Il 21 aprile, quando il Segretario generale ONU Ban Ki-Moon ha annunciato che non si terrà l'attesa conferenza internazionale, sono tramontate le ultime speranze di vedere Cipro diventare presidente di turno dell'UE da paese riunificato. Di certo non una sorpresa, anzi, le speranze di evoluzioni nei negoziati in questo momento sono ridotte al lumicino. Un reportage dall'isola
La primavera è la stagione delle speranza. Non a Cipro, però. I campi della larga piana ondulata intorno a Nicosia esplodono di colori e di vita nuova, ma dalle stanze della diplomazia il segnale che arriva è chiaro: per l'isola non è ancora arrivato il tempo della riunificazione. Il 21 aprile il Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-Moon, ha messo fine alle ultime illusioni di superare l'impasse prima che la Repubblica di Cipro diventi ufficialmente presidente di turno dell'UE, il prossimo 1 luglio.
Dopo aver incontrato il suo consigliere speciale Alexandrer Downer, Ki-Moon ha annunciato che la conferenza internazionale che doveva rianimare le speranze di compromesso tra greco-ciprioti e turco-ciprioti non si terrà. Troppo distanti le posizioni delle due comunità, separate in casa dall'intervento armato dell'esercito di Ankara del 1974, (scatenato dopo un colpo di stato voluto dai colonnelli greci nel tentativo di unificare l'isola alla Grecia) perché si potesse sperare in un esito positivo.
Si allunga così la lunga lista delle occasioni perdute. Nessuno sembra veramente interessato a dare nuova spinta ai negoziati. Non la parte greca, che si identifica nella internazionalmente riconosciuta e legittima Repubblica di Cipro, né quella turca, che dal 1983 ha dichiarato la propria indipendenza con la creazione della Repubblica turca di Cipro nord, riconosciuta soltanto da Ankara, che qui staziona alcune decine di migliaia di truppe e supporta economicamente il governo.
E' evidente che il fallimento del piano Annan del 2004, che doveva coronare il sogno di un paese unito alla data dell'ingresso nell'UE (in quella occasione i turco-ciprioti votarono sì al referendum, bocciato invece dalla grande maggioranza dei greco-ciprioti), fa ancora sentire il proprio nefasto riflusso.
I greco-ciprioti sembrano essersi trincerati dietro alla posizione di forza che deriva dalla membership europea. “Nel nostro semestre di presidenza i colloqui di pace potrebbero continuare”, ha affermato il ministro degli Esteri cipriota Erato Kozakou Markoullis subito dopo l'annuncio di Ban Ki-Moon. Nessuno, però, sembra crederci troppo. Nel febbraio 2013 ci saranno poi le elezioni presidenziali, e l'attuale capo dello stato, il comunista Demetris Christofias, ritenuto uomo del dialogo, appare in seria difficoltà. Dalle urne potrebbe quindi emergere una leadership meno pronta al compromesso.
Anche i turco-ciprioti che, stretti tra l'abbraccio protettivo ma soffocante di Ankara e l'ostracismo sul piano internazionale, negli ultimi anni hanno dimostrato maggiore interesse a superare lo stallo, sono tornati su posizioni meno concilianti. Tanto che dal 2010, dopo aver sconfitto il moderato Mehmet Ali Talat, a guidare l'autoproclamata Repubblica turca di Cipro nord è Derviş Eroğlu, leader dalle posizioni oltranziste e storicamente contrario all'unica formula di compromesso ritenuta percorribile, quella di una federazione “bi-zonale” e “bi-comunitaria”.
Anche tra i giovani, pochi sembrano credere ad una svolta. “Ci siamo abituati a vivere fianco a fianco, ma senza incontrarci, e forse è tardi per tornare indietro”, racconta Ohsan, giornalista di una tv locale turco-cipriota. “Si fa un gran parlare di accordi, ma ormai è chiaro che nessuno ha volontà politica o il coraggio di concretizzarli”, gli fa eco Kristina, studentessa di scienze politiche, in un bar della parte greca di Nicosia, subito dopo la linea verde che taglia e divide la città.
