Oksana Chelysheva

Oksana Chelysheva (foto di Franco Visintainer )

La società russa oggi teme i ceceni, proprio come li temeva nel 1999 quando è cominciata la seconda guerra cecena. L'inconsistenza delle politiche del Cremlino nel Caucaso, il “nichilismo della legalità” che domina nella regione, il ruolo della donna in Cecenia oggi in quest'intervista a Oksana Chelysheva

06/04/2011 -  Giorgio Comai

Oksana Chelysheva è membro della “Società per l'Amicizia Russo-Cecena”, una ONG ufficialmente registrata in Finlandia dopo essere stata chiusa nel 2007 da un ordine giudiziario (in quanto organizzazione “estremista”), nonostante le proteste di organizzazioni quali Amnesty International e Human Rights Watch. Nel 2006 Oksana Chelysheva ha ricevuto il premio di Amnesty International dedicato a giornalisti che si occupano di diritti umani in situazioni di rischio (“Amnesty's Special Award for Human Rights Journalism Under Threat”).

 

Parlando con persone che abitano a Mosca, si ha a volte l'impressione che la Cecenia sia sì parte della Russia, ma allo stesso tempo un Paese estero. Si può dire che in un certo senso è davvero così?

Una simile idea della Cecenia si è rafforzata solo in questi ultimi anni. Quando la guerra è iniziata nel 1994, ha avuto inizio con il motto “salviamo l'unità della Federazione Russa”. Naturalmente c'erano molti altri motivi per la guerra, ma in quel periodo probabilmente la maggior parte degli abitanti della Russia riteneva effettivamente che la Cecenia fosse parte costituente del Paese.

Negli anni che sono seguiti, la gente ha sentito sempre di più che la Cecenia in un certo senso ne stava uscendo, nonostante il fatto che chi governa la Cecenia sia stato messo lì dal Cremlino e che la Cecenia sia del tutto dipendente dal governo di Mosca. Ecco, nonostante questo, in Russia si ha la sensazione che la Cecenia se ne sia andata. Ma sottolineo che questa è una sensazione nuova, dovuta anche alla situazione che si ha oggi in Cecenia.

Si ha l'impressione che la Cecenia sia come una palude dove si buttano soldi federali, dove i rappresentanti del governo viaggiano in limousine, fanno sparatorie in centro a Mosca, e si arricchiscono facendo racket. Il problema è che il comportamento irresponsabile che hanno i rappresentanti del governo di Grozny influenza l'opinione che i russi hanno dell'intero popolo ceceno. In sostanza, il rapporto che hanno i russi oggi nei confronti dei ceceni è un sentimento di paura, simile a quello che c'era nel 1999 dopo le esplosioni a Mosca [una serie di attentati imputati ai ribelli ceceni che hanno colpito edifici residenziali a Mosca e in altre città nel settembre del 1999, poco dopo l'inizio della campagna militare che ha dato inizio alla seconda guerra cecena, ndr].

Ed era questa la missione della vostra organizzazione? Contrastare questo sentimento di paura nei confronti dei ceceni?

L'organizzazione è nata nel 1999 proprio con questa missione, per contrastare la propaganda diffusa secondo la quale tutti i ceceni erano potenziali terroristi. È nata l'idea di unire in un lavoro comune russi e ceceni, e naturalmente anche persone di altre nazionalità. La nostra missione allora era quella di ottenere informazione diretta ed indipendente dalla Cecenia. Considerando l'esperienza avuta nel corso del prima guerra cecena, il governo di Mosca ha infatti fatto di tutto per accertarsi che ogni canale informativo indipendente fosse chiuso. Allo stesso modo, hanno anche chiuso ogni spazio per interventi anti-militaristi.

Nel 2000 eravamo già registrati come organizzazione a Nižnyj Novgorod, con sezioni locali in Inguscezia e Cecenia. E così abbiamo lavorato fino al 2007 quando la nostra organizzazione è stata chiusa, in seguito a una campagna giudiziaria e informativa contro di noi partita già nel 2004, quando dopo l'attentato alla scuola di Beslan è stato pubblicato sulla Komsomol'skaja Pravda [il giornale attualmente più venduto in Russia, ndr] un articolo dal titolo “cosa fare con gli amici russi dei ceceni?”, in cui l'autore suggeriva che venissimo mandati in Siberia a lavorare la terra assieme ai nostri amici ceceni.

Ora siamo registrati come ONG in Finlandia, e molte persone che lavoravano con noi continuano a collaborare con noi. Ma naturalmente ora è molto più difficile operare attivamente.

Per fare in modo che migliorino i rapporti tra russi e persone provenienti dal Caucaso, ceceni inclusi, il governo di Mosca ha organizzato campi giovanili come Seliger e Mašuk dove giovani provenienti da varie regioni della Russia hanno occasione di incontrarsi. Le sembra un approccio che può portare dei frutti?

Non mi sentirei neppure di chiamarlo un “approccio”... questi campi giovanili pro-cremlino vengono realizzati con un solo preciso scopo: reclutare giovani affinché siano al servizio del Cremlino.

Inoltre, la propaganda che ha luogo in questi campi non fa niente per risolvere i problemi che stanno alla base della questione del Caucaso del nord. Si tratta in primo luogo di una sorta di “nichilismo della legalità” che continua a prevalere nella regione, nonostante Medvedev abbia detto belle parole sull'importanza di combattere questa tendenza quando è giunto al potere nel 2008.

La mancanza di legge e l'impunità delle forze dell'ordine che compiono torture, rapiscono persone, puniscono e uccidono persone senza svolgere alcun processo. È proprio questa situazione che genera violenza nel Caucaso e nella società russa più in generale.

Oksana Chelysheva

Oksana Chelysheva (foto di Franco Visintainer)

Campi estivi come questi non sono neppure una copertura per la totale inazione del governo rispetto a un tema fondamentale come quello della legalità. Quando dicono di voler cambiare le cose in contesti di questo tipo... mi sembra che non sia altro che una presa in giro.

Nelle delegazioni provenienti dal Caucaso che partecipano a campi giovanili come quelli di cui abbiamo appena parlato si nota una scarsa partecipazione femminile. Cosa ci dice questo rispetto al ruolo della donna in Caucaso anche nelle nuove generazioni? Tra l'altro, proprio dalla Cecenia si sentono storie preoccupanti riguardo all'imposizione forzata di costumi cosiddetti “tradizionali” per le donne...

Se penso a quando andavo regolarmente in Cecenia, ad esempio nel 2003, mi ricordo una situazione in cui le donne erano libere, in cui erano rispettate. Nella Cecenia di Kadyrov si sta cercando di rendere la donna qualcosa di simile a un oggetto che deve comportarsi ed apparire in modo “adeguato”, con un ruolo ben definito e limitato... e questo è spaventoso.

Al tempo della guerra in Cecenia le donne spesso difendevano gli uomini, perché gli uomini non potevano uscire di casa la sera, oppure la donna doveva uscire per prima. Ma ora, ad esempio, i giovani possono gettare senza problemi vernice addosso alle ragazze che non indossano il velo. Mi sembra che si stia perdendo il senso di rispetto nei confronti della donna in quanto essere umano. Anche questa è una tendenza molto rischiosa che sta avvenendo sotto il governo di Kadyrov.


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