Il libro dello scrittore bulgaro Georgi Danailov accompagna il lettore alla scoperta di un angolo remoto dei Balcani: un piccolo villaggio sui monti Rodopi, nella Bulgaria meridionale. Una recensione. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Si viene così a conoscenza di un mondo affascinante, divertente, talvolta tragico, farsesco, grottesco, onirico, come soltanto certi luoghi dei Balcani riescono a essere. Più che un vero e proprio romanzo, si tratta di una serie di racconti di carattere autobiografico, ambientati "in quel villaggio" (nella realtà Kovačevica, nella regione sud-occidentale della Bulgaria, tra Grecia e Macedonia).
La narrazione prende il via con la scelta del protagonista/Danailov, abitante della capitale bulgara Sofia, di comprare una casa in un villaggio sui Rodopi dove trascorrere gran parte del suo tempo libero e non solo; ebbene, quel villaggio e quella casa, con tutte le loro storie, leggende, costituiscono l’oggetto principale dell’ironico e sentimentale viaggio narrativo di Danailov. Il lettore è accompagnato alla scoperta di un mondo antico, tradizionale, fatto di semplicità, di calma e di lentezza. Ogni tanto, qui e lì, si percepisce in lontananza la presenza del regime comunista bulgaro. Tuttavia sorprende come, in quel villaggio di montagna, il socialismo reale non sia riuscito ad arrivare, come lassù la vita scorra tutto sommato serena, scandita da ritmi e usanze lontane dalla fredda, moderna e razionale monotonia imposta dal comunismo, soprattutto nei centri urbani che dovevano rispecchiare la nuova modernità socialista.
Dunque la fuga di Gošo, il protagonista, dalla città esprime anche la volontà di sottrarsi alla morsa imposta dal comunismo alla Bulgaria. Vi è, in quella fuga, un voler vivere nello spirito più autentico della cultura bulgara e balcanica, fatta di rapporti umani veri, di coesistenza secolare (a volte pacifica, a volte un po’ meno) fra culture e religioni differenti; ampio spazio viene dedicato a vicende e riflessioni che vedono protagonisti i pomatsi, ovvero i bulgari di religione islamica, elemento importante della composizione etnica della regione rodopica. Il protagonista riscopre nel villaggio gli antichi mestieri legati ai boschi e al lavoro dei campi, il rapporto primordiale degli umani con gli animali, siano essi domestici o selvatici, protagonisti altrettanto importanti del composito universo che popola queste pagine.
Si riscopre, soprattutto, il piacere dei rapporti umani all’insegna della semplicità, dell’autenticità e del rispetto reciproco, vissuti spesso nell’ambito di vivaci conversazioni nella piccola osteria del paese innaffiate da abbondante rakija. È questo un luogo dove una comunità si ritrova, al di là delle differenze sociali, dove si va non per bere alcolici ma per il piacere di stare insieme, di conoscersi e di rispettarsi. La piccola osteria bulgara, spesso presente nel nostalgico racconto di Danailov, è un luogo di autentica uguaglianza che il regime comunista ha cancellato, imponendone la chiusura, favorendo così, secondo l’opinione dell’autore, l’insorgere dell’alcolismo domestico: anziché prendersi una sbornia alla taverna, i bulgari se la prendevano in compagnia del proprio televisore nella solitudine domestica.
Nel racconto la natura entra prepotentemente nella vita delle persone che con essa sanno però vivere in armonia. I boschi, la vegetazione, la fauna, i profumi e i sapori di quell’angolo di mondo sono narrati con abilità dall’autore che ci invita così a interrogarci sul senso della modernità e sull’inutilità della corsa affannosa al consumo. Memorabile una delle prime scene del libro in cui, con una particolare flemma, uno dei personaggi del racconto frigge spicchi di patate (per la cui produzione il villaggio era famoso) al fine di rifocillare quei cittadini di Sofia appena giunti in paese per cercare una casa da comperare. Ci spiega allora Danailov che l’avere fretta, da quelle parti, acquisiva un significato diverso rispetto alla città. Le cose, infatti, avevano un loro ordine intrinseco da rispettare, a prescindere da quanto tempo ciò richiedesse; soltanto dopo era possibile permettersi il lusso di avere fretta.
Con "La casa alla fine del mondo" si parte da un remoto angolo delle montagne bulgare per arrivare a riflettere su tematiche di portata universale, sul rapporto dell’uomo con la natura e con i suoi simili, sui valori della vita e sul significato stesso dell’esistenza umana.
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