Francesco Martino (Notizie Est) dialoga con Svetoslav Terziev, caporedattore esteri del quotidiano bulgaro "Sega", sulle sfide che la Bulgaria si trova ad affrontare tra crisi irachena, adesione alla NATO e futuro ingresso nell'UE
Intervista pubblicata da Notizie Est il 21 maggio '04
D: Partiamo dalla situazione irachena. La Bulgaria è uno dei membri della "coalizione dei volenterosi"guidata dagli Stati Uniti, ma la decisione di mandare le truppe in bulgare in Iraq è stata accompagnata anche nel vostro paese da non poche polemiche politiche. Oggi, dopo la decisione del nuovo governo spagnolo guidato da Zapatero di riportare a casa il proprio contingente dalla Mesopotamia, come si sta evolvendo il dibattito sulla permanenza dei soldati bulgari a Kerbala?
R: Al momento solo alcuni deputati della sinistra insistono per il ritiro del contingente militare dall'Iraq. Tutti i partiti sono concordi sul fatto che la missione deve continuare, sebbene ci siano diverse sfumature di pensiero sulle motivazioni. Il presidente della repubblica Georgi Parvanov, già leader dei socialisti, è entrato in polemica con l'attuale segretario dello stesso partito socialista Sergej Stanishev, quando ha proposto una "riformulazione" del mandato alle truppe bulgare, e cioè un suo allargamento, dal momento che la situazione in Iraq è venuta a modificarsi e richiede anche la possibilità di prendere parte a scontri armati. La stessa posizione è stata espressa anche dai partiti di destra. Il "partito dello Zar", che al momento è al governo del paese, e la sinistra, si sono invece schierati contro ogni modifica del mandato, che al momento attuale lascia aperta la possibilità di ritirare un giorno il contingente dall'Iraq, visto che la loro missione rimane ufficialmente quella di forza di pace, senza alcun obbligo di essere impegnati in azioni militari vere e proprie.
D: Sulla decisione di Zapatero sembra pesare il fantasma del terrorismo islamico. Che cosa hanno significato per la Bulgaria gli attentati di Madrid?
R: L'attentato di Madrid è un monito diretto ai membri della coalizione impegnata in Iraq, ma anche a tutti i paesi che decidono della politica a livello mondiale, perché pone delle domande molto serie sul terrorismo e sulle sue radici, ma ancor di più sui modi con cui fermare questo fenomeno. La politica dell'amministrazione Bush, nei fatti, ha reso il mondo più insicuro, e invece di allontanare il terrorismo lo ha invitato ad entrare anche in Europa. In questo contesto nascono preoccupazioni che riguardano anche la Bulgaria, che come fedele alleato degli Usa viene oggi investita da un problema che non l'aveva riguardata direttamente fino ad oggi. Se si esclude un breve periodo negli anni '80, quando ci furono alcuni attentati in risposta alla politica di assimilazione violenta della popolazione turca (che prevedeva tra l'altro la sostituzione dei nomi turchi con nomi di radice slava), la Bulgaria non ha mai conosciuto il terrorismo islamico. Ma mentre allora si trattava di un problema strettamente interno, dovuto all'errata politica dell'ex regime comunista, oggi con la partecipazione alla missione in Iraq la Bulgaria entra in processi di carattere globale.
D: In Europa occidentale si teme la possibilità che la Bulgaria, o i Balcani più in generale, possano divenire una base operativa dell'internazionale del terrore. Esiste questo pericolo?
R: Questo può succedere in ogni paese, non è detto che accada in Bulgaria o in qualche altro stato balcanico. La particolarità della Bulgaria e di quest'area in generale è la presenza di popolazioni di fede musulmana. In Bulgaria però tutte le componenti musulmane, siano esse la minoranza turca o bulgaro-musulmana, sono costituite da persone pacifiche, che non credono nell'estremismo religioso, e non c'è quindi il rischio che possano fornire una base operativa al terrorismo. Il pericolo è che una tale base possa essere fornita invece dalla criminalità organizzata, visto che le moderne narcomafie agiscono a stretto contatto ed hanno diverse forme di scambio con organizzazioni terroristiche. Negli ultimi anni in Bulgaria c'è stata una lunga serie di attentati, che non hanno avuto carattere né politico né religioso, ma sono stati portati a termine dalla criminalità organizzata. Il problema, è che nulla esclude la possibilità che terrorismo e criminalità possano un giorno collaborare, poiché si parla di soldi, droga e traffico di persone, che interessano sia l'uno che l'altra.
D: Tornando alla situazione irachena, quali sono stati i principali obiettivi dell'invio delle truppe bulgare in Iraq? L'opinione pubblica è d'accordo con questa decisione? E come ha reagito alla morte dei vostri soldati a Kerbala?
