In vista del prossimo meeting di Ginevra fra il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, il presidente cipriota Demetris Christofias e il leader turco-cipriota Derviş Eroğlu, procedono gli incontri preparatori fra le due delegazioni dell'isola. Non sembrano probabili tuttavia improvvise convergenze fra le due parti
In un articolo pubblicato alcuni mesi fa dal Cyprus Mail (“A Secretary-General who does not smile anymore”, 19 Dicembre 2010), Nicos Rolandis, ex-ministro della Repubblica di Cipro, ricorda una frase pronunciata nel 1983 da Hugo Gobbi, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu: “Il dramma di Cipro è che non c’è alcun dramma”. Gobbi alludeva amaramente al modo in cui condizioni di vita relativamente confortevoli e l’assenza di scontri interetnici dopo il 1974 sembravano generare al tempo nella maggioranza dei greco e turco-ciprioti una sostanziale indifferenza verso la riunificazione dell’isola. Quasi trent’anni dopo quelle parole, il disincanto sembra essere ancora l’atteggiamento predominante fra quanti seguono la questione cipriota con animo imparziale.
La fase negoziale dopo il 2008
Negli ultimi rapporti al Consiglio di Sicurezza Ban Ki Moon, pur riconoscendo alcuni progressi finora compiuti nei negoziati, sottolinea la scarsa produttività dei numerosi incontri fra i presidenti ciprioti rispetto ad alcuni temi fondamentali per il raggiungimento di un accordo. L’attuale fase negoziale ha avuto inizio nel settembre 2008 ed è caratterizzata da alcune novità rispetto al passato: Dimitris Christofias e Mehmet Ali Talat (predecessore dell’attuale presidente Derviş Eroğlu) hanno deciso di avviare negoziati in cui l’Onu avrebbe svolto un ruolo di sostegno e monitoraggio ma non propulsivo. I due leader hanno quindi assunto la responsabilità di eventuali successi o fallimenti. La delegazione greco-cipriota ha inoltre richiesto di evitare “cornici temporali artificiali e asfissianti”, nella persuasione che il fallimento del Piano Annan nel 2004 sia derivato anche dall’imposizione dall’esterno di scadenze troppo serrate e quindi dall’impossibilità di preparare adeguatamente al referendum i cittadini greco e turco-ciprioti.
Sono stati creati quindi sei gruppi di lavoro (governance, affari europei, sicurezza e garanti esterni, territorio, proprietà, questioni economiche) e sette commissioni tecniche per la gestione di problemi legati alla vita quotidiana e la promozione di un clima di fiducia tra le due comunità. Si sono registrati progressi nella discussione degli affari europei e dell’economia; recentemente è inoltre emersa la possibilità di un compromesso nel campo della governance. Rispetto al tema della sicurezza e al ruolo di garanti che paesi terzi potrebbero svolgere nei confronti di una Cipro riunificata, la distanza fra greco e turco-ciprioti rimane invece inalterata. Appare lontano anche il raggiungimento di un accordo sul territorio e la gestione delle proprietà abbandonate a causa degli scontri interetnici degli anni ‘60 e ‘70. Quest’ultimo è decisamente il problema più complesso: quasi tre anni dopo l’inizio dei nuovi negoziati le richieste delle due delegazioni restano inconciliabili. Secondo la delegazione greco-cipriota ai proprietari di terreni e/o case nella parte nord dell’isola dovrà essere garantito il diritto di decidere fra la restituzione, la compensazione o lo scambio; la controparte turco-ciprota osserva che riconoscere il diritto alla restituzione a tutti i greco-ciprioti (proprietari prima del 1974 di una quota fra il 70 e l’80% di terreni e case nella parte settentrionale di Cipro) significherebbe annullare il principio della bizonalità, parametro basilare delle risoluzioni Onu e uno dei punti di partenza dei negoziati. Secondo i turco-ciprioti solo un numero limitato di casi dovrebbe essere risolto attraverso la restituzione, mentre ai rimanenti potrebbero essere applicati la compensazione in denaro o lo scambio di proprietà. I greco-ciprioti considerano inaccettabile tale proposta.
