40 marciatori per 500 km lungo il Danubio, attraversando la Bulgaria per raggiungere la Romania. Gli instancabili attivisti dell'associazione FuoriVia parlano con i locali, assaporano la storia del paese, le sue contraddizioni e le sue bellezze, percorrendo una ventina di km al giorno
(Leggi l'introduzione Cronache danubiane: ricomincia il viaggio)
Le innovazioni fioriscono quando la mente si trova in una condizione di maggiore apertura. In una Bulgaria che nel XIX Secolo si infiamma per le idee occidentali di liberalismo e nazionalismo e che si affranca dal dominio ottomano sul finire del Secolo, le città portuali del Danubio mostrano tutta la loro predisposizione all'apertura, all'innovazione, ai commerci, alla multiculturalità.
Tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, Ruse e i vicini porti strategici - proprio per la loro posizione di confine sul fiume - diventano teatro di fermenti rivoluzionari e protagonisti di una rinascita culturale ed economica che è l'orgoglio e la nostalgia degli abitanti di queste regioni.
Sabato 29 luglio. Arriviamo all'Hotel Central di Ruse un giorno prima dell'appuntamento stabilito e ci concediamo di bighellonare lenti per le vie della città. Dietro consiglio di una guida locale, ammazziamo il tempo leggendo il primo volume de "La lingua salvata", premio Nobel Elias Canetti, che racconta l'infanzia trascorsa nella sua città natale Rustchuk, l'odierna Ruse, durante i primi anni del Novecento:
Tutto ciò che ho provato e vissuto in seguito era sempre già accaduto a Rustchuk. In un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue. Oltre ai bulgari, c’erano greci, albanesi, armeni, zingari…
Lunedì 31 luglio. Parte ufficialmente l'edizione Danubes 2023: quarantatré partecipanti, due settimane di marcia, 15 tappe giornaliere, circa 500 km davanti a noi.
Come di rigore, durante la marcia, ci soffermiamo a parlare con abitanti, avventori, ristoratori, tassisti, nonne, bambini, rom, guide turistiche, albergatori, rappresentanti locali. Notiamo che la nostalgia di un florido passato è ancora molto viva tra la popolazione, vibrante nel tono delle parole.
Non è un caso che il partito ultranazionalista Rinascita abbia fatto leva su questo sentimento per la scelta del proprio nome, superando nel 2021 la soglia di sbarramento del 4% ed entrando a far parte dell'Assemblea nazionale bulgara.
Ma a prescindere dai radicalismi politici, il contesto in cui ci immergiamo in Bulgaria, tra Ruse e Vidin, è connotato da alcuni elementi ricorrenti che ripropongono a vario titolo, ancora oggi, l'annosa questione della gestione di priorità pubbliche e priorità private in corrispondenza dei vari passaggi che hanno caratterizzato la storia recente di queste terre.
Un paese che ha alle spalle una guerra di indipendenza da un dominio straniero lungo 500 anni; una rinascita nazionale di commerci e innovazioni, frutto dell'imprenditoria e della filantropia privata tra XIX e XX Secolo; un'economia saldamente radicata in una sfera di influenza sovietica dal 1945 al 1989, impostata su una gestione centralizzata della cosa pubblica; in ultimo, l'adesione all'UE nel 2007, che da un lato assicura l'appartenenza culturale ai pilastri del vecchio continente, ma che dall'altro manca ancora di un tassello fondamentale ai fini della libera circolazione di merci e persone: la zona Schengen.
Bruxelles sembra voler velocizzare questo processo. Lo scorso luglio, il Parlamento UE ha approvato una risoluzione per l'adesione di Romania e Bulgaria in area Schengen entro il 2023, evidenziando gli attuali effetti gravosi sui singoli cittadini dal punto di vista sociale ed economico.
Com'è come non è, i locali che incontriamo da Ruse a Vidin sembrano però nutrire sospetti sulla possibile entrata della Bulgaria in area Schengen, non avendo molta fiducia in un effettivo cambio di marcia, né in una capacità della classe politica di gestire al meglio la transizione. Ma soprattutto temono l'eventuale passaggio all'Euro.
