Qual è lo stato di salute dei media croati? E cosa potrebbero fare il governo e le istituzioni per migliorare la situazione? Ne abbiamo parlato con Hrvoje Zovko, nuovo presidente dell’Associazione dei giornalisti croati (HND)
Hrvoje Zovko, classe 1970, è da quest’estate il nuovo presidente dell’Associazione dei giornalisti croati (HND). Per oltre vent’anni, ha lavorato presso la televisione pubblica croata HRT, dalla quale è stato però licenziato un paio di mesi fa. Facciamo il punto con lui sullo stato della stampa in Croazia.
Che cosa è successo? Come mai questo licenziamento?
È successo che ho denunciato la censura che viene praticata all’interno della HRT e, per questo, mi sono scontrato con la mia caporedattrice, Katarina Periša Čakarun. Tutto è iniziato con una storia sui conflitti interni all’HDZ [il partito conservatore al governo, ndr.], in occasione dell’annuncio di una protesta a Vukovar, tenutasi ad ottobre, contro il mancato procedimento in giudizio dei crimini di guerra. Quell’evento stava mostrando ancora una volta come il partito del premier Andrej Plenković sia attraversato da diverse correnti e io volevo occuparmene. Mi è stato vietato di farlo.
Ma perché il licenziamento?
Si tratta di un licenziamento illecito e lo dimostrerò in tribunale. Sono stato licenziato poco dopo aver litigato con la caporedattrice del programma informativo della HRT. Ho saputo del licenziamento dai media, mentre ero ad una conferenza stampa all’Associazione dei giornalisti croati, dove si stava parlando proprio del mio caso. Sono stato accusato di essere “aggressivo” e di aver attaccato fisicamente Periša Čakarun. Cosa che, ovviamente, non è mai successa. Vorrei far notare che in 21 anni di lavoro alla HRT, non sono mai stato ammonito, figuriamoci punito, per il mio comportamento. Ecco che, dopo quello che è successo, ho deciso di far causa alla HRT ed il processo è ancora in corso.
Quale sarebbe il vero motivo del suo licenziamento, secondo lei?
Oltre alla mia denuncia della censura, quello che dà fastidio alla dirigenza della HRT è il fatto che io sia diventato presidente dell’Associazione dei giornalisti croati. La televisione pubblica croata, oggi, non ha una buona opinione della HND, al contrario, è molto più vicina all'associazione dei giornalisti HNIP (Hrvatsko društvo novinara i publicista), un’associazione che non ha niente a che vedere col giornalismo e che è stata creata poco prima del ritorno dell'HDZ al governo e della formazione dell’esecutivo di Orešković e Karamarko [al potere nel 2016, ndr.]. Due anni fa, un’ottantina di redattori e caporedattori della HRT sono stati sostituiti nel giro di un paio di giorni. Una cosa mai vista nella storia di questo paese. Da allora, quelle posizioni sono ricoperte da membri della HNIP. Insomma, per quanto riguarda me, avrei dovuto scegliere: o l’HND o l’HRT. E il mio licenziamento è un messaggio per tutti quelli che ancora lavorano nella televisione pubblica croata ed un attacco diretto alla HND.
Qual è la situazione interna alla HRT oggi?
È una situazione orribile. I quadri che sono stati nominati da Karamarko nel 2016 si limitano a portare avanti l’agenda del governo e della chiesa cattolica. Decine di colleghe e colleghi, eccellenti giornalisti, hanno deciso di partire, trasferendosi prima a NovaTV o RTL e più recentemente a Al Jazeera e a N1. L’audience si è abbassata bruscamente, mentre la HRT è diventata la portavoce del governo. Non si fa più alcuna inchiesta, non c’è più spazio per la critica. Infine, nel programma della televisione pubblica nazionale, ci sono stati anche dei casi di revisionismo storico relativi allo Stato Indipendente di Croazia [lo Stato fantoccio alleato dei nazifascisti e guidato da Ante Pavelić durante la Seconda guerra mondiale, ndr.] e nessuno si è preso la responsabilità per questo.
Al di fuori della HRT, come si comporta il giornalismo croato?
Altrettanto male, direi. Anche se, va detto che ci sono ancora grandi giornaliste e giornalisti e dei media che vogliono fare del loro meglio. Ma generalmente, la situazione non è buona. Più che la pressione politica, è la cattiva situazione economica ad indebolire la stampa. Da quando la crisi è iniziata, dieci anni fa, 800 giornalisti hanno perso il loro lavoro. Le redazioni si sono rimpicciolite. Il giornalismo investigativo è praticamente morto. E molte colleghe e colleghi sono oggi economicamente vulnerabili poiché hanno stipendi bassi e contratti precari. A questo si aggiunge il fatto che nel 2016, sempre durante il governo Orešković, sono stati tagliati i fondi pubblici ai media no-profit. Una ventina di siti hanno perso dall’oggi al domani circa 400mila euro l’anno. Quelli che non hanno già chiuso navigano a vista.
