Migliaia di donne sono scese per le vie della capitale Zagabria. Una marcia pacifica per scandire la propria contrarietà ad ogni restrizione dei diritti delle donne e per difendere l’aborto “libero, accessibile e legale”
Migliaia di persone hanno sfilato mercoledì sera nel centro di Zagabria, paralizzando per due ore il traffico e lanciando un chiaro messaggio a difesa dei diritti delle donne. L’8 marzo croato è stato celebrato con una manifestazione voluta, per il secondo anno di fila, dal collettivo femminista fAKTIV e a cui hanno partecipato quest’anno tra le 5mila e le 7mila persone secondo gli organizzatori (1.500 secondo la polizia).
A distanza di poche settimane dalla protesta a sostegno della comunità Lgbt, un nuovo e più corposo corteo si è dunque formato nella piazza dedicata alle Vittime del fascismo, per poi risalire fino alla centralissima piazza Ban Jelačić e raggiungere il parco Zrnjevac dopo aver bloccato il via vai dei tram su Ilica e invaso i dehors dei ristoranti lungo via Nikola Tesla. Una marcia pacifica che non si è limitata a scandire la propria contrarietà ad ogni restrizione dei diritti delle donne o a difendere l’aborto “libero, accessibile e legale”, ma si è spinta fino a chiedere le dimissioni del ministro degli Esteri Davor Ivo Stier e del suo consigliere Ladislav Ilčić, accusati entrambi di voler ridimensionare i diritti delle donne.
“La sola nomina a consigliere di Ladislav Ilčić, un promotore di lunga data di idee ultraconservatrici, la dice lunga”, spiega Sanja Kovačević, cofondatrice di fAKTIV e tra gli organizzatori della protesta. “Inoltre, durante una recente sessione del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, Stier ha preso posizione a favore del “rispetto della vita dal concepimento fino alla morte” e ha invitato alla collaborazione gli stati con posizioni simili, come la Polonia e l’Ungheria”, prosegue Kovačević, che denuncia questo fronte comune che il ministro degli Esteri croato ha creato anche all’interno del Consiglio Affari esteri dell’Ue, proprio su una risoluzione riguardante le priorità delle Nazioni Unite per il 2017. “Tutto questo è contrario alle promesse fatte durante la campagna elettorale e che comprendevano ad esempio la ratificazione della Convenzione di Istanbul”, ovvero il testo del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, redatto nel 2011 e tuttora non ratificato dalla Croazia.
“Considerato tutto questo - conclude la cofondatrice di fAKTIV - crediamo che il ministro Stier e il consigliere Ilčić stiano abusando delle loro posizioni per rafforzare l’ideologia di gruppi religiosi fondamentalisti, a spese dei diritti e degli interessi dei cittadini e ne chiediamo perciò le dimissioni”. I “gruppi religiosi fondamentalisti” a cui Kovačević fa riferimento sono ad esempio il movimento “U ime obitelji” (“Nel nome della famiglia”), fondato nel 2013 per promuovere il referendum contro il matrimonio gay, a seguito del quale la costituzione croata definisce il matrimonio come l’unione esclusiva di un uomo e di una donna (ma il paese permette le unioni civili alle coppie dello stesso sesso). La leader del movimento, Željka Markić, ha organizzato l’anno scorso una “Marcia per la vita”, con l’intento di influenzare l’esecutivo - allora guidato da Tihomir Orešković - al fine di modificare in senso restrittivo la legge sull’aborto. Al corteo anti-abortista aveva partecipato anche la moglie del Primo ministro.
Il dibattito sull’aborto
Da allora, il governo è cambiato, ma il dibattito sull’aborto non si è esaurito, anzi. La Corte costituzionale si è espressa sulla questione appena una settimana fa, rispondendo ad una denuncia presentata nel lontano 1991 dal “Movimento per la vita e la famiglia”. Per i giudici, la legge di epoca jugoslava (1978) che autorizza l’interruzione della gravidanza entro le prime dieci settimane è da considerarsi compatibile con il quadro giuridico nato con l’indipendenza del paese, ma il parlamento è stato comunque invitato ad aggiornare la normativa, entro i prossimi due anni, sopprimendo quelle “disposizioni che non esistono più nell’ordinamento croato” e prevedendo anche l’aggiunta di “misure educative e preventive”, tali da “rendere un’eccezione l’interruzione della gravidanza”. La necessità di questo ritocco formale della normativa rischia dunque di lasciare spazio ad una revisione sostanziale del testo, che le associazione femministe temono avvenga in senso restrittivo, provocando un balzo indietro, nei diritti delle donne, di quasi 40 anni.
Così, mentre questa settimana l’Ufficio nazionale di statistica (Dzs) presentava in cifre l’evoluzione della donna croata dagli anni Settanta ad oggi, indicando ad esempio un aumento dell’età media alla quale ci si sposa o si fa un primo figlio (entrambe le cose avvengono oggi attorno ai 28 anni), gli organizzatori della protesta invitavano mercoledì i manifestanti a non retrocedere sulla via dell’emancipazione femminile.
“I cittadini della Croazia non vogliono vivere in una società clericale in cui le decisioni che riguardano le loro vite sono prese sugli altari!”, lanciava dal palco Jelena Tešija, redattrice del portale femminista Libela. Davanti a lei, la folla agitava dei cartelli invocanti “lavoro uguale, salario uguale” (oggi in Croazia, una donna guadagna invece il 10% meno di un uomo per il medesimo impiego), “prima i diritti, poi i fiori” o ancora “il sessismo è razzismo”. Lo striscione principale sanciva invece “Questo è il momento della resistenza”, un messaggio battagliero che pare costituire il primo grande tema di scontro tra il nuovo governo di Zagabria e una parte della società croata.
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