Sulla carta le donne croate hanno il diritto all’aborto. Nella pratica è diventato molto più difficile. Il 59% dei ginecologi rifiuta di praticare l’interruzione di gravidanza costringendo le donne a recarsi nei paesi confinanti, Slovenia e Bosnia Erzegovina
(Originariamente pubblicato da Balkan Insight )
Mirela Čavajda era lontana dal diventare un personaggio pubblico quando, più di un anno fa, raccontò di come le fu negato l’accesso all’aborto.
Alla fine di maggio, tuttavia, l’insegnante di yoga di Zagabria è stata premiata con il titolo “Donna dell’Anno ” dal Consiglio comunale della capitale croata, in un caso che ha infiammato il recente dibattito sul diritto all’aborto all’interno del paese a maggioranza cattolica, un diritto sancito dalla legge ma troppo spesso negato nella pratica.
Per la legge croata, l’aborto è consentito fino alla decima settimana di gravidanza, ma in realtà accedere alla procedura risulta difficile all’interno di un territorio in cui: il 59% dei ginecologi rifiuta di praticare l’aborto, i costi economici possono essere considerevoli e la mentalità conservatrice, specialmente nelle piccole città, porta al rischio di stigmatizzazione delle donne.
Il problema è diventato così grave che alcune donne, per poter accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, sono state costrette a recarsi nei paesi confinanti, Slovenia e Bosnia Erzegovina.
Alcuni medici e attivisti per i diritti delle donne temono che la Croazia cominci a seguire la strada della Polonia, dove l’aborto è vietato per legge tranne nei casi in cui la vita o la salute della donna siano in pericolo o se la gravidanza è conseguente a uno stupro o un incesto. E persino in queste circostanze, restano degli ostacoli considerevoli.
“Sto combattendo con tutto il mio cuore per non farci diventare come la Polonia, dove le donne devono andare nelle cliniche tedesche oltre il confine” ha detto la Dr. Jasenka Grujić, ginecologa specializzata. “Questo sta succedendo lentamente anche a noi.”
Riconoscimento della lotta delle donne
La trentanovenne Čavajda è stata respinta da quattro ospedali di Zagabria quando ha cercato di ottenere un’interruzione di gravidanza, dopo aver scoperto che il feto che stava portando in grembo aveva un tumore al cervello e poche possibilità di sopravvivenza. Čavajda era alla ventiquattresima settimana di gravidanza ma la legge della Croazia include, in casi specifici, alcune eccezioni alla regola delle dieci settimane.
Solo dopo aver reso pubblico quanto successo, scatenando delle proteste a suo sostegno, una commissione di salute composta da sette membri ha approvato la sua richiesta.
Alla fine di aprile di quest’anno, Il Consiglio della Città di Zagabria, guidato da una coalizione di centrosinistra, ha nominato Čavajda “Donna dell’anno” di Zagabria, un premio che va a coloro che hanno dato un importante contributo all’uguaglianza di genere e ai diritti delle donne.
I membri del Consiglio dell’Unione Democratica Croata (HDZ), partito che detiene la maggioranza a livello nazionale, si sono opposti alla decisione.
“Se l’opposizione non può capire perché Čavajda dovrebbe ricevere il premio, io non posso spiegarglielo” ha detto il sindaco di Zagabria, Tomislav Tomašević.
Davorka Moslavac Forjan, membro del Consiglio in quota del partito socialdemocratico (SDP), tradizionalmente il principale rivale dell’HDZ, ha detto che Čavajda è stata nominata per “la difficile esperienza a cui era andata incontro e per il modo in cui il sistema sanitario voluto dall’HDZ l’aveva divorata e poi risputata fuori”.
Čavajda ha ricevuto il premio il 31 maggio, ma rimane ancora da vedere se questo gesto porterà a qualche grande cambiamento.
Obiezione consapevole
In Croazia nel 2021 sono state eseguite 7712 interruzioni di gravidanza, di cui almeno il 40% a causa di complicazioni mediche riguardanti il feto. Circa il 35% sono state effettuate su richiesta della donna. Solo le cliniche pubbliche e gli ospedali sono autorizzati a condurre la procedura.
La ginecologa Jasenka Grujić ha però affermato che i dati non riflettono come molte donne croate cerchino davvero di ottenere un aborto, visto che molte finiscono per eseguire la procedura altrove, come ha dichiarato a BIRN: “Lo posso testimoniare perché lavoro in una clinica privata e mando le mie pazienti in Slovenia”.
Il problema, in molti casi, è l’indisponibilità dei medici qualificati nell’eseguire un’interruzione di gravidanza.
