e non svenire dal dolore. Poi l’ospedale, con il pavimento dei corridoi pieno di feriti: “Tutti piangevano e chiedevano aiuto. Io lì per terra, capisco che sto per perdere i sensi e allora mi attacco alla gamba di un tecnico chiedendo una benda perché sapevo per esperienza che dovevo bloccare l’emorragia”. Combatte perché qualcuno si prenda cura di lei e riesce a farsi spostare in ortopedia. Tra le donne ferite risulterà poi essere la più grave: le toglieranno 2 chili e mezzo di schegge, da ferite sulla schiena, in testa, nella gamba sinistra, mentre la destra la perderà. Dopo quell’operazione rimarrà in stato di incoscienza per un mese: “Al risveglio l’infermiera mi ha portato una sola scarpa e lì ho capito… dallo shock sono caduta di nuovo in stato di incoscienza. Mi sono serviti poi mesi di sostegno psicologico e ho subito altre 39 operazioni”.

Amerisa mi ha raccontato una parte di storia che in quel video manca: il suo viaggio in Italia. Se oggi riesce a camminare, con una protesi alla gamba amputata, è dovuta all’operazione – gratuita - che le è stata fatta in Italia, nell’ottobre del 1995, da un chirurgo dell’ospedale di Padova.

Nel video, Amerisa chiude dicendo che per lungo tempo non ha avuto la forza di passare davanti a quel mercato e allo stesso tempo, con rabbia, di non essere mai stata chiamata per partecipare alle commemorazioni. Quest’anno invece era lì, come testimonia la foto che mi ha appena inviato, scattata da suo figlio. E per la prima volta, dopo 24 anni, ascoltata dai media e invitata a posare dei fiori.

Video della testimonianza di Amerisa Ahmetović, in "Sarajevski masakri":