La Bulgaria investe solo lo 0,16% del suo Pil nella ricerca scientifica. In questo è la pecora nera d'Europa
(Pubblicato originariamente da Bilten il 14 settembre 2015, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)
La scienza in Bulgaria – vittima di drastici tagli di budget – si trova oggi in uno stato critico. La Bulgaria è il membro dell'Ue che investe meno in ricerca scientifica: solo lo 0,16% del Pil, nonostante il ministro delle Finanze avesse promesso, adeguandosi al programma nazionale delle riforme, un 1,2% per il 2015. E mentre in fondi pubblici destinati alla ricerca e all'insegnamento superiore sono in continua diminuzione, il parlamento ha adottato una legge che permette all'insegnamento privato di ottenere sovvenzioni pubbliche.
La ricerca sottosopra
Il budget dell'Accademia bulgara delle scienze è di soli 72 milioni di leva (circa 36 milioni di euro). La logica delle politiche governative si basa sull'ipotesi che la mancanza di fondi pubblici dovrebbe portare le istituzioni scientifiche a trovarne altri nel settore privato, per riequilibrare i propri conti. Problema: il settore privato non è per nulla interessato a quei settori di ricerca dell'Accademia che ritiene troppo teorici e quindi a quest'ultima non rimane che assistere ad un proprio progressivo degrado.
Rožen, ad esempio, è il più grande osservatorio astronomico dei Balcani: ha subito in questi ultimi anni quattro progressive riduzioni di budget. L'Istituto non è più in grado di pagare le proprie bollette di acqua ed elettricità, figurarsi di investire in tecnologie di punta o allargare le proprie attività.
Allo stesso tempo è sempre crescente la concorrenza tra ricercatori per accaparrarsi delle risorse e gli scandali si corruzione sono sempre più frequenti. Più le risorse sono limitate, più si cerca di mobilitare le proprie relazioni personali per assicurarsi un accesso ai fondi. Paradossalmente i tagli di budget hanno quindi portato a meno disciplina e ad uno spreco maggiore di risorse pubbliche.
Ma la cosa più grave è che la mancanza di risorse ha portato a ricerche aberranti. Scienziati dell'Accademia bulgara delle scienze hanno così preso contatto con extraterrestri, sono stati sostenuti progetti di ricerca negazionisti... recentemente uno studio nel campo della genetica ha tentato di dimostrare che i bulgari non sono affatto slavi ma “mediterranei”. Evidentemente alcuni ricercatori ritengono di poter dimostrare la loro utilità favorendo la propaganda nazionalista.
Un ricercatore viene pagato in Bulgaria circa 380 euro al mese (220 secondo il presidente del BAN), e sono i salari più bassi dell'Ue. Ciononostante il governo ha ora annunciato un nuovo taglio del budget dell'Accademia di circa 2,5 milioni di euro.
Ottimismo contro comunismo
L’idea che la ricerca debba essere “utile” allo stato risale al 2010. All'epoca il governo, già allora a guida del GERB di Boyko Borisov aveva seguito alla lettera le raccomandazioni dell'Ue ed aveva abbassato il deficit all'1% benché Maastricht autorizzasse il 3% di sforamento sul budget. Ma le economie realizzate erano legate in quell'occasione solo al mancato pagamento dei debiti che lo stato aveva nei confronti dei privati. I fallimenti conseguenti delle aziende private avevano spinto 250.000 persone a raggiungere l'esercito dei disoccupati nel paese.
Queste politiche di austerità hanno avuto un impatto negativo sull'economia e anche sulla formazione e sulla ricerca. All'epoca vennero promosse manifestazioni e proteste di ricercatori e professori per richiedere più mezzi finanziari e migliori condizioni di lavoro. Il ministro delle Finanze dell'epoca, Simeon Djankov, se l'era presa violentemente con l'Accademia bulgara delle scienze. Aveva qualificato i manifestanti come “vecchi imbroglioni di stampo feudale, parassiti che attendono il proprio stipendio con le braccia incrociate”. Frasi intese a risvegliare lo spettro del comunismo, accusato di aver prodotto “dei parassiti perdenti che non cambieranno mai”. Djankov aveva infine concluso che in tempi di crisi la ricerca non poteva rappresentare una priorità.
Il primo ministro Borisov aveva tentato in quell'occasione di addolcire queste esternazioni ma senza alcuna conseguenza sul piano di ristrutturazione, o meglio, “d'ottimizzazione” del BAN. Istituti prima indipendenti sono stati accorpati, ad esempio l'Istituto di filosofia con quello di sociologia, entrambi inseriti all'interno dell'Accademia. Simeon Djankov aveva giustificato questa decisione sottolineando che la separazione tra ricerca ed insegnamento era una “fabbricazione comunista”.
Il ruolo delle scienze pure
Il presidente bulgaro Georgi Parvanov accusò Djankov di “stalinismo” per avere offeso i ricercatori. Ma era una difesa che voleva dissimulare un accordo di base tra i due sul fatto che la scienza doveva essere al servizio dell'economia: “La questione non è la scienza o l'economia, ma la scienza al servizio dell'economia e della società”, affermò allora il presidente.
Nella “strategia nazionale per lo sviluppo della ricerca scientifica 2020” vi è scritto: “Consapevoli che il finanziamento delle scienze pure è un investimento diretto nell'economia mondiale, il finanziamento pubblico di attività in questo campo non è giustificato se non contribuisce al potenziale formativo dell'università”. Un punto di vista che l'Accademia bulgara delle scienze ha definito “assurdo”: la pratica scientifica e la produzione di conoscenza devono ad avviso dei suoi rappresentanti essere totalmente indipendenti da eventuali applicazioni pratiche dei risultati scientifici ottenuti”.
L'Accademia spera ora di riuscire ad aumentare l'attuale percentuale del 15% assegnato del totale del budget a disposizione alle scienze pure. Obiettivo è quello di arrivare al 50%: si ritiene infatti che finanziare esclusivamente le scienze applicate sia riduttivo e impedisca lo sviluppo globale della ricerca scientifica.
Ma quest'argomentazione non sembra avere effetti su chi sta adottando le misure di austerità. Questi ultimi sembrano focalizzati esclusivamente sulla creazione di “un clima per gli affari” e stimano che mettere la scienza al servizio del capitale sia il “motore” che rilancerà i centri di ricerca in difficoltà. Inoltre, sostenendo quasi esclusivamente le scienze applicate lo stato, che si vuole economo, non fa che sprecare tutte le possibilità di progresso industriale e di crescita.
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