(© Jon Crucian/Shutterstock)

"Il cantante della notte", libro di Olja Savičević, è uno sguardo molto interessante sulla Croazia, sull’Europa, sulla nostra vita e sulla difficoltà di essere consapevolmente liberi e autonomi in un mondo che, sia dentro che fuori i rispettivi confini, tende continuamente a manipolarci

30/01/2019 -  Diego Zandel

I lettori italiani già conoscono Olja Savičević per il suo bellissimo romanzo “Addio, cowboy”, edito lo scorso anno da L’Asino d’oro, un romanzo triste e appassionato, ma anche venato di umorismo e sarcasmo: la storia, sullo sfondo della guerra nella ex Jugoslavia, di una sorella che ripercorre, in cerca di un significato, l’esistenza del proprio fratello diciottenne suicida, appassionato di cowboy.

La stessa cifra narrativa è usata nel suo nuovo romanzo “Il cantante nella notte”, appena edito sempre da L’Asino d’oro, anche se questa volta meno triste del primo, ma certamente scritto in maniera altrettanto appassionata e originale, ricco di spunti molto pungenti nei confronti del nazionalismo, anzi dei nazionalismi, che hanno dato vita alla guerra nella ex Jugoslavia e al suo post-guerra in particolare in Croazia.

“Il cantante nella notte” è apparentemente una storia dalla trama semplice: una sceneggiatrice di soap opera, Naranča Peović, arriva da Zagabria a bordo di una Mazda chevrolet a Spalato, in via Dinko Šimunović – che è stato un grande scrittore croato a cavallo tra otto e novecento - in cerca del suo primo amore, Slavuj Mitrović, un artista poliedrico, fantasioso, un cantante – il cantante del titolo – che il lettore, come del resto la protagonista che scrive in prima persona, in pratica non incontrerà mai direttamente. Una situazione simile a quella di “Addio, cowboy”, per cui, come lì accade col fratello, qui conosceremo Slavuj attraverso i ricordi di Naranča e di alcune lettere che egli aveva scritto e inviato a diversi soggetti e in diverse occasioni. Lettere anticonformiste, controcorrente, che trattano di tematiche le più disparate, di filosofia, di letteratura, di musica, di poesia, ma anche lettere divertenti come quella, ad esempio, inviata ai due anonimi amanti le cui urla di piacere percorrevano tutte le notti la spalatina via Šimunović. Ma anche la stessa Naranča, nel dipanarsi della trama composta di vari puzzle, non esita a interrogarsi, con quella leggerezza e profondità insieme che è il vero segreto della scrittura di Olja Savičević, su molti aspetti della vita, della morte, del nostro essere in generale.

Slavuj è stato anche l’uomo che Naranča ha sposato e con il quale ha vissuto tre anni prima di separarsi e trasferirsi a Zagabria. Un uomo che lei ama ancora nonostante siano ormai trascorsi dieci anni dalla separazione. Anni durante i quali sono accadute diverse cose, tra cui un drammatico incidente stradale a Naranča, che ha rischiato di lasciarci le penne, che le è costato una lunga degenza e cure in ospedale. Incidente che non è certo estraneo al desiderio di rivedere l’ex.

Per questo è tornata a Spalato, la loro città, dove conservano ancora una barca, e da dove, non trovandolo, lei si muove, sempre a bordo della sua Mazda Chevrolet, in buona parte della ex Jugoslavia, dalla Bosnia al resto della Croazia e su su fino in Slovenia, a Lubiana, dando così al romanzo la forma di una storia on the road, con forti elementi di straordinarietà nei materiali sociali e storici che l’autrice usa e trasforma attraverso le rievocazioni della memoria e nelle evocazioni letterarie, prendendo spunto da tanti autori e libri le cui citazioni, comprese quelle, appunto, di Dinko Šimunović, sono sapientemente mimetizzate nel testo, il quale, pertanto, si caratterizza anche ricco di ascendenze letterarie.

Da questo viaggio si delinea in particolare una certa rappresentazione della vita collettiva soprattutto dei croati, con uno sguardo trasversale sugli strascichi che la guerra nella ex Jugoslavia ha lasciato con i suoi relativi odi etnici, con i suoi irrigidimenti linguistici, con i suoi fanatismi anche religiosi che hanno condizionato le singole popolazioni spingendole a seguire e rispettare un certo conformismo sociale, dal quale non è facile liberarsi se non si vuol essere emarginati.

