Nel capoluogo erzegovese prosegue la paralisi istituzionale iniziata nel 2010. Se nulla cambia, la città potrebbe essere a un passo dall'essere nuovamente divisa in due municipalità
Nessuna nuova da Mostar. Da mesi la città versa in una sorta di oblio collettivo, senza che sia stato ottenuto alcun passo in avanti nella ricerca di una soluzione alla grave crisi istituzionale che si protrae da due anni. Se, solamente qualche giorno fa, i leader dell'HDZBiH Dragan Čović e dell'SNSD Milorad Dodik non si fossero incontrati proprio nella città dell'Erzegovina, sarebbe difficile anche solo trovarne menzione nei giornali.
“Non c'è nulla di strano nel nostro incontro. Tra i due partiti c'è sempre stato un ottimo rapporto, e questo non è in discussione”, hanno chiosato i due leader. Čović nelle ultime elezioni ha ottenuto la legittimazione per rappresentare, inequivocabilmente, i croati di Bosnia Erzegovina. Il suo sostegno sarà obbligatorio per qualsiasi maggioranza di governo. E Milorad Dodik, da parte sua, ha sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti dell'HDZBiH, in un'ottica di indebolimento del governo centrale. Nella campagna elettorale era stato anzi il solo a evocare apertamente la creazione di una terza entità croata, in un’intervista rilasciata a Jutarnji List nella quale assicurava che “avrebbe aiutato i croati ad avere il proprio stato in Bosnia Erzegovina”.
Da Mostar, i due leader si sono dichiarati pronti a formare una coalizione valida “a tutti i livelli di governo”, cercando così di mandare un messaggio chiaro all'SDA, proprio mentre sono in corso i difficili negoziati per la formazione del nuovo esecutivo: la via più breve per ottenere una maggioranza in parlamento è anche la più semplice, un triumvirato costituito da SDA, HDZBiH e SNSD.
Popolazione sempre più povera
Nell'incontro tra i due politici, Mostar è servita al massimo da sfondo. Negli ultimi anni, infatti, nulla è cambiato in città. Le cronache parlano di una popolazione locale sempre più povera, con un tasso di disoccupazione registrata del 50,1%, e con sempre più cittadini costretti a mettersi in fila alle mense popolari, secondo il ritratto drammatico che della città ha fatto recentemente il locale Dnevni List .
Eppure, nonostante il crescente disagio sociale, la situazione rimane sempre la stessa. Le ultime elezioni hanno provato per l'ennesima volta la tenuta dei due storici partiti identitari, l'HDZBiH croato e l'SDA bosgnacco. E' crollata invece la cosiddetta “alternativa civica”, rappresentata (per quanto malamente, dopo quattro anni di governo fallimentare) dalla socialdemocrazia. Quanto alla nuova creatura politica di Željko Komšić, il Fronte Democratico, questa non è sembrata impegnarsi particolarmente per costruire una propria base in città. Altre formazioni minori e non etniche, come Naša Stranka, a Mostar non hanno nemmeno presentato le proprie liste. La città è stata ufficialmente abbandonata in balia di se stessa, con un predominio incontrastato dei due partiti tradizionali, “ipocriti e antieuropei”, secondo il politologo Mile Lasić, dell’Università degli studi di Mostar.
Lasić ha lavorato alle proposte di riforma della costituzione: “La mia idea era di rendere questa città una città normale, non gestita cioè attraverso statuti e regole particolari, e di renderla magari anche la capitale della Federacija”, spiega a Osservatorio. “Tutti obiettivi realizzabili, se chi è al governo lo volesse. Il punto è che a loro non interessa migliorare la situazione di Mostar, così come non interessa loro il bene del paese”.
Verso la divisione
I prossimi mesi potrebbero comunque rivelarsi decisivi. Se, come sembra molto probabile, il nuovo esecutivo sarà formato da una coalizione tra HDZBiH e SDA, la questione di Mostar diventerà sicuramente parte degli argomenti all'ordine del giorno nelle trattative tra i due partiti.
Non è detto, però, che questo aiuterà la normalizzazione nella città. Al contrario, la soluzione potrebbe rivelarsi quella più sbrigativa, ovvero dividere Mostar in due municipalità, ritornando così alla situazione preesistente al 2004, quando l’Alto rappresentante Paddy Ashdown impose il nuovo statuto alla città, riunificando la parte croata e quella bosgnacca. Nel corso delle trattative, le voci che riguardavano la nuova spartizione del comune in due municipalità divise dall’antica linea di fuoco del bulevar si sono susseguite costantemente, ma ora sembrerebbero avere un nuovo fondamento.
Quello che rispetto al passato potrebbe fare la differenza, ora, è il disimpegno da parte della comunità internazionale. Fin dall’inizio dell’impasse, infatti, UE e OHR hanno ribadito che la riforma dello statuto di Mostar avrebbe dovuto avvenire nel quadro complessivo della questione Sejdić-Finci e del cambiamento della costituzione.
Nel periodo intercorso tra le proteste di febbraio e le elezioni, tuttavia, abbiamo assistito al progressivo disimpegnarsi dell’UE su questo fronte. Anche gli uffici di Valentin Inzko, che finora hanno ufficialmente condotto i negoziati su Mostar, non si sono più espressi sull’argomento da quando è stato chiaro (in luglio) che l’approvazione di un nuovo statuto sarebbe stata impossibile nei tempi necessari a far coincidere le elezioni amministrative, mai svolte nel 2012, con quelle generali.
Un vicolo cieco
L’impressione è che la Comunità Internazionale, dopo aver realizzato di essersi infilata in un vicolo cieco nel tentativo di risolvere la spinosa questione, e vista l’impossibilità attuale di superare i limiti costituzionali di Dayton, sia ben lieta di disinteressarsene, preferendo concentrarsi su temi quali sviluppo economico e occupazione. All’OHR negano l’ipotesi che sia in corso una ritirata su questo fronte e continuano a definire “l’implementazione della sentenza della corte costituzionale sul caso di Mostar un obbligo”, come confermato a Osservatorio da Mario Brkić, portavoce di Valentin Inzko. Al tempo stesso, però, Brkić ci tiene a precisare che “la responsabilità di trovare un compromesso è esclusivamente dei partiti politici, soprattutto SDA e HDZBiH. Sono loro a dover trovare un modo affinché i diritti politici dei cittadini vengano rispettati”.
Brkić, ad ogni modo, preferisce glissare su due questioni fondamentali: se l’OHR si atterrà al proprio piano presentato durante i negoziati (Mostar come una municipalità unica con tre distretti elettorali misti) e, soprattutto, se (e quando) riprenderanno i colloqui tra i due partiti al governo in città. Anche Maja Maričić, portavoce dell’OSCE, invoca “flessibilità da parte dei leader politici di Mostar”, affinché “le elezioni municipali vengano svolte non più tardi del 2016”. Ma è evidente che, in questo preciso momento, non esiste alcuna road map. E che, molto probabilmente, occorrerà ripartire da zero. “Da parte nostra, siamo pronti a ricominciare il dialogo in qualsiasi momento”, assicura a Osservatorio il presidente del gruppo bosgnacco al consiglio municipale di Mostar, Salem Marić (SDA), “il fatto è che in questo momento sia il nostro partito che l’HDZBiH sono impegnati da faccende più importanti”. E assicura: “Non c’è alcuna base per la divisione di Mostar, la città resterà una municipalità unica, con un solo sindaco”.
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