L’attuale governo, entrato in carica a fine 2016, non è intervenuto per mitigare le decisioni dell’esecutivo Orešković?
Assolutamente no. La “nuova” ministra della Cultura, che ha preso il posto di Hasanbegović [l’ex ministro di estrema-destra autore dei tagli alla stampa, ndr.], non ha cambiato nulla in ormai tre anni di esercizio. So che sta lavorando alla nuova legge sulla Strategia per i media, ma noi non siamo stati coinvolti. Tutto avviene in modo molto poco trasparente. E parliamo di un elemento normativo che rappresenta la base per tutta una serie di leggi sui media.
In questo contesto di difficoltà economiche, come si posizionano i media croati rispetto al governo? Riescono a mantenere la propria indipendenza?
È difficile. Negli anni Novanta, all’epoca del presidente Franjo Tuđman, la pressione sulla stampa era molto forte, ma i giornali avevano grandi tirature, potevano difendersi. Oggi si stampano poche copie e c’è una crescente pressione da parte di inserzionisti e lobby economiche. Tutto ciò minaccia il giornalismo libero. Basti pensare che il principale acquirente di spazi pubblicitari sui giornali è il gruppo Agrokor, oggi controllato da un’amministrazione straordinaria. Questa stessa amministrazione ha ripagato, in circostanze poco trasparenti e quantomeno dubbie dal punto di vista legale, i debiti che Agrokor aveva con alcuni media, acquistandone così la fedeltà. C’era già una sudditanza da parte dei media mainstream nei confronti di Agrokor e questo rapporto continua ancora oggi, in un contesto in cui la “mano invisibile” che ha gestito la transizione è stata quella dell’ex vice-premier Martina Dalić. Insomma, la pressione politica esiste e le conferenze che i giornali organizzano insieme ai ministeri per presentare le iniziative del governo sono sempre più frequenti. E ciò non suggerisce nulla di positivo.
E per quanto riguarda gli attacchi fisici o le minacce ai giornalisti?
Abbiamo contato 50 attacchi o minacce gravi negli ultimi quattro anni. L’ultimo attacco fisico è avvenuto a Zara appena due mesi fa. Il fatto è che la società croata si è radicalizzata dal 2016 in poi e le minacce sono ormai frequenti. Appena un paio di giorni fa, ad un collega di Spalato, che si è occupato della mafia nel settore delle costruzioni, sono state bucate le gomme della macchina, parcheggiata davanti casa. Ma ciò che è ancora più scandaloso è il silenzio del Primo ministro Andrej Plenković e della presidente Kolinda Grabar-Kitarović. Non soltanto non prendono le difese dei giornalisti, ma non condannano nemmeno gli attacchi. Ne è un esempio la dichiarazione della capo di Stato quest’estate, dopo che un reduce di guerra aveva invitato su Facebook ad “uccidere tutti i giornalisti del portale Index.hr”: Grabar-Kitarović ha sminuito tutto dicendo che si trattava solo “dell’espressione d’insoddisfazione di un cittadino”.
Che cosa dovrebbe fare l’esecutivo croato per migliorare lo stato della stampa nel paese?
Si dovrebbe innanzitutto modificare, lavorando assieme, la legge sulla stampa, questa famosa Strategia per i media di cui non sappiamo nulla. Ci vuole più trasparenza e più coinvolgimento dell’HND e delle altre parti interessate in questo processo. Bisognerebbe poi intervenire sulla HRT per ridarle indipendenza e credibilità. La HRT non deve essere ostaggio di alcun sistema politico, deve lavorare in funzione del pubblico e non dei partiti. C’è poi il problema della poca trasparenza nella proprietà dei giornali. E infine, i discorsi d’odio contro i giornalisti.
Le istituzioni europee potrebbero aiutare in qualche modo?
Sicuramente aiuterebbe se ci fosse più pressione sul governo da parte di Bruxelles. Ma la verità è che lo stato dei media non interessa tanto quanto i parametri economici. Dobbiamo lottare da soli, anche perché non so fino a che punto l’Unione europea possa essere ancora considerata uno spazio sicuro per i giornalisti, considerati tutti gli omicidi di colleghi avvenuti negli ultimi mesi. Ho l’impressione che l’UE, con il suo silenzio su questi temi, stia distruggendo le proprie radici, i propri valori, tra cui c’è appunto anche la libertà di espressione.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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