Voglia di riscatto, nostalgia del passato, nazionalismi, preoccupazione per la grave crisi demografica, mancanza di lavoro e - non ultima - la muta barriera naturale del Danubio che, ignaro, continua a fluire silenzioso verso il Mar Nero, sotto gli unici due ponti che collegano Bulgaria e Romania: quello di Ruse-Giorgiu, il cosiddetto ponte dell'amicizia, e quello di Vidin-Calafat, 350 km più a ovest, la nostra ultima tappa in Bulgaria prima di varcare il confine ed entrare in Romania.
Questi i principali compagni di viaggio che ci seguono nella nostra lenta marcia attraverso le regioni di Ruse, Veliko Tarnovo, Pleven, Montana e Vidin, alcune tra le aree più povere del continente, stando alle stime di Eurostat.
Tra i lasciti dell'Impero ottomano e le testimonianze architettoniche della mitteleuropa, il retaggio superstite dell'impostazione sovietica è ancora forte.
Lo si avverte un po' ovunque. Nei brutalismi cementificati; nell'edilizia abitativa di centri urbani come Svishtov e Lom; nelle fabbriche mastodontiche volute dalle politiche industriali comuniste, come nel caso di Vidin, dove si producevano pneumatici e si dava lavoro a 10.000 persone; nel fascino spettrale dell'archeologia industriale di Nikopol, con i suoi impianti dismessi e délabré.
Lo vediamo negli scheletri di progetti faraonici mai portati a termine come la centrale nucleare di Belene. Il progetto era stato pensato già negli anni Settanta del secolo scorso per affiancare l'impianto nucleare di Kozloduy che, nel 1974, rese la Bulgaria il terzo paese comunista ad essere dotato di una centrale nucleare.
L'impianto nucleare interamente pubblico è tuttora in funzione con due delle sei unità iniziali, e copre circa il 35% della domanda nazionale di elettricità.
Ma il retaggio dell'era sovietica si avverte anche, e forse soprattutto, nel comune approccio ai servizi, per noi un fatto talmente acquisito da sembrare scontato, ma che scontato, qui, non lo è affatto. Trovare, ad esempio, un servizio di launderette per lavare e asciugare la biancheria di quaranta camminatori in poche ore non è cosa semplice, nemmeno in uno dei principali centri urbani del Montana. Tempi minimi di consegna: una settimana.
Difficile essere esaustivi nel documentare e raccontare i mille particolari che colpiscono la nostra curiosità, quando il cammino impone cadenze rigorose, con picchi di temperatura di 40°C e una media di 20 km al giorno.
Contro lo sfondo di un tale scenario, si staglia il calore di una popolazione solo apparentemente burbera, la dignità e la bellezza del contesto naturale, la magia del paesaggio fluviale, il verde rigoglioso delle sponde, la cura degli orti nei villaggi rurali…
Lasciamo la Bulgaria sotto una pioggia battente. Nell'edizione Danubes 2022 eravamo entrati in Bulgaria da Nord, con il ferry boat Calarasi-Silistra. Quest'anno lasciamo il paese delle rose da Sud, attraverso il ponte che collega Vidin a Calafat, in Romania.
Salutiamo Nikolai, presidente dell'Associazione Free Youth Centre Vidin, che promuove l'integrazione delle minoranze Rom in città. Gli siamo grati per aver facilitato l'ospitalità presso una bellissima scuola secondaria, ristrutturata con i fondi UE.
Ci lasciamo alle spalle Vidin, con la sua fortezza, la sua moschea, la sua chiesa ortodossa, la sua sinagoga, le sue navi da crociera ormeggiate lungo il fiume… Abbracciamo curiosi la seconda fase del cammino in un tratto di Romania per noi ancora inedito, lungo un Danubio che si restringe incuneandosi nella gola degli Iron Gates. Poco più in là, la Serbia, di là dai confini UE. Ma di questo parleremo l'anno prossimo.
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