Non ancora a pedalare, ma quasi. La seconda puntata di un viaggio in bici da Trieste a Sarajevo, in vista del Centenario dell'inizio della Prima guerra mondiale
Sbaglio strada mentre sto andando a farmi spiegare la strada. Colpa dei tunnel. Mauro è gentile e paziente, occhi azzurri pure lui, fisico snello e asciutto da scalatore. Ama i Balcani, e mentre osserva la carta gli torna in mente tutto, ogni posto, impianti industriali e chiese, luoghi delle imprese dannunziane come la baia di Bekar e capretti allo spiedo sulla Neretva, dopo Jablanica. C'è stato nel 2006, anche lui con un gruppo di Viaggiare i Balcani, guidato da Alba, gentile veterinaria trentina. Da Trieste a Sarajevo in 12 tappe.
Domani lo faremo anche noi, Andrea e io. Col caschetto in testa, e attenti alla mappa per non sbagliare. Ma intanto, oggi, è ozio e vagabondaggio senza meta. Aspetto un po' all'ombra in piazza Unità, vago a casaccio fino al viale alberato del bar cinese, dove Mustafa vende accendini e non accetta il mio caffè perché c'è il Ramadan. Riparto sempre a caso, tanto qui parlo la lingua e mal che vada c'è google maps. La strada sale costante fino a un bosco con il cartello blu “Slovenia”. Un altro cartello segna la fine della città di Trieste, e dal balcone di un condominio sventola la bandiera sarda con i 4 mori.
Abbandono il bosco e scendo per i moli vecchi fino a Barcola, pineta democratica, odore di marijuana e di fianco le nonne con il ricamo, minuscoli accappatoi per i nipotini, interminabili partite a carte e rebus della Settimana Enigmistica.
Chiedo la strada per la Risiera di San Sabba, poi cambio idea e resto sul materassino accanto alle nonne. Alla Risiera ci andrò pochi mesi dopo. E alla stazione dei treni l'impiegato della biglietteria mi dirà: “Lei signora è stata in Serbia in bicicletta, in agosto? Sa, sono molto fisionomista”. “In Bosnia”, preciserò sorpresa.
Oggi invece è un torrido agosto, e dopo il bagno nel golfo mi arrampico ancora, col rapporto piccolo, dalla statua di Svevo a passeggio in largo Hortis fino a via Gramsci, da cui si partirà domani. Ripenso alle chiacchiere con gli amici friulani. Chi una mattina al mare ha visto Magris in costume, chi una volta ha parlato con l'oste che serviva Joyce, solo vino rosso e pasticcio di patate col lardo. E alberi di gelso, volpi nel pollaio, santole e santuari. Il bagaglio si arricchisce di un'icona bizantina del monastero di Humor, un miele Ambrosoli in busta regalato da Sara e 17 kune croate, scambiate da Paola al tavolo della pizzeria.
Andrea arriverà domattina alle 7, da Treviso. Ci siamo finiti per caso, a fare questo viaggio insieme. Ha letto il post su Facebook in cui cercavo in prestito “Dalmazia Dalmazia” di Emilio Rigatti. Alla Feltrinelli di Modena non l'avevano, il commesso gentile della sezione viaggi e tempo libero credeva cercassi “I migliori gatti”, fantomatico titolo sui felini croati, ma i dalmati non erano cani? In effetti a volte mi mangio un po' le parole.
Andrea aveva letto il post su Facebook, e mi aveva scritto. “Andate nei Balcani? Che bello! Posso venire? Quanti siete?”. “Se vieni – gli avevo risposto – siamo io e te”.
Andrea lo conobbi a Pamplona con Melissa, pedalavamo per Santiago con due bici scarlancate ma amatissime, la sua mountain bike Ghiaroni verde fluo e la mia rossa, da corsa, prestata per il viaggio dall'ex zio Mauri e rinforzata con i copertoncini più spessi. Alla domanda “Voi che rapporti avete?” gli avevo risposto: “Siamo amiche”.
(continua)
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