Razionamenti, crisi idrica, privatizzazione dell'acqua e cattiva amministrazione. Sono questi i gravi disagi di cui soffre la popolazione di Sarajevo
“Nel nostro paese / i razionamenti d’acqua sono l’unica cosa certa / se tutto fosse puntuale / come il razionamento delle 23 / non avremmo limiti / prova a pensarci!”, canta il rapper sarajevese Emerald in questo video che mostra cinicamente come le riduzioni dell’acqua potabile hanno scandito a lungo la quotidianità della capitale bosniaca. Se già negli scorsi anni avvenivano periodicamente razionamenti nelle ore notturne in alcuni quartieri della città, è nell’ultimo anno (e in particolare dall’inizio dell’estate alla fine di ottobre, quando la siccità ha ulteriormente aggravato la situazione) che i disagi si sono estesi quasi all’intera città e alle ore diurne, talvolta senza alcun preavviso da parte di Vodovod i Kanalizacija (ViK), l’azienda idrica pubblica, di proprietà del cantone di Sarajevo. Inoltre i razionamenti hanno peggiorato significativamente la qualità dell’acqua, di fatto non più potabile in alcune zone della città, poiché la minore pressione comporta il deposito di residui di terra, metalli e scarichi fognari nelle condutture. Solo le piogge di inizio novembre hanno riportato un po’ di sollievo, attenuando i disservizi e le conseguenti proteste che stavano prendendo piede. Ma è un sollievo probabilmente temporaneo, vista la profondità delle cause strutturali della crisi idrica.
Danni infrastrutturali e incompetenza politica
Le cause strutturali, concordano gli analisti, investono sia l’infrastruttura idrica di per sé, sia la politica che la gestisce. I danni alla rete di approvvigionamento idrico si sono accumulati sin dagli anni Settanta, poi aggravati dalla guerra degli anni Novanta e mai efficacemente risolti. Una ristrutturazione completa dovrebbe coinvolgere buona parte dei circa 1.100 chilometri di rete, nella quale si segnalano ogni giorno 25 nuovi guasti e quasi 1.000 risultano ancora irrisolti. Secondo il rapporto ufficiale pubblicato dal governo del cantone di Sarajevo, dei 100 milioni di metri cubi estratti ogni anno, 75 vengono persi nel ciclo di distribuzione (dunque la dispersione è del 75%, mentre nel 2000 era del 56%). Sempre secondo i dati ufficiali del cantone, circa 20.000 delle 173.000 connessioni alla rete sarebbero abusive o comunque non segnalate all’azienda. Tra questi vi sarebbero gli edifici abitativi costruiti al di fuori del piano regolatore dopo la guerra del 1992-95 e le attività economiche con allacci abusivi, manipolati o con insolvenze accumulate, in particolare alberghi, autolavaggi e centri commerciali.
Sulle cause politiche, è ampiamente riconosciuto che l’azienda idrica pubblica ViK proviene da un lungo periodo di cattiva amministrazione e inadempienze, con carenze croniche nel monitoraggio e nella pianificazione dei lavori, nella gestione degli appalti e dei fondi (statali e internazionali) a disposizione. Il governo del cantone di Sarajevo, proprietario di ViK, è da vent’anni di fatto dominato da un solo partito, SDA (nazionalista bosgnacco), dal 1996 sempre presente nei posti chiave dell’esecutivo cantonale, e che dal 2011 conserva la poltrona di premier. Già prima che la crisi idrica si aggravasse, ViK aveva una reputazione generalmente negativa così come altre compagnie pubbliche locali, che popolarmente sono ritenute ostaggio di quadri incompetenti e clientelisti, nominati secondo gli interessi dell’SDA e degli alleati minori.
Il cantone contro tutti
Pressato dai disagi e dal malcontento, a fine settembre il premier cantonale Elmedin Konaković, dell’SDA, ha annunciato un brusco cambio di passo nella politica locale. Ha azzerato i vertici della ViK che il suo stesso partito aveva nominato in passato, rivolgendo loro accuse pesanti di malversazione e li ha sostituiti con dirigenti presentati come “tecnici” competenti, di provato impegno anti-corruzione ed estranei alla politica (anche se la stampa bosniaca ha prontamente scoperto che la nuova direttrice è iscritta all’SDA di cui è ex-dirigente locale).
Konaković ha poi presentato nuove misure contro la crisi idrica, tra cui maggiori controlli contro gli allacci abusivi e gli insolventi, un nuovo aumento di budget e l’apertura di nuovi cantieri. La sua presa di posizione ha persino aperto un conflitto interno all’SDA sarajevese. La sezione di Novi Grad (una delle quattro municipalità di Sarajevo) ha chiesto di ritirare l’appoggio al premier, il quale ha risposto sprezzante che “potentati locali” controllano il sistema delle aziende pubbliche gestendo “macchine di voti”. In questa vicenda non è chiaro quanto vi sia di sincero pragmatismo, di ambizione individuale, o di fumo negli occhi per distrarre la popolazione. Quello che è certo è che le ripetute promesse del premier cantonale sulla fine definitiva dei razionamenti si sono rivelate, finora, irrealistiche e infondate.
