La polizia bulgara arresta una presunta banda di assassini, pronti addirittura a liquidare il premier Boyko Borisov. Il tribunale però li scarcera subito, parlando di prove insufficienti. L'operazione "i Killer" riacutizza in Bulgaria lo scontro tra potere esecutivo e potere giudiziario
In Bulgaria, “lo stato è impotente contro il suo stesso sistema giudiziario”. Questo l'amaro commento del ministro degli Interni Tzvetan Tvetanov all'annuncio che il tribunale di Sofia, lo scorso 4 agosto, ha deciso in appello di liberare quattro dei cinque arrestati durante l'operazione “i Killer”, realizzata da polizia e procura il 23 luglio.
L'operazione, con arresti e perquisizioni a tappeto in tutto il paese, aveva portato dietro le sbarre i presunti responsabili di almeno sei omicidi eccellenti. Tra questi quello del controverso businessman e presidente del “Rilski Sportist Football club”, Yuri Galev, freddato a fine giugno.
Per la prima volta “assistiamo ad un'operazione in grado di sgominare un gruppo criminale dal mandante all'esecutore”, aveva dichiarato con orgoglio alla stampa il premier Boyko Borisov. “È un successo che dà speranze”, frutto del lavoro “giorno e notte” degli inquirenti e della “buona coordinazione tra le istituzioni”, aveva aggiunto Boyko Naydenov, vice capo-procuratore.
Nei giorni seguenti erano addirittura circolate voci secondo cui “i Killer” stavano preparando un attentato allo stesso Borisov, su richiesta del narcoboss serbo Sreten Josić, arrestato in Bulgaria quando l'attuale premier era a capo della polizia.
Nonostante tutto, però, i magistrati del tribunale di Sofia hanno ritenuto gli indizi collezionati dalla polizia assolutamente insufficienti a provare il castello accusatorio, e a giustificare la detenzione degli accusati. Uno solo tra i sospetti, nella cui abitazione la polizia ha rinvenuto un mitragliatore kalashnikov, è rimasto in carcere.
Borisov ha criticato aspramente la decisione del tribunale, chiedendo di accelerare sulla riforma del sistema giudiziario. “Non ci fermeremo”, ha detto il premier, annunciando poi che tutta la documentazione sui casi viene tradotta in inglese per essere spedita all'Europol e all'FBI “per sapere se, secondo loro, le prove raccolte sono sufficienti o meno”.
I magistrati non hanno tardato a rispondere agli attacchi dell'esecutivo. “Durante l'indagine non è stata trovata l'arma dell'omicidio. Mancano riscontri materiali. L'unica prova addotta sono conversazioni telefoniche da schede di cui non è stata provata la proprietà da parte degli accusati”, ha dichiarato Hristina Mihova, uno dei giudici responsabili della decisione del tribunale.
Le polemiche sull'operazione “i Killer” riacutizza lo scontro tra potere esecutivo e giudiziario in Bulgaria. Da anni polizia e giudici si accusano a vicenda della scarsa efficacia della lotta alla criminalità organizzata. Fu proprio Boyko Borisov, ai tempi del suo mandato come capo della polizia a denunciare: “Noi (la polizia) li prendiamo, loro (i giudici) li rilasciano”. I magistrati, a loro volta, accusano la polizia di raccogliere indizi scadenti, spesso violando le norme. Tutte prove deboli o inutilizzabili in tribunale.
Oggi, però, lo scontro assume un significato ancora più vasto, vista la centralità delle operazioni di polizia per il governo Borisov. Il “generale” (uno dei soprannomi del premier) ha vinto le elezioni dell'anno scorso promettendo lotta senza quartiere alla criminalità e alla corruzione. E in questi mesi la pressione sul ministero degli Interni per ottenere risultati tangibili si è fatta sentire.
Alcuni successi sono innegabili. Dopo l'operazione “gli Sfacciati” il fenomeno dei rapimenti a scopo di estorsione sembra essere scomparso. Per la prima volta sono arrivate dure condanne a responsabili di truffe sui fondi comunitari, come quella al businessman Mario Nikolov, condannato in primo grado a dodici anni di reclusione.
Tutti elementi colti dal rapporto semestrale dell'Ue pubblicato a luglio, in cui si sottolinea che “per la prima volta si registrano azioni efficaci contro la criminalità organizzata”. Il ministro Tzvetanov, anche lui cresciuto politicamente all'ombra di Borisov nelle fila della polizia, raccoglie costantemente i maggiori indici di gradimento nell'opinione pubblica.
A un'analisi più approfondita, però, la linea dura del governo presenta molti punti deboli. Le numerosissime azioni di polizia, sempre contrassegnate da fantasiosi nomi in codice (“gli Sfacciati”, “la Piovra”, “i Coccodrilli”) spesso sembrano essere realizzate più a beneficio dei media che della legalità.
L'esempio più lampante risale allo scorso aprile, ad esempio, quando l'ex ministro della Difesa Nikolay Tzonev, accusato di corruzione, veniva arrestato in ospedale e trascinato via in manette, mentre un poliziotto puntava la pistola e il procuratore a capo dell'operazione gli gridava “In ginocchio, sei un criminale!” Tzonev, in attesa di giudizio, ha intanto deciso di fare ricorso al tribunale di Strasburgo per il trattamento subito durante l'arresto.
Altre operazioni di polizia hanno mostrato un atteggiamento a dir poco superficiale. Come quella dello scorso 23 luglio a Kardzhali, nel sud-est del paese, quando una squadra speciale fa irruzione “per sbaglio” (e senza mandato) in casa della famiglia Mustafov, in cerca di prostitute, picchiando alcuni membri della famiglia.
“Nelle indagini più complesse, mancano spesso una direzione chiara e un obiettivo definibile, le procedure sono formali, lunghe e spesso naufragano in tribunale”, recita un altro passaggio del recente rapporto semestrale Ue, mettendo in luce un giudizio complessivo fatto non solo di luci, ma anche di ombre.
Non che il sistema giudiziario sia al riparo da critiche, anche pesanti. L'anno scorso l'enorme scandalo sorto intorno alla figura di Krasimir Georgiev (meglio noto come Krasjo “il Nero”), lobbysta oggi sotto processo per falsa testimonianza, ha posto seri dubbi che giudici presenti negli organismi direttivi della magistratura bulgara abbiano potuto comprare le proprie posizioni.
Anche dichiarazioni come quella del giudice Maria Miteva, uno dei magistrati responsabili della scarcerazione dei “killer” lasciano perplessi. “Ritengo che in Bulgaria non esista alcuna mafia”, ha dichiarato la Miteva. “Siamo una nazione troppo piccola, non ci sono le risorse per creare una vera criminalità organizzata”. Una teoria sorprendente, vista la lunga scia di omicidi e reati commessi nel paese dall'inizio della transizione.
In ogni caso, il governo non può agire al di fuori della legalità, e la risposta non può venire da pressioni dirette sul potere giudiziario. La tanto attesa riforma giudiziaria è una necessità reale, sottolineata anche dai rapporti dell'Ue. Nel frattempo, però, polizia e procura non possono agire al di fuori del quadro della separazione dei poteri. Altrimenti, come ha scritto recentemente l'“Economist”, i cittadini bulgari potrebbero davvero pentirsi di aver ottenuto lo “stato forte” che avevano chiesto col loro voto a Boyko Borisov.
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