Secondo la legge croata sulla sulla professione medica del 2002, un medico ha il diritto di rifiutare di attuare la procedura in base a motivi “etici, religiosi o morali” (obiezione di coscienza); dimostrando che il proprio rifiuto non pone a rischio la vita della paziente, che viene inviata in cura da un altro medico.
Ad oggi, per esempio, su 22 ginecologi dell'ospedale pubblico nella zona di Osijek, 17 si dichiarano obiettori di coscienza. Nella seconda città più grande della Croazia, Spalato, negli ospedali pubblici 26 ginecologi su 32 si rifiutano di procedere a interruzioni di gravidanza. In alcune città più piccole la situazione è ancora più drammatica. A Našice, per esempio, nella Croazia orientale, nessuno dei cinque ginecologi della clinica pubblica esegue aborti.
Nella “Clinica per le malattie delle donne e della nascita” (KBC ) di Zagabria, sono impiegati 45 specialisti in ginecologia e ostetricia, e di questi ben 36 fanno obiezione di coscienza all'interruzione di gravidanza richiesta dalla paziente.
Molto significativo il dato di Rijeka, città della costa settentrionale tradizionalmente più liberale, in cui nessuno dei 24 ginecologi dell’ospedale pubblico rifiuta di praticare l'aborto.
Complessivamente, in Croazia il 59% dei ginecologi rifiuta di attuare questa procedura. Per fare un confronto, la percentuale in Slovenia - anch’esso paese a predominanza cattolica - si attesta al 3%.
Sanja Cesar, del direttivo del “Centro per l’Educazione, la Consulenza e la Ricerca” (CESI ) ha dichiarato che alcuni medici sono sottoposti a una forte pressione pubblica. “Abbiamo dei dirigenti in carica presso ospedali, ordini professionali e facoltà di medicina che continuano a dichiarare che l’aborto è omicidio. Questo mette tanta pressione sui medici”, ha riferito Cesar a BIRN.
“Certo, un giovane medico la cui carriera dipende da questo, non si metterà in una posizione che potrebbe impedirgli di accedere alla formazione professionale o esporlo ad ulteriori pressioni. Sappiamo già che questo succede.”
La dottoressa Grujić ha inoltre sottolineato che, nonostante la legge preveda l’obbligo per i medici obiettori di inviare le proprie pazienti ad un altro professionista in grado di eseguire la procedura, “questo non viene fatto.”
Cesar evidenzia anche l'influenza della Chiesa cattolica in Croazia, che è cresciuta notevolmente dal crollo della Jugoslavia socialista nella guerra degli anni ‘90 e da quando la Croazia è divenuta uno stato indipendente. Nell’assicurare che le leggi vengano eseguite, le istituzioni pubbliche dovrebbero giocare “un ruolo decisivo” senza tener conto delle visioni della chiesa o dei gruppi conservatori, ha dichiarato Cesar a BIRN.
Incubi
Un altro fattore vincolante, oltre ad una maggioranza dei medici obiettori, è il fatto che l’aborto non è un servizio gratuito.
Ogni ospedale fissa un proprio tariffario, che si aggira quasi sempre sui 400 euro. Una somma significativa per una donna che, ad esempio, dovesse decidere l’interruzione di gravidanza a causa di personali difficoltà economiche.
Un’altra questione è l’uso relativamente raro dell’aborto farmacologico, in cui al posto di un intervento vengono usati farmaci specifici per interrompere la gravidanza. Una procedura quindi più economica e meno invasiva.
L’ospedale pubblico di Rijeka, per esempio, esegue aborti farmacologici dal 2015 ma la stessa procedura non è disponibile a Osijek.
Jasenka Grujić sostiene che queste costrizioni possono portare a risultati agghiaccianti e ha raccontato il caso di una sedicenne incinta, alla quale un ginecologo privato aveva suggerito di praticare un aborto da un “buon amico che lo fa a casa per pochi soldi.”
“Ho avuto incubi su di lei per un anno”, ha detto Grujić, “L’ho mandata in Slovenia, dove ha interrotto la gravidanza senza alcun problema”.
Sanja Cesar afferma che in Croazia si è assistito al fallimento dell’implementazione della legge e degli standard internazionali. Ha dichiarato che il governo “lascia tutto nelle mani degli ospedali” e asserisce che è responsabilità del direttore dell’ospedale.
Inoltre, il governo viene meno al monitoraggio degli ospedali, sostiene Cesar: “Perché pure chi sta al governo condivide delle posizioni simili sul tema dell'aborto, oltre ad essere sotto continua pressione da parte della Chiesa e di vari gruppi. Una situazione che potrebbe essere risolta, se solo ci fosse la volontà di farlo…”.
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