Milana allevava pulcini. Poi cominciarono a bombardare il villaggio dove viveva e fu costretta a fuggire dalla Cecenia in Inguscezia. Ma da vera “businesswoman”, come ama definirsi, non si è fatta abbattere dalle difficoltà
Milana era un'imprenditrice promettente. Alla domanda “che lavoro fai?” rispondeva, non senza una dose di autoironia, “la businesswoman”.
Il suo primo progetto imprenditoriale era stato un allevamento di polli. Nel breve periodo fra una guerra e l'altra, aveva preso in affitto una piccola casa bombardata e vi aveva costruito accanto un fienile e un deposito. Di giorno lavorava, di notte costruiva con le sue mani l'impianto elettrico della “fattoria”: nel suo budget non c'erano abbastanza soldi per questa voce di spesa e le toccava occuparsene lei stessa. “Era tutto come una vera fattoria” ricorda Milana, “Avevo messo una lampada sopra ogni gabbia, perché i pulcini potessero stare al caldo.”
Di pulcini Milana ne aveva quaranta: rossi, neri, e persino piccole quaglie cinesi color argento. “I pulcini si contano d'autunno”, recita un proverbio russo che Milana conosceva dall'infanzia. Difficilmente avrebbe potuto immaginare che, un giorno, queste parole avrebbero assunto un significato così letterale nella sua vita.
Per comprare a questa multicolore schiera di pulcini il mangime per l'autunno, Milana aveva venduto la macchina. Il mangime l'aveva comprato, ma in autunno era cominciata la seconda guerra cecena. Era il 1999. Cominciarono a bombardare il villaggio dove si trovava l'allevamento e Milana, insieme ai suoi pulcini, fuggì nella vicina Inguscezia – così come decine di migliaia di persone che scappavano dai bombardamenti. Anche loro si portarono animali, elettrodomestici e persino pulcini, anche se non in quantità elevate come Milana. Il presidente dell'Inguscezia fece un discorso in televisione invitando gli abitanti della repubblica a non comprare a poco prezzo dai profughi la robaccia salvata dalle bombe. E gli ingusci non comprarono i bei pulcini di Milana. Se li presero quasi in regalo, per dieci-quindici rubli l'uno.
Ma Milana non sarebbe stata una vera “businesswoman” cecena se si fosse lasciata abbattere dagli insuccessi. Finita la svendita degli ultimi pulcini, si mise subito al lavoro sul progetto successivo. In quel momento in Inguscezia si trovavano circa duecentomila profughi dalla Cecenia. La polizia migratoria russa distribuiva aiuti umanitari: carne e verdure in scatola, latte condensato, pasta e pacchi di farina provenienti dalla città osseta di Mozdok. Lo scatolame era scaduto negli anni ottanta, mentre pasta e farina, giaciute per molti anni nelle scorte di guerra, erano infestate di vermi che brulicavano anche sopra i pacchi chiusi. Milana raccolse questi prodotti rancidi, che nemmeno i bambini ceceni senza niente di cui nutrirsi riuscivano a mangiare per paura dei vermi, pagò una piccola somma ai profughi per i prodotti umanitari non commestibili che avrebbero buttato nella spazzatura, e li riportò a Mozdok. Lì li rivendette a prezzi ragionevoli agli osseti, che con gli aiuti umanitari nutrirono gli animali domestici.
Le cose non andavano male. Milana si comprò persino una BMW usata. Dopo circa un mese la macchina, praticamente non ancora toccata, fu rubata appena fuori dalla porta della casetta che Milana aveva preso in affitto in Inguscezia. Quella sera Milana stava guardando la finale dei mondiali di calcio. Tifava contemporaneamente per il Brasile e la Germania, ma un po' di più per la Germania di Oliver Kahn. “Il calcio tedesco e le macchine tedesche sono il meglio che ci sia al mondo”, Milana ne era sicura, anche se quella sera non ebbe molta fortuna né con l'uno, né con le altre. Finita la partita, quando Milana uscì dalla porta provata dalle emozioni calcistiche, la macchina era sparita. Dopo due settimane di investigazione per conto proprio, Milana scoprì chi aveva rubato la sua BMW. “So perfettamente chi è coinvolto”, dice. “E loro sanno che io so”. Se qualcuno le chiedeva perché non volesse rivolgersi alla polizia per trovare i colpevoli, Milana rideva amaramente: “Ma la polizia sono loro”.
Nel frattempo, le autorità russe annunciarono che in Cecenia la vita era tornata pacifica, che non c'era più necessità di stare nei campi profughi in Inguscezia e che tutti quelli che avevano lasciato la Cecenia dovevano tornare indietro. Qualcuno tornò spontaneamente, altri furono deportati con la forza dalle tendopoli. Milana tornò di propria volontà. “Non ce la facevo più a vedere tutti i giorni gli uomini che mi avevano rubato la macchina. Avevo lavorato così tanto per comprarmela. E questi arrivano e se la portano via. Solo perché sono una profuga, senza alcun diritto. Solo perché sono una donna”.
Мilana tornò in Cecenia e ben presto si mise a lavorare al suo terzo progetto imprenditoriale. In tempo di guerra non sono solo le persone a soffrire, ma anche i loro beni. A Milana bastò qualche passeggiata per Grozny per capire quali erano i beni più richiesti nella città che riprendeva vita dopo i lunghi anni di guerra. Preso in prestito del denaro da conoscenti, partì per un tour di shopping negli Emirati Arabi. Televisori, frigoriferi, impianti stereo si rivelarono le merci più appetite nella repubblica provata dalla guerra. Milana importò televisori molto economici e televisori molto costosi. Piccoli televisori in bianco e nero, che funzionavano a batterie, ma anche apparecchi enormi e con immensi schermi al plasma. Gli uni e gli altri trovarono acquirenti.
A dir la verità, il business degli elettrodomestici si rivelò per Milana il progetto di maggiore successo. Nel giro di due anni di acquisti negli Emirati Arabi, guadagnò abbastanza da comprare un piccolo appartamento a Grozny e un'altra macchina usata. Ma soprattutto, riuscì a investire la maggior parte del denaro guadagnato nel suo quarto e ultimo progetto imprenditoriale. Le proprietà tra le rovine della capitale cecena non costavano molto e non c'era quasi nessuno disposto a comprarle, nemmeno a poco prezzo. Milana acquistò il piano terra di un supermercato distrutto nel centro della città. Una volta quello era stato il supermercato più grande del Caucaso settentrionale e Milana, saggiamente, pensava che con il tempo, quando la città si fosse ripresa, ogni metro di quel quartiere sarebbe costato montagne di soldi. Milana non sbagliava i conti. L'errore fu un altro. Tre anni più tardi, quando iniziarono a ricostruire la città, cominciò la redistribuzione delle proprietà, e portarono via a Milana il piano terra del supermercato in cui aveva investito quasi tutti i soldi guadagnati con i televisori.
Ora Milana fa la ragioniera in un ufficio dell'amministrazione cecena. “Tutto sommato rimpiango di aver lasciato il business dei televisori”, dice, “con quello mi era andata bene”. Ma la “businesswoman” cecena per il momento non ha intenzione di tornare all'imprenditoria. “Aspetterò un po' e mi inventerò qualcosa”, dice. “Ma non qui, non in Cecenia...”.
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