“Siamo sempre aperti ad una soluzione pacifica, ma se qualcuno vuole che Cipro resti divisa, questo è Christofias”, ci dice convinto nel suo ufficio nella zona nord di Nicosia, dominato da un'enorme ritratto di Atatürk, İrsen Küçük primo ministro di Cipro nord. A dimostrare la malafede dei greco-ciprioti, secondo Küçük, sarebbe l'accordo quasi raggiunto da Nicosia con Tel Aviv per lo sfruttamento delle riserve di gas recentemente scoperte nei fondali marini tra Cipro ed Israele. Nelle scorse settimane, il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman ha effettuato una lunga visita a Nicosia per definire gli ultimi dettagli. I negoziati bilaterali, ha detto poi Lieberman, sono “nella loro fase conclusiva, e dovremmo arrivare a breve alla firma”.
“Quando una parte agisce in modo unilaterale, all'altra non resta che adeguarsi”, prosegue Küçük, annunciando che “Cipro nord ha deciso di dare inizio a proprie trivellazioni, che saranno condotte dalla TPAO, la compagnia petrolifera di stato turca”. Il gas, almeno sulla carta, potrebbe rivelarsi un elemento importante per avvicinare i contendenti. Dal punto di vista economico, la scelta più razionale è quella di convogliare gli idrocarburi verso la Turchia, e da qui trasportarli verso i mercati dell'UE attraverso reti di distribuzione già funzionanti.
Nelle situazioni di conflitto, però, le opportunità si trasformano spesso in nuovi elementi di tensione. Il premier turco Recep Tayyip Erdoğan non ha nascosto la propria ferma contrarietà alle trivellazioni programmate da un ex-alleato (Israele) e da un vecchio avversario (Cipro). Prima della riunificazione dell'isola, ha dichiarato bellicoso Erdoğan, ogni sfruttamento delle risorse nascoste sotto i fondali sarebbe “una follia”. Sono seguite alcune dimostrazioni di forza nel Mediterraneo orientale, fino alla recente decisione di dare vita a trivellazioni parallele.
La posizione della Turchia, potenza emergente nella regione, e l'andamento dei suoi rapporti con l'Unione europea restano di importanza fondamentale per Cipro. Se nel 2004 Ankara, speranzosa di una reale prospettiva di piena membership nell'UE ha spinto perché i turco-ciprioti votassero “sì” al piano Annan, oggi lo stallo nei rapporti con Bruxelles ha gradualmente spento gli entusiasmi.
Nelle scorse settimane, prima sulla stampa turca, e poi su quella cipriota, si sono rincorse le voci di un possibile “piano B”, che la Turchia avrebbe intenzione di promuovere nel caso in cui i negoziati dovessero definitivamente arenarsi. Il “piano” prevederebbe una ridenominazione dell'entità turca in “Stato turco-cipriota”, e alla successiva ricerca di riconoscimenti internazionali sul modello di quanto accaduto per il Kosovo. “Non sappiamo nulla del piano”, ci dice Aytuğ Plümer, vice ministro degli Esteri di Cipro nord. Che poi, però, aggiunge: “non possiamo aspettare per sempre un accordo che non arriva”.
La questione è ulteriormente intricata dal fatto che molti dei capitoli negoziali del possibile (ma sempre meno probabile) ingresso della Turchia nel club europeo sono bloccati proprio a causa della ferma opposizione del governo cipriota. Non sorprende, quindi, che Ankara abbia annunciato il congelamento dei rapporti con l'UE durante il semestre di presidenza di Nicosia.
Sulla questione l'Europa, resa fragile e autoreferenziale dalla crisi economica, continua a mandare messaggi altalenanti, senza avere il coraggio di mettere definitivamente alla porta la Turchia, né di accoglierla tra i suoi membri. Dopo l'ingresso di Cipro nell'UE la posizione di Bruxelles quale facilitatore del dialogo tra le parti ne è uscita indebolita. L'incontro con l'italiana Alessandra Viezzer, responsabile della Commissione europea per i progetti di supporto a Cipro nord, lascia l'impressione di elaborati e difficili equilibrismi per mantenere aperto un canale di comunicazione coi turco-ciprioti, nel costante timore di innervosire il governo cipriota.
Se al quadro complessivo si aggiunge l'aggravarsi della crisi siriana, che nel contesto regionale assorbe sempre di più le attenzioni e le energie negoziali dell'ONU e della comunità internazionale, la “questione Cipro” sembra davvero destinata al congelatore. Chissà per quante primavere ancora.
Questo reportage è stato realizzato all'interno di una visita a Cipro organizzata dall'Associazione dei Giornalisti Europei (Association of European Journalists - AEJ)
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