R: La Bulgaria ha inviato i suoi soldati senza chiedere nulla ai propri cittadini. La decisione è stata presa dal parlamento, che però ha inviato le truppe perché aiutassero a ricostruire l'Iraq, e non perché prendessero parte alla guerra globale contro il terrorismo. Il problema è che in Iraq la guerra non è mai finita. All'inizio l'opinione pubblica si è rassegnata a veder partire i soldati, ma nel momento in cui ci sono state delle vittime nel nostro contingente, è diventato evidente che la società bulgara era stata ingannata. I bulgari sono stati fortemente contrari alla guerra in Iraq, ed alla politica ufficiale del governo di Simeone di Sassonia-Coburgo, che ha vincolato la Bulgaria con una decisione presa sulla base di presupposti falsi, e cioè che l'Iraq fosse in possesso di armi di distruzione di massa. La Bulgaria, come membro non permanente del consiglio di sicurezza dell'Onu, ha appoggiato gli Usa in ogni loro iniziativa, senza peraltro ricevere precise informazioni sulla reale situazione in Iraq, e limitandosi a fidarsi ciecamente delle affermazioni dell'amministrazione Bush.
D: Ma qual è la posizione dei militari? E vero che ci sono difficoltà a reperire nuovi volontari che sostituiscano le truppe attualmente dispiegate sul terreno?
R: I militari bulgari sono costretti da decisioni squisitamente politiche a portare a termine una missione per la quale non sono preparati. Quando sono arrivate a Kerbala, la scorsa estate, le nostre truppe sono rimaste sorprese dalla decisione degli americani di affidare loro l'amministrazione dell'intera città. Un battaglione di 450 uomini deve mantenere l'ordine in una città di 600.000 abitanti. Kerbala, inoltre, è una delle città sante per gli sciiti, e in occasione di alcune festività religiose si raccolgono nelle sue strade milioni di pellegrini. La rivolta guidata dal leader sciita Moqtada Sadr l'ha infine trasformata in una delle città più pericolose di tutto l'Iraq. Le discrepanze tra il mandato ufficiale della missione e il compito effettivo che i nostri soldati si trovano a dover svolgere ha reso la missione molto poco attraente agli occhi dei militari, e ci sono effettivamente pochi volontari. Il ministero della Difesa ha iniziato a cercare possibili candidati anche attraverso gli uffici di collocamento per disoccupati. Alla metà di aprile il 5% degli effettivi del contingente ha richiesto il ritorno anticipato dall'Iraq, nonostante le sanzioni economiche previste in caso di mancato rispetto degli accordi presi con il ministero. Oggi si cerca di formare il battaglione che in luglio dovrebbe sostituire quello attualmente dispiegato a Kerbala, ma pochi sono disposti a partire e non è detto che ci si riesca.
D: Qual è l'atteggiamento dei politici bulgari riguardo alla prospettiva di una nuova risoluzione dell'Onu sull'Iraq?
R: I politici sentono che l'Iraq sta sprofondando in un vicolo cieco e insistono sempre di più affinché la situazione venga presa in mano dalle organizzazioni internazionali, la Nato, l'Onu o addirittura l'Osce, che al momento è presieduta dal ministro degli esteri bulgaro Salomon Pasi. La speranza è quella di coinvolgere quanti più paesi possibile, così che il peso che oggi grava sul nostro contingente possa essere alleggerito, e l'intervento della Bulgaria trovi una giustificazione. Una nuova risoluzione dell'Onu legittimerebbe la guerra in Iraq, che è iniziata senza il consenso dell'Onu e come evidente violazione del diritto internazionale.
D: A proposito di Nato, dal 29 marzo la Bulgaria è a tutti gli effetti un membro dell'organizzazione nord-atlantica. Alcuni commentatori ritengono che quest'ingresso sia visto dal governo bulgaro soprattutto come un' "assicurazione" contro il ritorno della Russia nella regione balcanica. E' davvero così?
R: In generale si può dire di sì; il principale motivo che ha spinto la Bulgaria a candidarsi come nuovo membro della Nato è infatti la volontà di divenire parte integrante del blocco occidentale, e di mettere definitivamente la parola fine sul suo stato di satellite della Russia. La Bulgaria vuole essere parte del mondo occidentale, e la sua presenza nella Nato è una forma di solidarietà verso questo mondo. Allo stesso momento è risaputo che il popolo bulgaro ha una lunga tradizione di profondi rapporti con la Russia, e quindi la Bulgaria cerca in ogni modo di evitare qualsiasi tipo di scontro con questo paese, e cerca anzi di mantenere con la Russia rapporti amichevoli. Si suppone che, all'interno della Nato, la Bulgaria possa svolgere il ruolo di "ponte" tra la stessa organizzazione e la Russia, e c'è da parte bulgara la ricerca di un nuovo ruolo per il paese che possa portare allo stesso tempo ad una maggiore sicurezza. Forse è stata proprio l'ambizione di entrare a far parte della Nato che ha spinto la Bulgaria alla solidarietà totale mostrata agli Usa, anche per quanto riguarda la questione irachena.