Le proteste
La crisi idrica a Sarajevo ha scatenato le proteste di diversi collettivi in difesa dei servizi pubblici. A settembre si è formata la campagna Vodoodbrana (“Difesa dell’acqua”), che da allora ha organizzato diverse azioni, tra cui una raccolta firme e alcune manifestazioni che hanno radunato centinaia di cittadini davanti alla sede cantonale, molti di loro muniti di cisterne di cui sono stati costretti a dotarsi nelle proprie case, per fare fronte alle restrizioni. Tra gli slogan: “Acqua subito”, “L’acqua non è proprietà privata”, “Vogliamo aria pulita, non aria dalle fontane”, “Abbiamo sete in tre lingue” (un riferimento al famoso slogan anti-nazionalista delle proteste anti-governative del 2014, “Abbiamo fame in tre lingue”).
Vodoobdrana nasce dagli stessi ambienti che hanno condotto iniziative in difesa dei servizi pubblici a Sarajevo, come le campagne contro la chiusura del principale policlinico cittadino, contro la commercializzazione della Vijecniča e contro la speculazione urbanistica. Nel bollettino del movimento “Jedan grad jedna borba” (“Una città una lotta”, organizzazione-ombrello di queste campagne), Vodoobdrana chiede che il diritto all’acqua sia affermato nella Costituzione cantonale, rivendicando apertamente la propria continuità con i processi di ri-pubblicizzazione dell’acqua avvenuti nelle altre capitali mondiali. Infatti, nell’attuale situazione gli attivisti vedono una privatizzazione de facto, ovvero un modello partitico-clientelare che toglie controllo ai cittadini, oltre a fornire un pretesto per spalancare ad interessi privati le porte dell’azienda idrica.
Nonostante in città esista un malcontento diffuso, per la campagna Vodoodbrana non è semplice costruire consenso. Dopo la manifestazione del 17 ottobre, che ha radunato qualche centinaio di persone, nel gruppo Facebook di Vodoodbrana serpeggiava una certa frustrazione per non avere ottenuto una partecipazione maggiore. “A volte bisogna aspettare il momento opportuno, perché la pressione dei problemi quotidiani non permette alle persone di concentrarsi su un problema alla volta”, spiega a OBCT Svjetlana Nedimović, attivista della campagna (vedi sotto per l‘intervista completa). In città vi è un disincanto diffuso sui problemi sociali, alimentato dai rapporti clientelari e da un discorso egemonico su una presunta “scarsità delle risorse” del settore pubblico, un discorso che Vodoobdrana cerca di attaccare apertamente. Infatti nei bollettini della campagna il Cantone di Sarajevo è spesso definito il “cantone più ricco” del paese, intendendo che disporrebbe di risorse adeguate, se non fossero dilapidate per incompetenza o per interessi privati.
Intervista a Svjetlana Nedimović, attivista della campagna Vodoodbrana
Come ha preso avvio la campagna Vodoodbrana?
La campagna è attiva dall’inizio di settembre di quest’anno, quando in gran parte della città si soffriva per le restrizioni d’acqua, ma le istituzioni non facevano nulla nonostante il governo del cantone di Sarajevo fosse in seduta permanente da metà agosto. I gruppi coinvolti in Vodoodbrana seguono la situazione già da tre anni. Nell’inverno scorso abbiamo organizzato dibattiti pubblici, ignorati dalle autorità responsabili, perché in alcune zone della città la situazione già stava diventando insopportabile. Le tubature si erano congelate e danneggiate per le basse temperature. La situazione stava diventando sempre più difficile, ma spesso bisogna aspettare il momento opportuno, perché la pressione dei problemi quotidiani non permette alle persone di concentrarsi su più di un problema alla volta.
Su cosa si concentra la vostra attività e chi partecipa alla campagna?
Esiste un ampio spettro di attività: informazione al pubblico; lotta contro le macchinazioni e i “fatti alternativi” diffusi dal governo del cantone di Sarajevo; contestualizzazione dei problemi, perché molti non hanno compreso che la rovina delle aziende municipali apre le porte a una nuova ondata di privatizzazione; una più ampia mobilizzazione, prima una raccolta firme diretta all’Assemblea cantonale, e poi iniziative di protesta; l’utilizzo di canali istituzionali per proposte e richieste.
Gli obiettivi sono semplici, di fatto si fermano al nostro slogan: “Acqua al popolo” (lett. “Voda narodu”), che è un gioco di parole con il saluto dei partigiani durante la II guerra mondiale (“Morte al fascismo, libertà al popolo” lett. “Smrt fašizmu, Sloboda Narodu”). Questo significa che vogliamo avere acqua, potabile e pulita, 24 ore al giorno tutti i giorni, e che arrivi a tutti gli abitanti della città. Allo stesso tempo, l’acqua e l’acquedotto devono restare un bene pubblico e bisogna riportarli sotto il controllo della società, perché al momento entrambi sono controllati dai partiti, e infatti questo è semplicemente un altro tipo di privatizzazione.
