Un viaggio in bici da Trieste a Sarajevo, guardando al Centenario dell'inizio della Prima guerra mondiale. La prima delle numerose tappe, in vista di un nuovo viaggio che porterà un gruppo di cicloturisti da Dubrovnik a Sarajevo il prossimo giugno
C'era una volta un viaggio. Anzi, più d'uno.
C'era un viaggio l'estate scorsa: due ragazzi in bicicletta che si incontrano a Trieste, dopo che non si vedono da anni. E piano piano piano (in salita veramente pianissimo) arrivano a Sarajevo.
E ci sarà un viaggio l'estate prossima, cioè questa che arriva, proprio all'inizio inizio dell'estate, il solstizio. Il 21 giugno insomma. Anche qui si arriva a Sarajevo e si pedala, ma non si sa ancora chi ci sarà.
Si comincia da una città bianca, con le mura di pietra, le strade lastricate e il profumo di lavanda. Ragusa, cioè Dubrovnik. Ci saranno anche delle bancarelle quel giorno, forse qualcosa di più delle bancarelle. Ci sarà Terra Madre: un evento di Slow Food con i produttori delle cose più buone e rare, come il formaggio nel sacco degli altipiani dell'Erzegovina e dei fagioli speciali che si chiamano poljak. Ci sarà lo slatko di prugne, che quello più buono lo fa a Gorazde una signora meravigliosa coi capelli neri, la casa circondata da frutteti e un bel po' di spirito imprenditoriale. Se fosse inverno, ci sarebbero anche i cavoli rastika, così speciali che – dicono - i contadini di Trebinje si rifiutarono di venderli a Madonna. Non quella di Medjugorie, la cantante: venuta a esibirsi in Montenegro, voleva farne incetta e portarseli in America in aereo. E dopo noi cosa mangiamo quest'inverno, le hanno risposto sdegnati.
Insomma, sarà estate, e ci saranno dei ciclisti in Bosnia, il 21 giugno. Turisti, o magari viaggiatori. E cominceranno, piano piano ma non così piano - perché ci sarà un furgone a portare i bagagli, e senza bagagli si va più forte - a pedalare verso est. Destinazione Sarajevo.
Ci vorranno sei giorni, e certamente un po' di sudore. E occhi buoni, per salutare il Mediterraneo e tuffarsi tra pietre e vigneti dell'Erzegovina. E fantasia, per immaginare il poeta Mak Dizdar che passeggia tra gli stecci, le pietre bianche coi bassorilievi agresti della necropoli bogumila di Stolac.
E memoria, per ricordare che ne era stato vent'anni fa del ponte di Mostar, da cui oggi di nuovo si tuffano i ragazzini, quando raccolgono abbastanza collette dai turisti. E tenacia, per quando si uscirà da Mostar e una decina di chilometri di tornanti si attorciglieranno uno dopo l'altro fino al passo Porim. E stupore, per le acque verdi della Neretva e i boschi attorno al Boracko Jezero. E desiderio, per scivolare ancora più veloci, in discesa, fino alle porte della carsija di Sarajevo.
Intanto, per preparare questi viaggi futuri (ci sarà anche chi, a Sarajevo il 27 giugno, ci arriverà a piedi e in pullman) c'è stato un viaggio passato. Da Trieste a Sarajevo.
Interregionale
La bicicletta è appoggiata alla parete del vagone. Sarebbe un posto riservato agli handicappati. “Poi se arriva una carrozzina la deve spostare”, chiarisce il controllore. Ha fatto bene a dirmelo, io invec ero intenzionata a litigare con il primo viaggiatore disabile cantando “Calpesta il paralitico” degli Skiantos. Alla richiesta di aiuto per appenderla negli appositi ganci (non semplicissimi da agganciare) “Io non aiuto nessuno”, abbaia, “Perché se le cose si rompono ci vado di mezzo io”.
Marina ha sete. Vorrebbe scendere alla stazione di Ferrara per prendere una bottiglietta, ma non ha i soldi. Così chiede 50 centesimi, offrendo in cambio una penna o un pacchetto di fazzoletti. Le do i centesimi. In regalo. Poi le viene paura che il treno riparta e lei resti giù. Allora le do acqua in tazza di metallo, dalla mia borraccia, sulla bicicletta. Chiacchieriamo di estate e di viaggi, ha diciotto anni e vuole andare a Santiago di Compostela, dopo la maturità. Magari prima si allena un pochettino.
I bagagli sulla bici sono al minimo, eppure pesano tanto. Gavrilo Princip è nato a Obljaj, frazione di Bosasko Grahovo, proprio dove dovremmo passare noi e tutti ci stanno sconsigliando, perché “dopo la guerra non ci abita più nessuno, da quelle parti”. Ma figurati se no si trova un alberghetto, penso. Incauta, ma ancora non lo so.
Intanto sta viaggiando anche Paolo Rumiz, sui luoghi della Grande Guerra. Scopro dal suo pezzo su Repubblica che piazza Unità, a Trieste, prima si chiamava piazza Grande. Proprio come la nostra piazza, la mia, quella con la Ghirlandina e di fianco il Duomo di Modena, il più bel romanico del mondo, ci dicevano a scuola.
Il vagone in testa treno è quello dei ciclisti. Una coppia che va al mare in Croazia, due americani silenziosi con i pantaloncini fighi, della marca con lo scorpione. Ma i più bellicosi sono Radan da Brescia e Lorenzo da Rimini. Sono diretti a Nis, Serbia, dove staranno dalla famiglia di Radan. Le bici cariche all'inverosimile, non c'è sport che non abbiano fatto, Radan e Lorenzo. Progettano di alzarsi alle 5.40 ogni mattina, smontare il campo nei boschi, dove dormiranno, e pedalare con il fresco. Il bagaglio comprende fornelletti, due tende, un'amaca, svariate confezioni di aminoacidi, una cartina 1:800mila (“faremo le strade principali, terza corona e macinare chilometri”) e un paio di metri di corda doppia. Dalla borsetta da manubrio uno dei due estrae, subito dopo il moleskine, una confezione di petardi “per scacciare gli orsi”.
In stazione mi accoglie Fede, amico e poeta. Finiamo in un bar al ghetto, a parlare di scuola, viaggi, famiglie e Palestina, per poi ascendere verso casa di Sara, grondanti di sudore, alle tre del pomeriggio di una domenica d'agosto sulla salita del Mulino a Vento. Il resto della giornata è spettacolare accoglienza triestina. Anzi, friulana, precisa quasi in coro tutta la cumpa: “A Trieste ci siam venuti per l'università”.
Limonata fresca, poi il mare a Grignano, dove fai due bracciate e ti trovi davanti il castello di Miramare. E poi l'aperitivo in pineta alla Barcola, sedici euro per quattro birre e una stuoia per sedersi vista mare. Tranne me, hanno tutti gli occhi azzurri. Ultimo bagno al tramonto e cena all'usmizza, saporito retaggio austriaco, che sembra che qualcuno ti abbia invitato a cena da sua nonna. Si parla di browser, di privacy in rete, di viaggi a Budapest tra rock e wellness. E di quanto è bello andare in giro sui pedali: chi lo ha già fatto racconta le sue imprese, gli altri promettono di allenarsi, per il prossimo anno.
(continua)
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