D: In questo contesto, che significato assumono le reiterate richieste del governo bulgaro perché gli Usa portino sul proprio territorio le loro basi militari?
R: Le basi militari non possono proteggere la Bulgaria dal terrorismo. Le proposte che riguardano la realizzazione di basi militari in Bulgaria hanno piuttosto motivazioni di carattere pragmatico. La Bulgaria vuole le basi innanzitutto come garanzia della propria stabilità. La presenza di forze occidentali e soprattutto americane sul nostro territorio significherebbe che queste considerano la Bulgaria come parte della propria sfera di sicurezza. In secondo luogo si ritiene che queste basi possano configurarsi come una forma di investimento, poiché per il loro mantenimento saranno necessari fondi che verrebbero così dirottati verso il nostro paese. In tempi di crisi la Bulgaria guarda anche in questa direzione per risolvere i propri problemi economici.
D: In genere si dice che la Bulgaria guarda agli Stati Uniti per la sicurezza, e all'Unione Europea per i fondi. Quest'immagine è vicina o meno alla realtà?
R: Riguardo alla sicurezza, la Bulgaria guarda tanto agli Usa che all'Ue, visto che, se i suoi sforzi fatti per entrare nell'Unione saranno premiati, entrerà a far parte anche delle strutture della futura difesa comune europea. Questo vale anche per quanto riguarda gli investimenti. Purtroppo, però, al momento gli Usa non sono un investitore importante in Bulgaria, si trovano solo al sesto posto come investitori esteri, e sono molto al di sotto di quelle che potrebbero essere le loro possibilità in questo campo. Questo significa che al grande avvicinamento politico non ha fatto seguito un'integrazione economica proporzionale. Noi, naturalmente, facciamo maggiore affidamento sugli investimenti europei, perché l'integrazione della Bulgaria nelle strutture dell'Ue significherà la trasformazione della sua economia.
D: Esistono in Bulgaria un "partito americano" ed un "partito europeo"?
R: Sulla questione europea in Bulgaria esiste un consenso trasversale; tutti i partiti sono a favore dell'Europa, e nessuno ha proposto strade alternative. Se parliamo della Nato e delle relazioni con gli Usa, possiamo affermare che esistono diverse sfumature all'interno dei vari partiti. La destra tradizionale è più vicina agli Stati Uniti, forse perché i politici di quest'area ricevono diverse forme di finanziamento attraverso varie organizzazioni statunitensi, e quindi si sentono personalmente coinvolti. I partiti di sinistra invece non ricevono tali finanziamenti, e si sentono più vicini all'Europa che, in quanto progetto sociale, risponde meglio alle esigenze politiche di una forza progressista, senza dimenticare che la sinistra bulgara si sente piuttosto vicina anche alla Russia. Ma nonostante le diverse sfumature e qualche tentennamento, anche la sinistra ha appoggiato l'ingresso della Bulgaria nella Nato. Questo significa che le due grandi questioni di politica estera, Unione Europea e Nato, non sono oggetto di particolari polemiche sul piano della dialettica politica interna.
D: A quanto sembra, quindi, in Bulgaria tutti sono a favore l'ingresso del paese nell'Unione Europea. Ci sarà un referendum su questo tema? E se sì, quale sarà il suo significato politico?
R: Probabilmente il referendum si terrà, visto che la stessa cosa è avvenuta in altri paesi che si apprestano ad entrare adesso nell'Ue. Non ci sono dubbi sul risultato di un tale referendum; il popolo bulgaro voterà in massa per l'ingresso nell'Unione. Forse gli unici ad avere delle riserve sono proprio i membri della criminalità organizzata, che dovranno confrontarsi con norme ben più severe, che dovranno essere recepite dalla nostra legislazione per adeguarsi a quella europea. Il problema è come e quando organizzare il referendum. Potrebbe essere indetto parallelamente a consultazioni per eleggere il "grande parlamento" (Veliko Narodno Sabranie), cioè un parlamento allargato che viene convocato quando si deve cambiare la struttura stessa dello stato. Questa soluzione viene discussa al momento, visto che con l'ingresso nell'Ue si dovranno modificare alcune parti molto importanti della nostra costituzione e la Bulgaria dovrà rinunciare a parte della propria sovranità in favore dell'Unione Europea, condizioni considerate sufficienti per la convocazione del "grande parlamento". Se tutto questo avverrà, come dicevo, si potrebbe pensare di indire allo stesso tempo il referendum sull'integrazione.