Tenete presente che le ferite della guerra interetnica, che i croati chiamano Domovinski rat, cioè guerra patriottica, sono sempre aperte in gran parte della popolazione e generano mostri come quello, ad esempio, del revisionismo linguistico. Basti pensare ai cambiamenti che la Matica Hrvatska ha imposto, su condivisi input governativi, attraverso l’eliminazione dei serbismi dalla lingua scritta e anche parlata. Cito a riguardo solo una pagina dal romanzo di Olja che giudico esemplificativa: “I nostri linguisti si impuntavano per la purezza della lingua, così per chi voleva imparare il croato era più semplice studiare il serbo piuttosto che il neocroato… La gente negli anni della guerra aveva paura di parlare la propria lingua, c’era sempre qualche stupido pronto a correggerti. La lingua si è così indurita che non la salveranno neanche cinque generazioni.”

Ed è interessante qui anche il commento della protagonista, che è appunto una scrittrice di soap opera, che ridicolizza il conformismo linguistico ricordando come lei, per scrivere i suoi sceneggiati, trasgredisca in quanto le produzioni, per rientrare dagli investimenti, hanno bisogno di una platea più vasta di quella nazionale. Per cui leggiamo Naranča affermare: “Il mio lavoro conservava anche di queste bassezze grammaticali. Avevamo un mercato, ma il mercato non sopportava i confini tra i piccoli popoli”.

È chiaro, a questo punto, che quei dieci anni che sono passati dalla separazione di Naranča e Slavuj sono stati fondamentali non solo per la loro vite, ma anche per la Croazia, e direi per la ex Jugoslavia tutta, in un modo che Olja Savičević nel suo romanzo affronta con coraggio, considerando che, dopo la guerra dei primi anni Novanta, a vent’anni e più dalla fine, molti elementi di conflitto, sopravvivono ancora sotto, e neppur tanto sotto, la cenere. Un conformismo in contrapposizione del quale, nel romanzo di Olja, la figura di Slavuj si pone come metro di paragone in positivo, quale concentrato di libertà e indipendenza personale.

Del romanzo di Olja, voglio citare a riguardo, come esempio, quella parte in cui si racconta di quando, Slavuj, subito dopo aver preso la laurea, con la guerra in corso, viene richiamato per fare il soldato e non si presenta. Per cui, ecco arrivare la polizia militare: Slavuj si nasconde e manda un messaggio: “Rifiuto ogni violenza, tranne che per difesa personale!”. Naranča poi racconta: “Certamente, pensarono: questo ci prende per il culo. Qualcosa gli è scattato nella testa in guerra, diceva mamma Josipa. Una specie di clic. Vedeva più chiaro, velocemente e meglio di noi, dico io. A dire il vero, vedevamo anche noi, ma lui a differenza di noi credeva ai suoi occhi, mentre noi li chiudevamo, dico io, e li incrociavamo, li incrociamo ancora oggi.”

Non vorrei però neppure che, con questa mia messa a fuoco sulla guerra e sul post-guerra, si pensasse che il tema di fondo de “Il cantante nella notte” sia la guerra e le sue conseguenze. Si tratta invece di un mosaico più grande, con una sua trama avvincente in cui i motivi di interesse si alternano passando da una emblematica storia d’amore, emblematica in quanto tratta l’amore come uno sguardo sul mondo e sulla vita, a riflessioni che rimandano all’arte, alla letteratura, al costume, alla morale, in senso più ampio alla cultura, in un confronto serrato con una realtà che si trova a fare continuamente i conti con una società oggi sempre più globalizzata che punta a difendersi chiudendosi in se stessa, con tutti i rischi che ciò comporta in termini di conflitti e grado di questi.

In questo senso, il libro di Olja Savičević, rappresenta in maniera davvero originale uno sguardo molto interessante non solo sulla Croazia ma sull’intera Europa, sulla nostra vita, sulla difficoltà di essere consapevolmente liberi e autonomi in un mondo che, sia dentro che fuori i rispettivi confini, tende continuamente a manipolarci.

Soltanto per un anno, forse due, siamo stati felici – scrive Naranča a Slavuj nell’unica e ultima, significativa e riassuntiva lettera che lei scrive a lui – e il prodotto di quell’epifania si è dimostrato duraturo, diluito per tutto il resto del tempo. Questa è la prova inequivocabile del fatto che è stata una trasgressione dalle alte sfere della vita, di celeste e divina pornografia. Ciò potrebbe spiegare perché dalla sua comparsa ad oggi l’amore è proibito. È ancora proibito. Puoi forse dire che non sia vero, se, da questo dato di fatto, nascono le storie delle nostre vite?”


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