Voci pacate, stanche e quasi spezzate. Sono le voci che provengono dalle associazioni delle donne bosniache che in questi anni hanno continuato a lottare per la verità e la giustizia per i crimini degli anni '90. I commenti alla notizia dell'arresto di Ratko Mladić
La notizia dell'arresto del “boia di Srebrenica” ha provocato diverse reazioni tra le donne bosniache vittime, dirette o indirette, dei crimini per i quali Mladić è accusato.
I commenti provengono soprattutto da quelle donne che, dopo aver subito violenza, aver perso mariti, figli e fratelli a Srebrenica o in altre parti della Bosnia Erzegovina, hanno deciso con la fine della guerra di unirsi. Formando associazioni in diversi luoghi del Paese, hanno cercato di superare insieme gli indicibili traumi a cui erano sopravvissute. Non solo. Hanno anche deciso di sostenere tutte le donne che erano state direttamente vittime o testimoni oculari di violenze, perché testimoniassero nei processi aperti dal Tribunale Internazionale dell’Aja.
Come hanno accolto queste donne l’arresto di uno dei più importanti sospettati di crimini della ex-Jugoslavia, colui che nell’elenco delle incriminazioni conta anche il massacro di 8.000 persone a Srebrenica nel luglio del 1995, il più efferato crimine di guerra compiuto in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale?
Donne per le Donne
Mnenuna Zvizdić, da tutti chiamata Nuna, dell’associazione Žene Ženama (Donne per le Donne) con sede a Sarajevo, quasi fatica a parlare al telefono: “Che dire? E’ sicuramente un momento molto importante. E’ un passo avanti significativo per tutti i Paesi della nostra regione. Penso che questo arresto ci aiuterà a riavvicinarci finalmente, a ricreare i legami che c’erano una volta fra tutte e tutti noi”.
La notizia le ha provocato emozioni contrastanti: “E’ certo un momento di felicità, sebbene quello che è successo oggi ci abbia riportato improvvisamente indietro al tempo di guerra, quello che vorremmo dimenticare per sempre”. Nuna non nasconde che 16 anni di lotta, e di attesa, sono stati difficili: “Si rimane senza parole, forse perché l’attesa in tutti questi anni è stata estenuante. Direi uno stress sottile ma continuo”.
Dimenticare non si riesce, dice Nuna, se non viene riconosciuta giustizia alle vittime. Dice “vittime” quasi distanziando le lettere della parola mentre le pronuncia: “Ricordiamoci che sono molte le persone scomparse e non ritrovate, della cui morte i responsabili devono rispondere. Ci sono tante vittime civili sopravvissute, molte donne ma anche uomini e bambini, i cui carnefici non sono stati ancora né arrestati né processati”.
Le donne di Bratunac
Stanojka Tesić detta Sana, del Forum Žene Bratunac (Forum delle Donne di Bratunac), sottolinea che questo arresto non rappresenta una fine: “La notizia dell’arresto è un segnale che c’è maggiore volontà ad andare nella giusta direzione. Ma noi ci auguriamo che questo non distolga dall’impegno a cercare, trovare e processare le numerose persone sospettate di crimini”. Sana, come Nuna, chiude con lo stesso assunto: "Il punto più importate di tutta la questione è che finalmente venga data giustizia a tutte e tutti.”
E’ dello stesso parere Rada Žarković, fondatrice della cooperativa di donne Zajedno-Insieme a Bratunac, nei pressi di Srebrenica. Un progetto di riconciliazione al femminile che ha dato vita ad una solida realtà economica agricola. Anche Rada ha pagato duramente sulla sua pelle la violenza di una guerra che è stata anche guerra contro le donne: “Sì, vero che l'arresto è importante e tutte e tutti abbiamo bisogno di chiudere finalmente la porta del dolore e delle divisioni per ricominciare da zero. Ma provo anche tanta tristezza e una grande stanchezza”.
Tira un sospiro e spiega perché: “Purtroppo molti dei grandi carnefici sono morti prima di arrivare alla condanna. Noi semplici cittadini abbiamo bisogno che il processo si faccia e si arrivi a un verdetto, affinché essi non muoiano come 'semplici' sospettati. Altrimenti agli occhi di una parte dell'opinione pubblica rimarranno degli eroi e mai si arriverà al definitivo rifiuto delle loro idee.” Un'opinione che viene confermata, ad esempio, nel caso della morte di Slobodan Milosević nel carcere di Scheveningen all'Aja: una parte non indifferente della popolazione serbo-bosniaca e serba l'aveva ricordato come un eroe. D'altro canto, la recente condanna da parte del TPI del generale croato Ante Gotovina, ha sollevato in Croazia molte polemiche e malumori. A dimostrazione che un cambio culturale dell'opinione pubblica rispetto ai crimini commessi dalla “propria parte” può avvenire solo con un costante, duro e lungo lavoro.
Nemmeno l'arresto di Ratko Mladić, infatti, ha fermato queste donne nella loro quotidianità. Al telefono l'assistente di Irfanka Pašagić, neuropsichiatra e originaria di Srebrenica, direttrice dell'organizzazione Tuzlanska amica con sede a Tuzla, risponde gentile: “Irfanka si scusa, ma abbiamo in corso una riunione di lavoro. Possiamo sentirci nei prossimi giorni?”.
Chissà se nei prossimi giorni, quando i riflettori mediatici si saranno spenti su Ratko Mladić e sui massacri di cui è accusato, qualcuno si ricorderà di dare voce a queste donne e del loro bisogno di giustizia e pace?
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