Nessuno slittamento per l'ingresso di Bulgaria e Romania nell'UE. Ma sembra ci si sia arrivati quasi per inerzia in una famiglia europea che, in questo momento, sembra aver voglia di tutto tranne che di estendere ulteriormente le proprie frontiere

27/09/2006 -  Anonymous User

Di Tomas Miglierina*

"Un traguardo storico, che porta ulteriormente avanti la riunificazione della famiglia europea": così il presidente della Commissione José Manuel Durao Barroso ha definito davanti agli eurodeputati l'ingresso di Bulgaria e Romania nell' Unione europea, ormai fissato al 1 gennaio 2007. Ma l'aria che si respira di questi tempi nei corridoi delle istituzioni europee a riguardo è tutt'altro che aria da grandi occasioni.

La definizione dell'ingresso di Bucarest e Sofia come di una "coda" dell'allargamento di due anni fa, impiegata a volte dagli stessi commissari, tradisce la realtà dei fatti: Romania e Bulgaria vengono accolte quasi "per inerzia" in una famiglia europea che, in questo momento, avrebbe voglia di tutto tranne che di estendere ulteriormente le proprie frontiere. All'ordine del giorno, semmai, il dibattito contrario: quello sul dove collocare le frontiere dell'Europa.

Il calcolo che ha prevalso all'interno della Commissione a proposito di Romania e Bulgaria è prevalentemente tattico: la clausola di salvaguardia inscritta nei trattati di adesione dei due paesi, prevedeva la possibilità di rinviare l'ingresso per un solo anno. Invocarla avrebbe forse permesso di conquistare punti, per poche settimane, agli occhi dell'opinione pubblica di qualche Stato membro, ma al prezzo di umiliare i diretti interessati, rallentandone le già difficili riforme. L'esatto contrario di quello che i vertici dell'Unione desiderano.

Meglio puntare sull'effetto di incoraggiamento che la sicurezza di un ingresso imminente dovrebbe produrre. "Puntiamo sulla costruzione della fiducia", ha ribadito più volte ai giornalisti il vicepresidente della Commissione Franco Frattini, uno dei maggiori "sponsor" dei due Stati in seno al collegio e al tempo stesso il commissario nella cui competenza ricadono i dossier più spinosi della candidatura rumena e bulgara: corruzione, indipendenza della magistratura, lotta al crimine organizzato.

Anche se spinto da motivazioni tattiche, l'ingresso di Bulgaria e Romania chiude effettivamente un ciclo storico nella riunificazione europea. Si tratta degli ultimi due paesi appartenuti per cinquant'anni all'altra Europa, quella del patto di Varsavia, della cortina di ferro. Gli allargamenti futuri non avranno nulla di quell'aura mitica, di quel senso di catarsi che qualche anno fa fece commuovere certi eurodeputati dell'est, quando misero piede per la prima volta a Strasburgo.

E' il caso soprattutto dei Balcani occidentali: con l'eccezione dell'Albania essi sono a lungo appartenuti ad una realtà, la Jugoslavia di Tito, di certo diversa dall'occidente ma non estranea e inaccessibile. Quando Bruxelles aprirà loro le porte, non ci sarà la sensazione di riparare le ingiustizie che la storia aveva fatto alla geografia. I Balcani verranno integrati perché è in ciò la miglior garanzia della loro stabilità e le loro dimensioni pongono problemi tutto sommato limitati. In altre parole: è meglio averli dentro piuttosto che fuori dall'uscio di casa.

Senonché, questa volta, i tempi non dipendono solo dalla velocità di adattamento degli interessati. José Manuel Barroso, nello stesso discorso in cui annunciava l'ingresso di Romania e Bulgaria, lo ha spiegato con chiarezza: "Dopo il completamento di questo quinto allargamento credo che una intesa istituzionale dovrebbe precedere ogni futuro allargamento". L'Unione europea ha esaurito le regole: il trattato di Nizza, pensato per un'Europa a 27, non basta più.

La Croazia, più avanti di chiunque altro nella marcia verso Bruxelles ed economicamente meglio situata di certi membri dell'UE, è il paese che più risentirà di questo mutato scenario. Zagabria può scordarsi di ricevere una data di adesione nel ragionevole futuro, l'esperienza con Romania e Bulgaria ha dimostrato che non è una buona tattica. A maggior ragione il discorso vale per la Macedonia e gli altri paesi, il cui cammino sarà ancora più lungo.

C'è il rischio oggettivo che tutto questo provochi un rallentamento delle riforme. Bruxelles ne è consapevole e il commissario all'allargamento, Olli Rehn, si è affrettato a dire che ciò sarebbe il modo sbagliato di reagire. Paradossalmente, sembra a volte che nei Balcani le riforme vengano portate avanti non perché si crede nella loro effettiva utilità, ma come un dazio per entrare nel club dei ricchi e felici. E' un'impostazione che finisce facilmente per diventare umiliante, mettendo gli stati balcanici nel ruolo di "scolari discoli" e Bruxelles in quello di pedante maestrina.

Nel prossimo futuro i governanti dei Balcani occidentali saranno obbligati a cambiare un po' registro, portando avanti le riforme non per la semplice prospettiva di una comunque lontana integrazione europea ma per i vantaggi effettivi che ciò può comportare. Forse sarà un'occasione per testare la solidità del cammino compiuto fino ad ora.

* Tomas Miglierina è un giornalista della RTSI. Negli anni '90, sempre per la Radio e Televisione Svizzera è stato inviato nei Balcani


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