Banja Luka, durante una delle manifestazioni di Pravda za Davida (foto A.Sasso)

Banja Luka, durante una delle manifestazioni di Pravda za Davida (foto A.Sasso)

Il governo di Banja Luka si scaglia contro i manifestanti del movimento Pravda za Davida, con arresti e accuse. L'entità della Bosnia Erzegovina sembra ormai essere preda di un regime autocratico

08/01/2019 -  Ahmed Burić Sarajevo

Quando, due giorni prima di Capodanno, il sindaco di Banja Luka Igor Radojičić ha reso noto che il concerto e la festa previsti per la notte di Capodanno erano stati cancellati, è stato chiaro che nella capitale della Republika Srpska stava accadendo qualcosa di serio. Le autorità hanno infatti ritenuto che le alcune migliaia di partecipanti alla mobilitazione di protesta Pravda za Davida [Giustizia per David] rappresentassero una seria minaccia per la sicurezza e la polizia ha arrestato una ventina di manifestanti con diverse accuse.

Ma piuttosto che una minaccia per la sicurezza pubblica, Pravda za Davida è la minaccia più seria degli ultimi 15 anni per il governo criminale e autocratico della Republika Srpska. La rivista statunitense The Atlantic ha recentemente definito Milorad Dodik “il presidente che vuole spaccare il suo paese”, citando, non senza ironia, una vecchia affermazione di Madeleine Albright, che all’inizio degli anni 2000 aveva definito Dodik “una boccata d’aria fresca”. A differenza di allora oggi Dodik è effettivamente il principale sostenitore della dissoluzione della Bosnia Erzegovina.

Nemmeno dopo essere stato eletto alla Presidenza tripartita del paese, nell’ottobre 2018, ha cambiato la sua linea politica: il suo obiettivo principale resta la secessione della Republika Srpska dalla Bosnia Erzegovina, l'unico scenario del resto che gli permetterebbe di rimanere al potere. In questo momento nessuno può prevedere con certezza come evolverà la situazione politica in Republika Srpska, ma una cosa è certa: lo spazio per le manovre politiche dell'élite al potere si sta restringendo e Dodik vede l’unica via d’uscita in una dittatura assoluta.

Dietro alle proteste di Banja Luka – nelle quali i genitori di David Dragičević chiedono giustizia per il loro figlio, accusando, a quanto pare fondatamente, la polizia della Republika Srpska di aver partecipato all’insabbiamento e forse anche al compimento dell’omicidio del ragazzo, avvenuto nel marzo 2018 – i media vicini a Dodik indicano Sarajevo. Con il massimo del cinismo.

Invece di cercare di scoprire i responsabili di questa orrenda vicenda in cui ha perso la vita un ragazzo di 21 anni, le autorità e la polizia della Republika Srpska hanno arrestato gli organizzatori della protesta con l’accusa di voler attuare un colpo di stato.

Inoltre, servendosi dei media sotto il suo controllo, Dodik accusa con insistenza le ambasciate di Stati Uniti e Gran Bretagna a Sarajevo di volerlo rimuovere dalla scena politica. La verità è che attualmente gli unici a opporsi al potere del dittatore della Republika Srpska (che la rivista The Atlantic paragona a Trump per via della sua retorica e arroganza) sono i cittadini di Banja Luka, dove alle ultime elezioni politiche il partito di Dodik, l’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), ha ottenuto solo il 5% dei voti in più rispetto all’opposizione. Quest’ultima non ha avuto un ruolo importante nelle proteste, perché è spaccata e disunita, e non ha né la capacità né il coraggio di opporsi alle minacce di Dodik, che avranno un peso politico finché Putin continuerà a sostenere i dittatori dell’Europa dell’Est, con la tacita approvazione dell’Occidente.

Per quanto complicata possa sembrare la storia della Bosnia Erzegovina postbellica, la verità sulla Republika Srpska è semplice: fondata sul più grande crimine compiuto sul suolo europeo dopo la Seconda guerra mondiale, la Republika Srpska sarà ricordata per il fatto che praticamente tutti i suoi ideatori e fondatori sono stati condannati a lunghe pene detentive per crimini di guerra e contro l’umanità. Forse un tempo – anche se risulta difficile crederci – c’era la possibilità che la Republika Srpska venisse democratizzata, ma dopo i recenti eventi è diventato chiaro che somiglia sempre di più a una dittatura che può sopravvivere solo generando caos, ovvero facendo ostruzionismo; “uno stato in attesa” dove Dodik esercita un potere indiscusso.

A prescindere da quale sarà il futuro dei Balcani e da come evolverà il processo di integrazione europea, la Republika Srpska, così com’è oggi, non potrà essere inquadrata in nessuno scenario futuro. Al momento della stesura di questo articolo non si sa dove sia il leader del movimento Pravda za Davida Davor Dragičević, padre del ragazzo ucciso. Contro la madre della vittima, Suzana Radanović, è stata sporta denuncia per presunta intercettazione illegittima, e le autorità e la polizia continuano a fare pressione sui manifestanti, accusandoli di preparare un colpo di stato. L’intera operazione è coordinata da Milorad Dodik, presidente della Presidenza tripartita del paese, il cui nome figura sulla lista nera degli Stati Uniti e che sfrutta ogni occasione per umiliare le istituzioni internazionali, mentre dichiaratamente sostiene l’adesione della Bosnia Erzegovina all’Unione europea.

La Republika Srpska può sopravvivere solo come dittatura, e negli ultimi giorni questo è emerso chiaramente. Una dittatura che continuerà a fare ostruzionismo e che finora ha quasi sempre goduto del sostegno dei leader nazionalisti dell’altra entità del paese, la Federazione BiH.

Ma forse è finalmente giunto il momento di un cambiamento. Il successo del movimento Pravda za Davida potrebbe essere un punto di partenza per una ridefinizione delle relazioni tra Banja Luka e Sarajevo, ma anche tra i paesi della regione. L’attuale clima politico a Banja Luka è direttamente collegato a quanto sta accadendo a Belgrado. Anche lì sono in corso manifestazioni di protesta contro un regime demagogico e repressivo che mostra i sintomi della dittatura. Dall’esito di queste mobilitazioni potrebbe dipendere il futuro della regione.


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