La storia di un immigrato, operaio della Fiat, che nel 1992 parte da Torino per andare a combattere con i Musulmani bosniaci. Prima tappa di un percorso di approfondimento che Osservatorio propone ai suoi lettori sulla questione dell'Islam bosniaco.
L'Islam bosniaco si è caratterizzato all'interno della tradizione europea per il suo orientamento dialogante e aperto al confronto con le altre religioni. Oggi, a seguito della guerra 1992-95, e del processo di avvitamento identitario che ha attraversato tutte le principali comunità nazionali e religiose della regione, quali sono le sue caratteristiche? Quale è stato - se c'è stato - l'effetto di lungo termine dell'arrivo nel Paese di mujaheddini stranieri negli anni del conflitto?
Dopo l'11 settembre, la rappresentazione mediatica tende a semplificare la vicenda dell'Islam dei Balcani, mortificando sul nascere un dialogo che presenta caratteristiche estremamente importanti alla luce dell'attuale processo di costituzione europeo e di integrazione della regione.
Questo articolo è il primo di una serie di tre sull'argomento. Con questo articolo, inizia la collaborazione con Osservatorio sui Balcani il giornalista Esad Hećimović, del settimanale sarajevese Dani, cui la redazione di Osservatorio dà il più caloroso benvenuto!
Da Zenica, scrive Esad Hećimović
Karray Kamel bin Alì, noto come Abu Hamza, sta scontando una condanna a sette anni di carcere nel penitenziario di Zenica per l'omicidio di una persona di nazionalità araba non identificata con certezza, ma conosciuta come Abu Velid. L'Italia ha chiesto la sua estradizione nel 2002 per «associazione sovversiva con la finalità di terrorismo», ma il governo bosniaco ha respinto la richiesta.
L'Italia aveva richiesto, precedentemente a questo caso, la estradizione di almeno 15 persone di nazionalità araba e bosniaca, per la stessa imputazione - associazione in organizzazione criminale - a Bologna. I tribunali cantonali di Travnik e Sarajevo hanno respinto nel 1999 la richiesta di estradizione per Salih N. Nidal e Khalil Jarray, in base alla motivazione che non era possibile estradare un cittadino bosniaco.
Karray, Jarray e Nidal sono tra le centinaia di Arabi giunti in Bosnia durante la guerra tra il 1992 e il 1995, per aiutare i Musulmani bosniaci a difendersi dal genocidio. Nel 1992 Karray lavorava a Torino, alla Fiat, in attesa di un permesso di soggiorno permanente. «Un giorno, mentre facevamo le preghiere del mezzogiorno, l'Imam ha chiesto di tornare nel pomeriggio, per la preghiera pomeridiana, per ascoltare, se lo volevamo, la conferenza di uno sceicco che ritornava dalla Bosnia. Un uomo anziano ci ha raccontato quello che stava accadendo ai Musulmani in Bosnia, e piangeva. Io ho cominciato a piangere con lui. Non ho mai sofferto tanto nella mia vita come quel giorno. Abbiamo guardato una video cassetta in cui si vedevano ragazze violentate, vecchi assassinati, moschee e case date alle fiamme in Bosnia... Non sono potuto stare fermo. Già tre giorni dopo ero a Spalato, diretto a Travnik. Lì mi hanno messo con alcuni Arabi nel villaggio di Mehurići. Dopo due, tre settimane di addestramento, sono stato inviato sul campo di battaglia. Sono stato ferito tre volte in combattimenti contro i Serbi e i Croati - racconta Abu Hamza."
Nel gennaio del 1997, di fronte al centro islamico "Balkan", a Zenica, fondato da tre Arabi provenienti da Milano, Abu Hamza ha assassinato un altro Arabo, soprannominato Abu Velid. Sfuggito alla polizia, avrebbe presumibilmente soggiornato in Italia e Germania, da dove è stato infine estradato in Bosnia Erzegovina nel settembre del 2000. In questo periodo, Abu Hamza è stato interrogato in carcere dalla polizia bosniaca e tedesca. Afferma che tutte le accusa contro di lui sono false e inventate, e che a Zenica lui ha ucciso solo per legittima difesa.
Come Abu Hamza, nella Bosnia centrale sono giunti numerosi volontari islamici stranieri dalle città dell'Europa occidentale e del nord America, così come dall'Arabia Saudita e da altri Paesi del Golfo Persico, dal Pakistan, dall'Afghanistan. All'inizio combattevano in gruppi più piccoli, nei pressi di città come Bugojno, Travnik, Zenica, Tešanj e Zavidovići. Nel luglio del 1993, poi, un decreto dello Stato Maggiore dell'Armija BiH (l'esercito bosniaco musulmano, ndr) ordinò la costituzione del reparto "El Mudžahedin", all'interno del quale questi gruppi furono riuniti sotto uno stesso comando. Questa unità dell'esercito contava all'incirca 1.800 volontari, tra Bosniaci e stranieri. Le battaglie più importanti condotte da questo reparto sono state nei territori di Zavidovići e Maglaj, nel maggio e nel settembre del 1995. Il giorno della firma degli accordi di Dayton, il 14 dicembre del 1995, in un incidente sulla strada tra Zenica e Maglaj, vicino a Žepče, reparti speciali croati hanno ucciso 5 comandanti del reparto "El Mudžahedin". La persona più conosciuta tra i cinque era l'egiziano Anwar Shaban, già direttore del centro culturale islamico di Milano. Lo sceicco Shaban era la personalità principale, dal punto di vista religioso, all'interno di questa unità. I servizi di sicurezza egiziani, americani e italiani erano sulle sue tracce, mentre il governo bosniaco riteneva che lui non fosse nel Paese.