D: Al momento attuale, però, non è ancora sicuro che la Bulgaria riuscirà ad entrare nell'Ue entro il 2007. Qual è il problema più spinoso ancora da risolvere?
R: La Bulgaria naturalmente spera di entrare nell'Ue nel 2007, anche perché ultimamente ha ricevuto in questo senso segnali positivi dalla stessa Unione. Al momento, nelle trattative con l'Ue sono stati chiusi 26 capitoli su 30; quelli che rimangono sono davvero molto complessi, ma c'è la speranza di poter chiudere la partita entro la fine del 2004. Il vero problema, che rischia di ostacolare la strada della Bulgaria verso l'integrazione europea, è la questione della centrale atomica di Kozloduj. Per la Bulgaria questa centrale è molto importante, visto che produce circa il 40% dell'energia elettrica del paese. La paventata chiusura di metà dei reattori della centrale potrebbe causare una crisi energetica, che andrebbe a pesare ulteriormente su quella economica che già attanaglia il paese. Tutti i rapporti tecnici concordano sul fatto che non c'è pericolo, la centrale di Kozloduj non è del tipo di quella di Cernobyl, ma assomiglia a quelle che, ad esempio, sono attive in Francia. Al momento si aspetta l'arrivo di una commissione tecnica da parte dell'Ue, ma la decisione sulla chiusura dei reattori sarà comunque presa a livello politico, e non scientifico o tecnico. Noi ci aspettiamo che l'Ue, dopo i controlli da parte della propria commissione, prenda la decisione più giusta, anche perché non ha alcun interesse a far entrare al suo interno un paese economicamente prostrato, a cui dovrà poi venire in aiuto in termini ancora più onerosi. L'interesse dell'Unione è accogliere uno stato dall'economia funzionante, che non debba pesare sugli altri membri.
D: Che cosa si aspettano i bulgari dal loro ingresso nell'Unione? Non temono forse che i "vecchi" europei potrebbero trattarli come cittadini di seconda classe?
R: I bulgari non hanno paura dell'Unione Europea, perché pensano che non può esserci niente di peggio dell'attuale situazione economica, e sperano in un qualche miglioramento. Quello che i bulgari si aspettano e sperano di più dall'Ue è l'imposizione di regole trasparenti, visto che in Bulgaria le leggi esistono, ma non vengono rispettate. Quando esiste un controllo internazionale, le cose in Bulgaria vanno decisamente meglio. Ad esempio, finché non fu introdotto il cosiddetto "currency board", che era a tutti gli effetti una forma di controllo del Fondo Monetario Internazionale sulle finanze bulgare, il paese era vittima dell'iper-inflazione, e le paghe si erano ridotte a pochi dollari, e parliamo di appena sette anni fa. I governanti stampavano arbitrariamente moneta per finanziare se stessi e le proprie attività alle spalle dei contribuenti. Da quando esiste un controllo internazionale, l'inflazione in Bulgaria non è più un problema, e abbiamo assistito alla stabilizzazione delle variabili macroeconomiche, risultato di cui si vantano senza ragione particolare due esecutivi, visto che è frutto esclusivamente del controllo esterno. Quindi la popolazione si aspetta che con l'ingresso nell'Ue si avranno risultati positivi anche in altri campi, come nella lotta alla criminalità organizzata.
D: A questo proposito, il noto drammaturgo Krikor Azarjan sostiene provocatoriamente che i bulgari hanno sviluppato nel corso degli ultimi anni uno scetticismo viscerale verso l'idea stessa di autorità. Non è forse possibile che i bulgari mostrino fiducia nelle istituzioni europee perché non si fidano più dei propri governanti?
R: Dalla fine del regime i bulgari hanno provato diverse formule di governo: il governo della sinistra, quello della destra liberale, governi di coalizione, il governo dei bulgari dell' "emigrazione", persone cioè che, pur avendo le proprie radici in Bulgaria, hanno vissuto per buona parte della propria vita all'estero, e che adesso hanno formato il governo con alla propria testa Simeone di Sassonia-Coburgo, egli stesso vissuto oltre confine per cinquant'anni. Sono stati eletti con la speranza che esperti formatisi e vissuti all'estero, ma comunque di origine bulgara, sarebbero riusciti a cavarsela meglio di quanto non facessero coloro che erano sempre rimasti all'interno dei confini del paese, ma anche questo esperimento non ha portato a buoni risultati. Oggi i bulgari vogliono tentare anche l'ultima strada, affidare cioè maggior potere alle organizzazioni internazionali, affinché tentino di portare il paese in acque migliori.
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