In dubbio la presenza Onu a Cipro
Sembra improbabile che dall’incontro di Ginevra del 7 luglio fra il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon, il presidente cipriota, Demetris Christofias, e il leader turco-cipriota, Derviş Eroğlu, emergano novità significative. Come ripetuto negli ultimi anni dai mediatori Onu, la “window of opportunity” non rimarrà aperta per sempre. Ban Ki Moon e Alexander Downer, suo consigliere speciale, hanno ribadito in più occasioni che le condizioni per la presenza dell’Onu a Cipro dovranno essere riesaminate alla luce dell’esito dell’attuale fase negoziale: le loro parole non appaiono più un ammonimento rituale dalle conseguenze poco realistiche, ma un avvertimento che nessuno può permettersi di trascurare. Dopo 47 anni di tentativi infruttuosi, il segretario generale potrebbe davvero giudicare la permanenza dell’UNFICYP nell’isola superflua, o addirittura controproducente.
Il voto in Turchia visto da Cipro
Negli ultimi mesi i negoziati hanno subito un prevedibile rallentamento anche per l’effetto congiunto delle elezioni parlamentari nella Repubblica di Cipro (22 maggio) e in Turchia (12 giugno). Come noto, le campagne elettorali non favoriscono l’apertura al compromesso.
Entrambe le consultazioni hanno prodotto i risultati attesi. Nel sud dell’isola il DISY (34.28%, centro-destra) ha sostituito l’AKEL (32.67%, centro-sinistra) nel ruolo di primo partito. Inalterata la posizione del DIKO (15.76%, centro), terza forza del panorama politico greco-cipriota.
I ciprioti hanno seguito con attenzione la riconferma dell’AKP con la maggioranza assoluta dei voti. Temi centrali per il partito di Erdoğan nella consultazione del 2007, quali l’ingresso nell’Unione europea e la soluzione della questione cipriota, sono rimasti marginali nell’ultima campagna elettorale; l’AKP ha infatti deciso di giocare la carta della retorica nazionalista. L’ottimo andamento dell’economia, il nuovo prestigio conseguito in politica estera e la percezione dell’uso di “doppi standard” da parte dell’UE (o di alcuni suoi membri) nei confronti di Ankara sembrano aver indotto il Partito della Giustizia e dello Sviluppo a riconsiderare la propria strategia nei confronti di Bruxelles e, conseguentemente, di Cipro.
Alcuni analisti stranieri ritengono che Erdoğan abbia tutto l’interesse a ristabilire un dialogo con l’Europa aprendo porti e aereoporti turchi a navi e aerei della Repubblica di Cipro. Una quota significativa degli investimenti stranieri confluiti in Turchia negli ultimi anni, notano tali osservatori, deriva dalla prospettiva dell’ ingresso in Europa: se questa possibilità sfumasse definitivamente anche il flusso di capitali verrebbe meno.
Politologi e opinionisti turco-ciprioti sembrano tuttavia meno convinti della dipendenza di Ankara da Bruxelles. Alcuni di essi ritengono che Erdoğan sarebbe pronto a mostrare flessibilità nei confronti dei greco-ciprioti, rinnovando lo spirito del 2003/2004, solo in cambio di un’adeguata contropartita; in caso contrario non accetterebbe mai di rischiare l’impopolarità “svendendo” la comunità turco-cipriota. Inoltre gli interessi economici di Ankara non sono esclusivamente legati ai capitali europei: la crescita economica dell’ultimo decennio è stata effettivamente innescata da investimenti UE, ma una larga quota dell’economia turca si basa sugli scambi con i paesi del Medio Oriente, la Cina e la Russia, principale partner commerciale di Ankara. Infine, rispetto alle riforme istituzionali e al processo di democratizzazione interna, l’AKP non ha più bisogno d’appellarsi alla legittimazione esterna di Bruxelles per resistere alle pressioni dell’establishment kemalista, potendo contare sul largo consenso espresso dagli elettori per la terza volta consecutiva.
Su un punto tuttavia gli esperti turco-ciprioti, turchi e stranieri sembrano convergere: soltanto Erdoğan può creare una svolta nei negoziati per la soluzione della questione cipriota. Restano da valutare il futuro andamento dei rapporti fra Bruxelles e Ankara e gli incentivi che l’Unione Europea saprà offrire all’AKP per lavorare alla riunificazione dell’isola.
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