Alla fine della guerra, i gruppi di volontari locali e stranieri si sono stabiliti con le loro famiglie in case di profughi serbi nel villaggio di Donje Bočinje, sulla strada regionale tra Maglaj e Zavidovići. Nel villaggio vivevano circa 160 famiglie. L'ambasciata americana a Sarajevo ha avvisato per la prima volta nel settembre 1996 i cittadini americani rispetto a minacce per la loro sicurezza in quella zona. Nel novembre del 1995, la polizia bosniaca ha aperto nel villaggio una propria stazione. Il territorio era tenuto sotto controllo sia dalla brigata Polo Nord dell'esercito Sfor (la forza presente in Bosnia sotto egida Nato, ndr), sia dalla polizia internazionale dell'Iptf, che faceva base a Zavidovići. Sono stati sollevati molti sospetti sul fatto che in quel villaggio esistesse un campo di addestramento terroristico, ma questi dubbi non hanno mai trovato un riscontro. Tra la fine del 1999 e l'inizio del 2000 si sono registrati una serie di incidenti tra Sfor e mujaheddini nel villaggio di Bočinje presso Maglaj. Nel corso di una ispezione nel villaggio, il 26 dicembre del 1999, un generale norvegese è stato aggredito, per aver condannato un Sudanese. Nell'agosto del 2000, il comune di Maglaj ha cominciato a sgomberare gli occupanti abusivi, per permettere il ritorno dei profughi serbi. Nel corso del 2001, 131 famiglie sono state sloggiate. Nel frattempo, 7 proprietari hanno venduto le loro case a Bosniaco Musulmani. "Nel villaggio oggi vivono 15 famiglie di Bosniaco Musulmani e 70 di Serbi - ci dice Semin Rizvić, che ha sostituito alla guida di questa comunità locale Abu Hamza, un Palestinese che era arrivato nella ex Jugoslavia prima della guerra come studente. Tutte le case del paese, serbe e bosgnacche, sono state perquisite alcuni giorni fa, il 16 febbraio, dai soldati turchi in forza alla Sfor.
Nel novembre del '97, nella zona del monte Ozren presso Vozuća, è stata scoperta una fossa comune con 17 cadaveri, la maggior parte dei quali in uniforme militare e con la testa mozzata. I morti sono stati identificati come soldati serbi che erano stati fatti prigionieri. Ad oggi, nessuno è stato accusato per questo crimine. Per la responsabilità di comando in altri e simili delitti commessi contro civili nella Bosnia centrale, è stato incriminato dal Tribunale dell'Aja il generale Enver Hadžihasanović, ex comandante del terzo corpo d'armata dell'Armija BiH a Zenica. I crimini avvenuti nell'area di Zavidovići e Maglaj nel corso del 1995 devono ancora essere indagati.
I volontari e i missionari islamici stranieri hanno avuto numerosi scontri con la popolazione locale e con le locali comunità islamiche. Già nel 1993, l'egiziano Imad Al Misry ha pubblicato un libretto programmatico, "Le opinioni che dobbiamo correggere", nel quale si citano i presunti "errori" dell'Islam bosniaco. Tra questi errori ci sono, ad esempio, l'accettazione del nazionalismo e della democrazia. Questi tentativi di revisione dell'Islam bosniaco, tuttavia, non hanno avuto successo. Ciò nonostante, nel corso dell'addestramento militare durante la guerra e della educazione islamica dopo la guerra, più di un migliaio di giovani bosniaci, ragazzi e ragazze, sono passati all'insegnamento religioso condotto o ideato da questo Egiziano. Imad Al Misry era subentrato nel ruolo che già era dello sceicco Shaban, come principale leader religioso del movimento. E' stato tuttavia arrestato e deportato in Egitto nell'ottobre del 2001, dove doveva scontare una pena che gli era stata inflitta in quel Paese prima del suo arrivo in Bosnia.
Le forze della Nato presenti in Bosnia Erzegovina hanno condotto nel corso degli anni una serie di operazioni preventive di antiterrorismo, il cui obiettivo era quello di impedire la possibilità di attacchi terroristici. Lo scioglimento del reparto militare dei mujaheddini rappresentava una delle condizioni per l'aiuto economico e militare americano. Già negli accordi di Dayton era stabilito l'obbligo di ritiro dal territorio bosniaco entro un termine di 30 giorni di tutte le forze straniere, e in particolar modo dei consiglieri, volontari e addestratori. Gli aiuti non sono stati approvati fino a quando il presidente americano Clinton non ha confermato, con una propria lettera al Congresso del 26 giugno 1996, che tutte le forze straniere avevano lasciato la Bosnia Erzegovina e che la collaborazione a livello militare e di scambio di informazioni con l'Iran era stata interrotta. "Malgrado alcuni individui si siano integrati nella società bosniaca e abbiano assunto abiti civili, non ci sono prove che sia rimasta una qualsivoglia unità organizzata di mujaheddini", scriveva allora Clinton. Dopo la guerra, in Bosnia Erzegovina, sono state condotte numerose indagini antiterroristiche a livello nazionale e internazionale, ma questo giudizio di Clinton non è stato messo in discussione. (1-continua)
Vedi anche:
- Izetbegovic, il 'nemico essenziale'
- Islam e Balcani: al di là dei luoghi comuni
Vai agli articoli sul caso Ballarò:
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