Vodoodbrana non è propriamente un collettivo: esiste una struttura organizzativa della campagna, una sorta di nucleo centrale, e ci sono persone che seguono l’attività, partecipano e appoggiano, ma senza una struttura rigida. Come è naturale, in questa rete vi sono soprattutto persone con più di 40 anni, anche se c’è comunque un certo appoggio anche tra i giovani. I razionamenti colpiscono tutti.
Quali sono, secondo voi, i maggiori responsabili dell’attuale situazione a Sarajevo? È un sintomo di crisi dell’intero sistema post-guerra, o è cambiato in negativo qualcosa negli anni più recenti?
I servizi municipali sono trascurati sin dalla guerra. Per quello che riguarda la politica urbanistica, abbiamo visto solo un'esplosione dell’edilizia nell’interesse della speculazione immobiliare e senza alcun rispetto per i limiti delle infrastrutture esistenti. La situazione è tuttavia peggiorata negli ultimi anni quando i fondi per la ricostruzione delle aree più problematiche della rete idrica, sono stati drasticamente tagliati nonostante il bilancio a disposizione fosse adeguatamente alto. I partiti al potere, soprattutto l'SDA che dal 1990 ha quasi sempre avuto un posto di riguardo nelle istituzioni, sono i principali responsabili.
Tanti fattori hanno affondato l'azienda municipale: quadri di partito senza alcuna esperienza e conoscenza professionale, disorganizzazione interna all'azienda, sperpero di denaro pubblico attraverso appalti a favore di imprese riconducibili a clan di partiti. La società non ha alcuna possibilità di controllo su queste pratiche.
La democrazia portata da questa transizione ha reso noi ostaggi dei nostri stessi rappresentanti istituzionali, e questi ultimi ostaggi di determinati gruppi di potere. Alcuni meccanismi democratici di cui abbiamo, come società, beneficiato prima del 1990, in diversi aspetti sono molto più democratici, per molte persone di diversa estrazione sociale. Queste cose non si possono cambiare con una scheda elettorale ogni quattro anni.
La vostra campagna sostiene che la cattiva amministrazione dell'azienda idrica municipale sia un pretesto per la sua completa o parziale privatizzazione. Come si manifestano questi interessi e queste pressioni a sostegno di questa opzione?
Le pressioni a favore della privatizzazione sono difficili da percepire se non si seguono gli eventi da vicino. Noi abbiamo seguito l’attività degli attivisti di partito e dei rappresentanti istituzionali, e sono loro stessi che nei quartieri invitano le imprese a non pagare le fatture. È a causa di questa gestione che si è arrivati alla situazione di oggi in cui non si garantisce l’accesso all’acqua. Un altro problema è quello delle concessioni alle aziende private per pompare acqua violando, del tutto o in parte, le norme esistenti.
Recentemente, si assiste alla vera e propria offensiva di ogni tipo di “consulenti” che, sotto il patronato internazionale, sostengono un modello di partnership pubblico-privata per le imprese comunali, in particolare il servizio idrico e il trasporto pubblico. La privatizzazione può avvenire sotto varie maschere e in diversi modi. Pensiamo che l’intenzione del governo sia di sfiancare le persone fino al punto che rifiutino qualunque forma di settore pubblico, inclusa la sanità, e accolgano i capitalisti come salvatori. Per questo, la nostra attività è rivolta a indicare le conseguenze di queste soluzioni, che sono chiaramente visibili in tutto il mondo.
Il governo del cantone di Sarajevo e la sua amministrazione spesso affermano che i “consumatori illegali” sono uno dei fattori principali del cattivo stato dell’acquedotto. Siete d’accordo? O è un modo di esonerare la politica dalle proprie responsabilità, scaricandole sugli individui e sulle famiglie?
Questo è il discorso standard delle istituzioni. Lo stesso viene usato ad esempio per l’inquinamento dell’aria. Sono colpevoli le persone che bruciano legno o carbone per il riscaldamento, ma non ci si chiede perché in molti passano dal gas ai combustibili solidi. In questo caso, per anni il potere ha tenuto gli strati sociali più bassi come ostaggi, senza sforzarsi di assicurare condizioni degne di vita e lavoro, lasciando a loro il compito di arrangiarsi per l’accesso alla casa e ai servizi, e ricattandoli continuamente. Inoltre, i concessionari privati non pagano quello che dovrebbero pagare secondo i termini di legge, mentre le lobby dell’edilizia collegano interi blocchi di edifici a un’infrastruttura esistente che ha i propri limiti strutturali. Ma il primo e principale colpevole in tutto questo sono le istituzioni e solo le istituzioni.
Molti commentatori associano la crisi idrica di Sarajevo alle difficoltà legate al dramma dell’assedio negli anni Novanta. Questa percezione di insicurezza influisce sulla mobilitazione?
È vero, tutto questo ricorda dolorosamente quei giorni. Ma è difficile dire se contribuisce alla mobilitazione più questo o il fatto di dovere vivere, oggi, un’esistenza scandita secondo il ritmo delle riduzioni d’acqua. Penso che il nostro presente sia sufficientemente duro da spingerci all’azione.
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