Si inaugura in questi giorni, a Treviso, una mostra dedicata a Safet Zec, una delle più significative personalità artistiche del nostro tempo. La presentazione del curatore della mostra
(Articolo originariamente pubblicato sul portale della Fondazione Benetton Studi e Ricerche)
Safet Zec (Rogatica, Bosnia-Erzegovina, 1943) è una delle più significative personalità artistiche del nostro tempo. Il suo lavoro, continuo nel corso di oltre mezzo secolo a partire dalle prime opere a Sarajevo alla fine degli anni ’50, coinvolge tutti i soggetti, i modi, i supporti e gli strumenti della pittura, dell’incisione e del disegno.
È un lavoro confrontabile con quello del minatore. Scende negli strati profondi per cavare la materia dalla quale trae origine la vita delle forme. Torna su, la porta con sé, la fa arrivare in superficie e la mette in luce. Ci aiuta così a domandarci di che cosa sono fatti i pezzi del mondo che sta intorno a noi; e di che cosa siamo fatti noi stessi. La sua vita, segnata dai contesti geografici, dagli scarti storici, dalle radicali modificazioni culturali e artistiche del secondo Novecento, ha trovato nel lavoro artistico il suo mestiere di vivere e nella sua solitudine operosa la treccia continua che rende indistinguibili, avvolte nella stessa vicenda dolente e riservata, ricerca artistica e tensione civile.
Le ragioni di un’esposizione che contribuisca a far conoscere più largamente e più a fondo la figura e l’esperienza artistica di Safet Zec sono collocate esattamente all’incrocio dei compiti peculiari di un centro studi, tra circolazione delle idee e approfondimento della ricerca. Sul terreno culturale, pur non dimenticando le prime mostre italiane (Udine 1993, Conegliano 1994), questa iniziativa trevigiana appare perfino “necessaria”. Sul terreno della ricerca è una prestigiosa occasione per cercare di capire quale contributo possa venire, in particolare dai mezzi propri della pittura, allo studio dei luoghi, di tutti i luoghi, dei loro tratti fisiognomici e dei loro caratteri individuali.
L’opera di Safet Zec si è sviluppata intorno ad alcuni temi che nella sequenza degli spazi disponibili in palazzo Bomben sono ordinati in quattro aree riconoscibili.
Cose. Le cose che stanno ogni giorno intorno a noi, nel tempo e nello spazio ordinario, ci riappaiono in una luce indaginosa e sorprendente che ci fa ripensare il loro senso e il loro valore.
Persone. Le infinite posture, espressioni, misure del corpo umano, in particolare mani, arti, visi, e i dettagli più diversi, unghie o lacrime che siano, trovano inedite composizioni e significati.
Alberi. La scurità e le trasparenze del colore, del disegno, e ancor più del segno inciso, trovano nel mondo vegetale, in particolare nelle chiome dei grandi alberi, una miniera senza fondo.
Luoghi. La conclusione dell’itinerario espositivo è affidata alle opere che si misurano con la forma-vita di alcuni paesi e villaggi, borghi e microcosmi, in particolare Bentbaša, sorpresi nelle “tonalità spirituali” delle diverse stagioni e delle diverse ore e luci del giorno; conclusione esplicitamente rivolta a Osmače e Brežani, luoghi del ritorno alla terra, villaggi bosniaci dell’altopiano sopra Srebrenica, dove ci ha portato quest’anno il XXV Premio Internazionale Carlo Scarpa per il Giardino.
Sono da sempre temi cruciali della pittura, quelli di Michelangelo, Vermeer, Velázquez, Goya, Francis Bacon e Lucian Freud, e altri ancora, in cima a tutti Rembrandt, insomma i giganti ai quali Safet Zec si rivolge con un’ammirazione così profonda da contenere, insieme al pathos della conoscenza, il furto con l’occhio dell’apprendista, e perfino il gusto della sfida.
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